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 2010  novembre 13 Sabato calendario

MODELLE, SFILATE, DERVISCI: L’ALTRA KARACHI TRA LE BOMBE

Tutti in piedi ai lati della passerella per l’ inno nazionale pachistano, mentre su un grande schermo passano immagini che celebrano i progressi della nazione, dall’ architettura ai computer e ai caccia in volo. Poi inizia la sfilata di moda. Ad aprire le danze è un derviscio, seguito dalle donne ottomane col fes di «Nickie e Nina», due sorelle quarantenni di Lahore dai lunghi capelli castani e un piglio da manager newyorchesi che entrano a braccetto con la console americana Carmela Conroy. A Karachi, la capitale commerciale del Pakistan, che conta 18 milioni di abitanti e produce da sola il 25% del Pil, va in scena la seconda settimana della moda pachistana; la prima è stata a Lahore a febbraio. Ma la moda pachistana non è una novità. Negli anni 80 già Rizwan Beyg vestiva Lady Diana. Dagli anni 90, Lahore compete con Karachi. Ora l’ obiettivo è creare una vera industria, stile Milano. Ma ecco che arriva l’ ennesima bomba. Giovedì 11 novembre, seconda serata di sfilate. La stilista francese Alexandra Senes, consulente del Pakistan Fashion Design Council (la corporativa di stilisti dietro l’ evento) si avvicina carponi ai giornalisti e bisbiglia: «C’ è stata un’ esplosione all’ hotel Sheraton». Occhi sbarrati. Stanno là sia la stampa straniera che diversi stilisti. Tutti a capo chino a pigiare freneticamente su BlackBerry e iPhone. Non era «la moda» il bersaglio, ma la stazione di polizia a 200 metri dall’ hotel, nella zona di Clifton, sede pure del consolato americano e di uffici governativi. La sfilata è a più di mezz’ ora di distanza, all’ interno di grande parco da golf. «In certi casi la cosa migliore è allacciare le cinture e aspettare», spiega la console americana. Abolite le pause tra una collezione e l’ altra, l’ evento scorre liscio, «brillante persino», dice Hsy, uno dei più noti stilisti pachistani. «Siamo abituati, non agli attentati in sé, ma a ricevere notizie di attentati avvenuti», spiega Mediha Syed, 25 anni, giornalista di moda. L’ abitudine non cancella la paura e la rabbia. Mohsin 24 anni, figlio di uno dei leader della comunità hazara di Quetta, che ha fatto sfilare donne in nero con parallelepipedi in testa alternate alle tuniche allegre della sua tribù, racconta con gli occhi rossi il dolore provato al funerale del giovane cugino, vittima di un attentato. «La nostra protesta è semplicemente essere qui, fare quello che facciamo», spiega il pierre Omar Jamil. Sfila una modella racchiusa in una palla rigonfia di tessuto. «Pare una mora», osserva qualcuno. La mora esplode tra gli applausi in un lungo vestito di velluto viola. Dall’ 11 settembre, il Pakistan alleato degli Usa nella guerra al terrore, è bersaglio dei terroristi. Oltre alle zone di frontiera, i miliziani hanno mostrato più volte di saper colpire i grandi centri - basti pensare a Benazir Bhutto o agli ultimi attacchi contro le moschee sufi di Lahore e Karachi. Tra le note di Amy Whinehouse, su cui sfila la collezione di Elan, e quelle di «Summertime» scelta da Zara Shahjahan, gli smartphone annunciano che i talebani pachistani hanno rivendicato l’ attentato, e il bilancio dei morti sale - da 5 a 8 a 16 e a chissà quanti. «E ora, andiamo a sbronzarci!», proclama la signora a capo delle pubbliche relazioni. Nella villa dell’ artista Shakil Saigol, presidiata da un drappello di guardie armate, si beve e si mangiano stuzzichini di pollo e kebab. La console americana racconta ai giornalisti di quella volta che un kamikaze esplose a pochi passi da lei a Kabul. È un piccolo segmento privilegiato della popolazione pachistana. Ma hanno scelto di restare in quella che l’ Economist ha definito la città meno vivibile del mondo. Il giorno dopo, si sfila di nuovo. Allo Sheraton, gli operai sono al lavoro per riparare le vetrate distrutte dall’ esplosione, si rimane nello stesso albergo. E sono passate 24 ore, ma l’ esplosione appare già lontana, una notizia stampata sul giornale appeso alla maniglia della porta con l’ augurio di un buon mattino.
Viviana Mazza