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 2010  novembre 13 Sabato calendario

FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "AUNG SAN SUU

KYI"

Tra i fattori destinati a delegittimare le elezioni di domenica non c’è però solo il muro di gomma eretto dal regime intorno al voto. Ma anche la decisione dei generali di impedire la candidatura di Aung San Suu Kyi e di chiedere alla National League for Democracy l’espulsione dell’attivista democratica e premio Nobel per la pace, pena lo scioglimento, puntualmente avvenuto, del partito.
Marco Masciaga, Il Sole 24 Ore 5/11/2010

Non sono i soli. Se non tutti i 30 milioni, una stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto non vede l´ora di andare all´urna. Anche se non sa ancora, come Aye Man, per chi voterà. Sono passati vent´anni dalle ultime elezioni, e andò a finire come tutti sanno. Aung San Suu Kyi e la sua Lega per la democrazia vinsero a man bassa, ma poco dopo il Parlamento venne sciolto e i dissidenti costretti a fuggire o a finire in una prigione come quelle descritte in orridi racconti dalle celle di Insein.

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quando una parte del movimento ha capito che The Lady, la Nobel per la Pace Aung San, non avrebbe mai accettato di andare a votare. Come infatti è successo.

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Trucchi palesi e occulti predisposti a tavolino dalla giunta militare hanno già azzoppato ai nastri di partenza i potenziali candidati dell´opposizione, a cominciare dalla leader della Lega nazionale per la democrazia Aung San Suu Kyi, che ha apertamente invitato i suoi seguaci a non votare.

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Tra questi la National democratic force, 163 persone in tutto, formata nella primavera scorsa da una costola della Lega di Aung San Suu Kyi, autosciolta in segno di protesta per la decisione "ingiusta e illiberale" di escludere i suoi leader dal voto.

RAIMONDO BULTRINI, la Repubblica 6/11/201

la pasionaria Aung San Suu Kyi, leader’ agli arresti domiciliari – della Lega nazionale per la democrazia («è vietato candidare chi abbia riportato una condanna», recita un articolo),
Paolo Salom, Corriere della Sera 03/04/2010

[BAGGIO] Ambasciatore della Fao, promotore dell’associazione Heroes Company, il 20 dicembre 2007 ritirò all’Accademia di Santa Cecilia il premio ”Roma per la Pace e l’Azione Umanitaria” assegnato dalla giunta comunale ad Aung San Suu Kyi: fu proprio la leader dell’opposizione birmana (già premio Nobel) a chiedere che il premio fosse consegnato all’ex calciatore, convinta che la sua grande notorietà avrebbe potuto amplificare la notizia nel suo paese.
Il Catalogo dei viventi 2009

Aung San Suu Kyi è apparsa ieri in pubblico in un hotel di Rangoon, per poi essere riportata agli arresti domiciliari.
Francesco Sisci, La stampa 5/11/2009

CARLA BRUNI ha voluto esprimersi contro il regime birmano che continua a tenere in carcere Aung San Suu Kyi, spiazzando il Quai d´Orsay.
Anais Ginori, la Repubblica, 05/09/09

Contro l’inetta giunta militare birmana (è il caso famoso di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, appena condannata ad altri 18 mesi di arresti domiciliari)

L’11 agosto la 63enne leader democraticamente eletta della Birmania, Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari dal 1988, è stata condannata pretestuosamente dalla giunta militare a un altro anno e mezzo di detenzione per evitare che si presenti alle elezioni del prossimo dicembre, che, fossero libere, vincerebbe senza un giorno di campagna elettorale. Lei, donna coraggio in un Paese in cui le donne sono sistematicamente soggette a violenza da parte delle uniformi militari, è diventata non solo il simbolo della Birmania oppressa ma di quell’intera parte di mondo.
Federica Bianchi, L’Espresso, 27 agosto 2009

MADONNA Provocazioni e un po’ di politi­ca, con l’ormai famoso video in cui divide il mondo tra buoni e cattivi (Obama e Aung San Sun Kyi da una parte, Bush e Hitler dall’altra).
Michela Proietti, Corriere della sera 14/7/2009

