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 2010  novembre 12 Venerdì calendario

Cameron come noi: il lavoro fa riposare il papà - Lo accuseranno di non essere statista, di non rendersi conto del­la sede e della circostanza, di scam­biare un summit tanto importante per un raduno tra comari, sotto ai caschi della parrucchiera

Cameron come noi: il lavoro fa riposare il papà - Lo accuseranno di non essere statista, di non rendersi conto del­la sede e della circostanza, di scam­biare un summit tanto importante per un raduno tra comari, sotto ai caschi della parrucchiera. Così lo giudicheranno gli accigliati anali­sti del G20, ma la confessione mini­mal di David Cameron, premier in­glese, resta epocale. Liberandosi dalle formalità e dall’ipocrisia,l’al­ta personalità ha ceduto il campo al papà: «Tutti sono venuti in Co­rea per parlare di politica e di affa­ri. Io sono venuto per dormire fi­nalmente una notte intera...». Vecchio David, sei tutti noi. Noi, che sappiamo bene cosa tu abbia inteso dire. Quali pesi ti porti den­tro. Da agosto ti ritrovi in casa la piccola Florence, terza della di­scendenza. In questi pochi mesi, la creatura ha reso le notti molto più intense del giorno, che pure non è già di suo così lieve. Final­mente, davanti al mondo intero, hai confessato l’inconfessabile: sì, in tanti aspettiamo solo il momen­to di raggiungere il posto di lavoro. Per riposare. Hai dato voce ai no­stri peccati muti e sommersi. Sia­mo fieri di te e sinceramente ti sia­mo riconoscenti: mai, prima d’ora, qualcuno ai massimi livelli lavorativi aveva osato tanto, men che meno ai livelli minimi, dove un simile outing non è consigliabi­­le, perché se appena il padronato fiuta che consideriamo l’ufficio e la fabbrica un luogo di ristoro psi­co- fisico è capace pure di farci pa­gare la mezza pensione. David, scusa se ci prendiamo la confiden­za: ma lasciati abbracciare. Noi, che da troppo tempo nascon­diamo questo segreto. Noi, che ab­biamo una particolarissima spe­cie di figli, capaci fin dal primo va­gito di scambiare il giorno con la notte, mentre tutti gli amici ci par­lano della loro creatura usando l’espressione più crudele, «il mio mangia e dorme». Noi, padri e madri che patteggia­mo con trattative sanguinose i tur­ni della poppata notturna, da quando le mamme non ci metto­no più il biberon umano e ricorro­no al latte artificiale, fra le conqui­s­te più carogna delle lotte femmini­ste. Noi, che anche se abbiamo una moglie d’anteguerra, così ingenua da allattare in proprio, dobbiamo comunque pagare il privilegio di non avere le zinne alzandoci all’al­ba per avviare la lavatrice, scalda­re la colazione, preparare il bagnet­to, mentre dalla camera arriva la fatidica ingiunzione: «E comun­que poi il pannolino lo cambi tu, perché io dopo la poppata sono esausta, se vuoi vedermi morta dil­lo... ». Noi, che passiamo le notti scalcian­doci come Materazzi, perché la creatura ogni tanto perde il ciuc­cio e qualcuno deve per andare a rificcarglielo in bocca, «alle 3 mi so­no alzata io e adesso fai il piacere di muovere quel sedere» (danna­zione, nel lungo cammino del pro­gresso umano, nessuno ha mai in­ventato il ciuccio che non cade, o almeno il bambino che non lo per­de: io ho una proposta, incollarlo con l’Attack). Noi, che quando suona la sveglia al mattino fingiamo di essere af­franti, dannazione anche stamatti­na al lavoro, quanto vorrei starme­ne qui a casa con il piccolo... Ma appena fuori sul pianerottolo, sarà penoso eppure è così, non tratte­niamo mute scene di esultanza, ge­nere Tardelli nella finale dell’82. Noi, che anche quando crescono dobbiamo comunque obbligarli con la forza a lavarsi i denti, a met­tersi il pigiama, a infilarsi finalmen­te sotto le coperte... Sì, però prima una favola. Ancora un saluto. An­cora un bacio. E anche quando riu­sciamo finalmente a raggiungere in salotto l’agognato divano,persi­no lì arriva la vocina spietata: «Ho sete». Noi, che scappiamo dall’inferno di casa e raggiungiamo il posto di lavoro con i sentimenti di un buon musulmano che raggiunge la Mec­ca, ma che comunque poi ci dia­mo dentro come stakanovisti, e questo sia ben chiaro, anche per­ché otto ore di lavoro sono sempre meglio di otto minuti in casa. Noi, vecchio Cameron, che possia­mo permetterci di guardare il ca­po con un sorriso sardonico, pen­sando tranquillamente questo: strilla, infierisci, brutalizzami, ma per quanto tu possa trasformare il mio posto di lavoro in un inferno, sappi che non sei nessuno. A casa ho chi ti batte.