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 2010  novembre 14 Domenica calendario

Londra in guerra contro l’obesità: McDonald’s, aiutaci - Diffusa e pericolosa. E spesso banalizzata

Londra in guerra contro l’obesità: McDonald’s, aiutaci - Diffusa e pericolosa. E spesso banalizzata. Chi ha qualche chilo in più, e si aggira tra gli scaffali di un supermercato, anziché preoccupare fa sorridere. Invece l’obesità è l’epidemia del terzo millennio, e i governi, ognuno a suo modo, tentano di combatterla. Racconta il Guardian che in Inghilterra si discute sulla scelta del dipartimento della Salute di «stimolare» a un’inversione di rotta le multinazionali dell’alimentazione «fast», quelle accusate di ingolosire e fare ingrassare: McDonald’s, Kellogg’s, Pepsi e «Kfc», una catena che non sforna hamburger, ma pollo fritto all’istante. Ciò che il governo britannico pretende è che queste macroaziende s’impegnino a produrre pietanze sane, gustose quanto e più quelle cariche di grassi e zuccheri, e allo stesso tempo garantiscano un prezzo equo, concorrenziale ad hamburger con salsa, patatine, bibite gassate e fiocchi di riso ricoperti di glassa. I «duri e puri», messi a tutela della salute, ritengono addirittura sia giunta l’ora di introdurre il «terror-monito»: «questo alimento nuoce gravemente alla salute». Già, perché l’obesità o sindrome metabolica, è sì sinonimo di «patologia», ma, gli Stati, non senza cinismo, valutano soprattutto quanto questa incida nella spesa sanitaria pubblica. Secondo l’Osm, l’organizzazione mondiale di sanità, ci sono Paesi - in Europa, la Spagna e l’Italia sono in testa - in cui le malattie legate all’obesità rappresentano l’1% del Pil e il 6% dei costi sanitari diretti per la cura di ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, e problemi respiratori. A questi si aggiungono i costi indiretti: meno giorni al lavoro, poca resa a scuola, difficoltà di relazione, depressione e ansia. E in Italia che si fa per batterla? Domenico Brisigotti, direttore dei prodotti a marchio Coop dice: «Le azioni per prevenire la sindrome metabolica esistono, e molte sono efficaci, anche se non tutte coordinate. Noi, ad esempio, una rivoluzione sull’etichetta la stiamo già facendo. Sulle confezioni scriviamo i valori nutrizionali e quanto movimento serva per smaltire le calorie». Mangi una barretta di cioccolato? Per una settimana scale a piedi. Cento grammi di spaghetti? Preparati a venti minuti di corsa. Un modo per acquistare consapevolezza su ciò che ingurgitiamo e, perché no, sugli effetti che un’alimentazione senza regole ha sui bilanci delle casse regionali. Alexis Malavazos, nutrizionista, è a capo del progetto Eat (educazione alimentare teenager) promosso dall’ospedale San Donato, a Milano, e spiega: «La collaborazione con il ministero della Salute è buona, il nostro compito è parlare con i ragazzi, informarli. Ciò che da noi manca, però, è una spinta ulteriore: perché ad esempio non pensiamo a lezioni di educazione alimentare che prevedano un voto in pagella?». Gli studenti potrebbero coinvolgere i genitori e creare così, a casa, un circuito virtuoso. Non a caso l’impegno della First Lady americana è rivolto soprattutto alle nuove generazioni: Michelle Obama gira per le scuole e spiega loro i danni provocati da una vita sedentaria a base di cibo spazzatura. Nella patria della «dieta mediterranea» pare che ad aver bisogno di spiegazioni siano soprattutto gli adulti: «Bisogna fare di più - dice Agostino Macrì dell’Associazione nazionale consumatori - i grandi nemmeno sanno a cosa corrispondono le calorie: si nutrono di barrette light senza sapere che mangiarne due è come pranzare con un piatto di pasta abbondante e ben condito».