Proprio qui – base relativamente ’protetta’ per i dissidenti in esilio e per quegli attivisti che lavorano per i diritti umani muovendosi costantemente (e clandestinamente) tra la madrepatria e la Thailandia – si è tenuto nei giorni scorsi il Forum di consultazione delle organizzazioni birmane impegnate per un processo di democratizzazione nel Paese dei generali, una realtà che comprende la National League for Democracy di Aung San Suu Kyi, il governo in esilio, l’associazione dei giuristi, le comunità delle minoranze etniche, i sindacati clandestini, le organizzazioni giovanili e femminili.
Avvenire 20 aprile 2008, CHIARA ZAPPA

CANNITO LUCIANO Tra i suoi ultimi lavori, I have a dream-I care, ideazione e regia di Beppe Menegatti, in scena Carla Fracci nella parte di Madre Teresa di Calcutta, Luciana Savignano in quella della leader birmana Aung San Suu Kyi,
Scheda 153009

JOHN MCCAIN Inoltre, a quattro mani con l’ex segretaria di stato Madeleine Albright firmò due anni fa un appello sul Washington Post per il regime change in Birmania e la liberazione della leader nonviolenta Aung San Suu Kyi.
Alessandro Tapparini, Il Foglio 16/11/2006

Di certo in questa situazione ci sarebbe bisogno di un miracolo per scuotere il giogo della repressione. In attesa del miracolo, i dissidenti birmani contano almeno che la buona sorte gli aiuti a sbarazzarsi di Than Shwe per riaprire i giochi, scompigliare le carte. Al momento i colloqui tra la giunta e il capo dell’opposizione, il premio Nobel Aung Sang Suu Kyi, agli arresti domiciliari, non fanno progressi significativi. La crisi economica, che ha scatenato le proteste antigovernative, peggiora e non ci sono segni di una svolta. La malattia di Shwe potrebbe aprire una voragine nel cuore della regione, stretta tra Cina, India e Sud-Est asiatico.
La Stampa 09/12/2007, pag.19 FRANCESCO SISCI

La prima a invitare a non fare affari con il proprio Paese è il premio Nobel Aung San Suu Kyi. «Turisti, state lontano dalla Birmania», ha detto più volte.
Paolo Salom, Corriere della Sera 28/10/2007

La Sun Kyi, poi, ha sposato un inglese e ha studiato a Oxford, dunque ha legami forti con il nostro Paese (Regno Unito)
Carlo Annese, La Gazzetta dello Sport 6/10/2007

La testimonianza dell’attore (STALLONE) ha coinciso con il quarto e ultimo giorno della missione in Birmania dell’inviato Onu Ibrahim Gambari che, prima di ripartire, ha potuto incontrare il capo della giunta militare, Than Shwe, e i suoi generali. Poco è trapelato dall’incontro, ma Gambari è poi tornato a trovare Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana che non può lasciare la propria casa, avvalorando l’ipotesi di un tentativo di spola diplomatica per favorire l’inizio di un dialogo fra la giunta e la Lega per la Democrazia, che nel 1990 vinse le elezioni ma non riuscì mai a governare a causa del successivo golpe.
Maurizio Molinari, La Stampa 3/10/2007, pagina 11.

KOUCHNER NEL 2003 L’attuale ministro degli Esteri si recò in Birmania con la moglie, Christine Ockrent, nota giornalista, che realizzò per Elle un’intervista con la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, la quale dichiarava: «E’ necessario rifiutare ogni forma di aiuto che possa avvantaggiare la giunta militare».
Corriere della Sera 03/10/2007, pag.11 Massimo Nava

