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 2010  novembre 14 Domenica calendario

MARIO BAUDINO

La Patria? Carlo Fruttero, da figlio della guerra, proprio non ci pensava: «Dopo quel disastro tutto avrei voluto essere meno che italiano. Eravamo considerati quanto di peggio poteva esserci al mondo: sconfitti, cretini, persino traditori; avevamo commesso ogni sorta di errori, per non parlare della storia patria raccontata in salsa fascista, spiacevole e retorica. No, non avevo il minimo interesse per queste cose». Così leggeva i suoi libri e se ne andava in giro in bicicletta, in Toscana o a Roma, in Umbria o in Campania. E si sentiva un «imbucato».
Imbucato perché?
«Perché l’Italia del passato mi pareva un posto di cui non ero all’altezza. Era uno scenario grandioso, magnifico, monumentale. Mi dava una sensazione di estraneità. O meglio, ero io che mi sentivo estraneo».
Abusivo?
«Imbucato. Come tanti, però. Pensavo a questa storia delle dominazioni straniere, degli invasori, insomma di tutti quelli che nei secoli si erano imbucati, e mi sentivo un po’ come loro. D’altra parte che cos’altro si poteva provare, nella situazione in cui eravamo, davanti, che so, agli affreschi di Lucca?».
Se abbiamo capito bene, lei era dunque lo scrittore meno adatto per questo lavoro sui nostri centocinquant’anni. O forse rappresentava la soluzione migliore? L’Italia raccontata da un imbucato...
«In realtà la causa di tutto è la coalizione tra Massimo Gramellini e mia figlia Maria Carla. A due così non si resiste. Gramellini aveva avuto l’idea, ed era molto buona. Mia figlia fu inflessibile: meglio studiare queste cose piuttosto che pensare nostalgicamente al passato. Me l’hanno messo giù facile, ho capitolato».
Soddisfatto?
«Insomma. Il modello è stato un grande e poco amato storico inglese, G. L. Strachey, autore di una splendida biografia della regina Vittoria e soprattutto di una serie di quattro ritratti gli Eminent Victorians. Ecco, la tecnica è stata un po’ quella: un piccolo episodio, uno spunto narrativo approfondito e sviluppato. Ho dovuto leggere un sacco di libri. Il quadro generale potrà anche essere discutibile, mi pare però che sia venuto fuori».
Ha fatto delle scoperte interessanti?
«Molti personaggi mi erano noti, è ovvio. Non ho certo scoperto Mattei o Pavarotti, o Fellini. E’ stato interessante avvicinarsi ai padri della Patria. Guardandoli da vicino ci si accorge della complessità di ogni minima mossa».
Garibaldi, Cavour, Re Vittorio. Lei non milita tra i revisionisti.
«Per carità, colsero al volo un’occasione. Sono personaggi appassionanti. Peccato che non si possa scrivere un libro intero per ognuno di essi».
Simpatici?
«Ma sì. Il più simpatico di tutti è però Alessandro Manzoni. Un genio».
Pensare che la sua immagine pubblica è un po’ impolverata, improntata, ammettiamolo, a una certa noia.
«Niente di più falso. E’ stato un grandissimo genio. E questo lo rende anche molto simpatico».
Poi ci sono quelli meno noti.
«Prenda Felice Cavallotti. Sapevo solo che era morto in duello. Ora invece so che razza di politico fosse».
Coniò il termine «questione morale», e si era ancora nell’Ottocento. Non gli portò molta fortuna.
«Pensa al duello fatale?».
Il trentatreesimo della sua lunga carriera di politico e duellante. Fu contro il conte Malcola, direttore della Gazzetta di Venezia, che lo aveva, sostenne, calunniato. Non è per caso che tra le sue invenzioni politico-linguistiche c’è anche la macchina del fango?
«Questo no. Ci fu però un guantone fatale, come raccontiamo nel libro».
Un guantone per la sciabola - lui avrebbe preferito il fioretto - acquistato la sera prima, che rese meno agili i suoi movimenti. Si ritrovò con la gola tagliata e un corteo di tre chilometri al funerale. Bel personaggio.
«Anche Quintino Sella è un bel personaggio»
Protagonista di un 25 luglio, una data a quanto sembra ricorrente ed evocatissima nella storia del nostro Paese.
«Il suo 25 luglio 1873 è il giorno, sempre rimpianto dagli italiani per bene, in cui lasciò il ministero delle Finanze».
A proposito di italiani per bene. Che ne è dell’imbucato alla fine di questo lungo viaggio nella storia?
«Alla fine devi scegliere. Un tempo, se ne avessi avuto la possibilità, avrei scelto di essere svizzero, o americano, o inglese. Adesso non più. Tutto sommato a furia di viverci capisci anche questo strano Paese dove c’è Gomorra ma anche Totò, La Dolce Vita, Pinocchio. Ci stai dentro, anche se è un Paese molto irritante. Sempre in crisi spaventosa, sempre sul punto di crollare, come sembra puntualmente accadere in questi giorni: e invece in qualche modo se ne esce sempre; anche adesso, immagino».
Conclusione?
«Tanto valeva nascere qui».