È il 4 gennaio 1948 quando l´ultimo governatore britannico Sir Hubert Rance abbandona Rangoon. Cinque mesi dopo l´India anche la sua "provincia birmana" acquista la sua libertà. Ma l´autonomia è già macchiata di sangue. Il leader dell´indipendenza, il generale Aung San, è stato assassinato nel 1947 in un complotto di palazzo. Quando muore l´eroe dell´anticolonialismo sua figlia Aung San Suu Kyi ha appena due anni, crescerà all´estero con la madre fino all´età matura.
Aung San Suu Kyi assisteva al dramma della sua patria da Oxford, dove aveva sposato uno studioso inglese di letteratura tibetana, Michael Aris. per ragioni familiari – sua madre colpita da un ictus – che rientrò a Rangoon nel 1988, proprio mentre le piazze erano invase da cortei di protesta per la crisi economica. Per lealtà verso la figura del padre scomparso Suu Kyi s´impegnò nella "primavera democratica". Venne plebiscitata come una leader naturale del movimento. Il popolo birmano era incoraggiato dalla fine della guerra fredda, dai segnali di rinnovamento nel blocco sovietico, dalla vittoria della democrazia contro la dittatura di Marcos due anni prima nelle Filippine. La confusione regnava anche in seno all´esercito. Ne Win venne deposto dai suoi complici. I militari usarono il pugno di ferro contro le piazze – la repressione fece tremila morti, nell´indifferenza del mondo intero – e al tempo stesso concessero le elezioni nel maggio 1990. Erano certi di poterle manipolare. Trionfò invece la Lega per la democrazia guidata da Suu Kyi: 60% dei suffragi, 392 seggi sui 492 del Parlamento. Suu Kyi seppe della sua vittoria da detenuta: era agli arresti domiciliari dal 20 luglio 1989.
Da allora si sono alternati sprazzi di speranza, regolarmente delusi. A metà degli anni Novanta ci fu un allentamento della repressione. A Suu Kyi, che nel 1991 aveva ricevuto il Nobel della pace, fu concessa nel 1995 una libertà vigilata e qualche possibilità di dialogo con i suoi seguaci.
L’impoverimento e alcune misure economiche aberranti hanno provocato le manifestazioni del 1988, di cui è stata la portavoce Aung San Suu Kyi, figlia di un eroe dell´indipendenza assassinato nel 1947 e futuro premio Nobel per la Pace nel 1991. I militari hanno disperso quelle manifestazioni, come si sa, con i fucili.
Da allora, Suu Ky, icona della libertà, ha trascorso dodici su diciotto anni in prigione o in residenza sorvegliata.
La Repubblica 02/10/2007, pagg.37-38-39 FEDERICO RAMPINI, AMITAV GHOSH, JEAN CLAUDE POMONTI, ROBERTO FESTA

I monaci sfilano da otto giorni. Prima poche decine, sabato scorso, già in mille. Sabato hanno compiuto una trasgressione forte: sono andati a sfilare e cantare davanti alla casa di Aung San Suu Kyi. Questa signora di 62 anni aveva vinto con l’82 per cento dei voti le elezioni democratiche del 1990, le prime dopo trent’anni, indette in seguito al susseguirsi drammatico di grandi manifestazioni studentesche. La giunta militare però si rifiutò di consegnarle il potere e, mentre a Stoccolma le davano il Nobel per la pace, massacrarono tremila oppositori e misero Aung agli arresti, trasformato solo da pochi anni in domiciliari. Ebbene i monaci sono andati a marciare e a pregare davanti a casa sua e lei, incurante della pioggia torrenziale, è uscita in strada e ha pregato con loro e con la piccola folla di mille cittadini che aveva accompagnato i religiosi. Le guardieche tengono Aung prigioniera hanno avuto l’ordine di non intervenire, perché la giunta sa bene che toccare i monaci può costare molto caro. Ma la sola apparizione di questa donna ha provocato in tutto il paese una grande emozione. Il giorno dopo i manifestanti sono diventati diecimila e in mezzo a loro si sono viste anche le suore buddiste senza capelli dalla caratteristica tunica rosa.
Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 25/9/2007

La mobilitazione politica italiana si è concretizzata con una manifestazione al Campidoglio, a Roma. Sotto la foto di Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia in Birmania e Nobel per la Pace nel 1991, hanno parlato il sindaco di Roma Walter Veltroni, il presidente della Camera Fausto Bertinotti, il ministro Emma Bonino e il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini.

THAN SHWE Perde la calma se gli si parla di Aung San Suu Kyi, ritiene che «introdurre la democrazia senza disciplina può aizzare le folle e produrre anarchia», detesta «i neocolonialisti», e infatti la Birmania è diventata, in spregio al nome britannico, Myanmar:

e di ritorno si può parlare, e non di nascita tout court, è soltanto perché, per poco più di dieci anni, un governo democratico birmano è esistito, e prima di morire ucciso da un golpe comunista ha fatto in tempo a indicare nel 1961 il primo segretario generale delle Nazioni Unite asiatico, U Thant. Quel gabinetto lo presiedeva il generale Aung San, eroe della resistenza antifascista. Sua figlia, Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione democratica, premio Nobel per la pace e agli arresti (oggi domiciliari) quasi ininterrottamente dal 1991, scelse di far sventolare ai suoi sostenitori le bandiere con il pavone giallo nell’unica campagna elettorale libera nella storia del paese. Era il 1990, e – come ricordava un paio di giorni fa un articolo del giornalista birmano Nathan Maung sul sito Internet Mizzima News – due anni prima gli stessi vessilli erano stati sventolati dagli studenti di Rangoon nei giorni della protesta contro la dittatura che si concluse con tremila morti sulle strade e un’altra dittatura a sostituire quella precedente.

« La lotta per la democrazia e i diritti dell’uomo in Birmania è una lotta per la vita e la dignità. una lotta che comprende le nostre aspirazioni politiche, sociali ed economiche. » (Aung San Suu Kyi)
Nel 1990, si tennero per la prima volta in 30 anni le elezioni libere. Il NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), il partito di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991, e figlia di Aung San, porta alla Assemblea Costituente 392 membri, su un totale di 485, ma lo SLORC (Consiglio di restaurazione della legge e dell’ordine di stato), spalleggiato dall’Esercito, si rifiuta di cedere il potere, rovesciando l’assemblea popolare, ed arrestando Aung San Suu Kyi, ed altri leader dell’NLD.
wikipedia 25/9/2007

Vestita di giallo, con le lacrime agli occhi, la Nobel della Pace Aung San Suu Kyi è uscita per la prima volta dopo quattro anni dalla sua casa sul lago Inya a Rangoon. Per quindici minuti, in una sfida senza precedenti alla giunta militare, la leader della Lega nazionale per la Democrazia ha recitato i Sutra buddisti assieme a oltre mille monaci e altrettanti cittadini che gridavano "lunga Vita ad Aung Sang Suu Kyi", dopo essere giunti in corteo fino all´ingresso del giardino della sua abitazione al numero 54 di University Avenue.
Il drappello di una ventina di soldati che staziona 24 ore su 24 all´incrocio della strada ha sorprendentemente aiutato i manifestanti a rimuovere le barricate che bloccano notte e giorno il passaggio. Un segnale di impotenza, oltre che una forma di rispetto per i rappresentanti del clero birmano, che dopo aver annunciato da giorni una sorta di "scomunica" per i militari e le loro famiglie (non accettano offerte e non celebrano messe per i loro defunti né matrimoni), hanno sfilato in gran parte a piedi nudi fin dalla mattina da Kawhmu, dall´università buddista di Kabaaye, da diversi monasteri e distretti della periferia e del centro. Camminavano sotto una pioggia monsonica torrenziale,
da 17 anni, da quando il suo partito aveva stravinto le elezioni, Aung Suu Kyi è tenuta segregata in arresti domiciliari, con l’ordine di non farsi vedere all’esterno e con il divieto d’incontrare chiunque; soltanto a novembre del 2006 fu fatta un’eccezione per l’inviato dell’Onu, Ibrahim Gambari, autorizzato dai militari a una breve visita di saluto e solidarietà
Costretta da anni agli arresti domiciliari dalla giunta militare birmana, "the Lady" è riapparsa ieri per la prima volta ai suoi connazionali. Aung San Suu Kyi, premio Nobel della pace, ha rotto il silenzio per dare la sua benedizione alle proteste che dilagano nel paese. Mille monaci buddisti ieri hanno sfidato l´esercito manifestando proprio davanti a casa sua, nel luogo più proibito e sorvegliato di Rangoon. Lei è uscita di casa per pochi minuti, in lacrime è andata incontro al corteo dei religiosi che cantavano: «Lunga vita alla Signora Suu Kyi, che possa tornare libera presto».
Nessuno può avvicinarsi alla casa di Aung San Suu Kyi (pronuncia «su ci»), 62 anni, paladina della democrazia negata, l’unico Nobel per la pace senza libertà. Ha trascorso 12 degli ultimi 18 anni agli arresti domiciliari, la Signora, leader del partito che nel ’90 vinse le elezioni con l’82% dei voti. I militari che la detestano, dopo aver annullato il voto, l’hanno murata viva con un pianoforte rotto nella villa sul lago che fu di suo padre Aun San, eroe dell’indipendenza ammazzato quando lei aveva 2 anni.
Quella strada deserta, ieri pomeriggio, per quindici eterni minuti si è riempita di tuniche rosse e di canti. I monaci buddhisti che per il sesto giorno consecutivo sfilavano per le strade allagate di Rangoon, protestando in silenzio contro la giunta militare, a sorpresa hanno deciso di andare a trovare Aung San Suu Kyi. Hanno puntato verso University Avenue, chiusa al traffico a causa della prigioniera più famosa e isolata del mondo. I venti soldati al posto di blocco, con i mitra e i walkie-talkie, incredibilmente o astutamente li hanno lasciati passare. Fosse stato un gesto spontaneo - soldati che simpatizzano con i manifestanti - oppure anche solo l’ordine di ufficiali ribelli, oggi probabilmente sarebbe un giorno nuovo per la Birmania. Magari più sanguinoso, ma nuovo. L’inizio della fine per i generali che governano con il terrore dal 1988. Non è andata così. La scelta di lasciar passare i monaci è stata avallata probabilmente dal generale Than Shwe in persona, il 74enne capo della giunta che ama i film di kung fu, prende le decisioni in base all’astrologia ed è esperto di guerra psicologica. Una scelta in linea con la strategia adottata dal regime negli ultimi giorni: evitare di attaccare apertamente i monaci.
Non ci sono immagini dell’incontro tra i monaci e Aung San Suu Kyi. Le tv in queste ore giustappongono immagini recenti di DVB con filmati di repertorio che mostrano «la Signora » sorridente che saluta una piccola folla di simpatizzanti dal cancello di casa: ma sono immagini girate nel maggio 2002, all’epoca del suo ultimo rilascio. Ieri non c’erano telecamerine nascoste sotto le tuniche davanti alla villa sul lago. E’ stato un testimone, un monaco, a raccontare più tardi a un gruppo di cittadini di Rangoon quanto era successo a University Avenue. I giovani dalla testa rasata (chi l’ha detto che la religione deve stare alla larga dalla politica?) si sono fermati a cantare una preghiera buddhista, «la Signora» è uscita di casa accompagnata da due donne, probabilmente quelle che la assistono (e forse la spiano). Lei di solito così fredda (anni fa, in una rara intervista, disse «non mi sento prigioniera, ho fatto una scelta») non è riuscita a trattenere le lacrime. Si è unita alla preghiera dei monaci: «Che noi si possa raggiungere la libertà da tutti i pericoli, libertà dal dolore e dalla povertà, la pace nel cuore e nella mente». Nessuna parola in più, nessun altro gesto. I monaci sono ripartiti dopo 15 minuti, i soldati al posto di blocco hanno aperto i varchi richiudendoli dopo l’ultima tonaca.
WASHINGTON – C’è una sola eccezione al riserbo che Laura Bush ha da sempre scelto in politica estera. Ed è la Birmania. Molto conosciuta per le sue campagne per l’istruzione, l’educazione e la salute, la first lady americana è una delle voci più critiche e conseguenti contro la giunta militare al potere nel Paese asiatico e conduce da anni una battaglia per la liberazione di Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione e premio Nobel per la Pace, che ieri a Yangon ha sfidato gli arresti domiciliari, scendendo in strada per salutare il corteo di protesta dei monaci buddisti.
L’inquadratura è quella che è. La luce poca, i colori sgranati, i contorni sbavati. La mano, forse, tremava. Ma la figura di donna che si affaccia dal cancello giallo, le mani giunte e la figura affusolata nell’ahtet hsin (il sarong delle birmane) è riconoscibilissima. La prima immagine pubblica di Aung San Suu Kyi dal 2003 è stata scattata da un monaco buddhista. Tra il monaco fotografo e «la signora» premio Nobel, gli scudi dei poliziotti. Non importa se l’immagine diventerà l’icona della protesta contro la giunta o se resterà un tassello di un’epica dall’esito ancora incerto. La foto di Suu Kyi sulla soglia, scaraventata sul web e sui giornali di mezzo mondo, una sentenza l’ha già pronunciata: la battaglia dei militari contro il flusso globale delle informazioni è persa. Il mondo sa. Il mondo, finalmente, vede. Il monaco con il telefono cellulare non l’avevano messo in conto, i generali. O pensavano di neutralizzarlo. Niente. Le immagini corrono. Tra le agenzie di stampa internazionali alcune, come la France Presse, riportano l’indicazione che certe foto non possono essere utilizzate in Birmania. Superfluo. I media, controllati dalla giunta, certe foto non le mostreranno.
Vari settembre 2007