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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

LA MACCHINA CHE SI AUTORIPRODUCE

Il matematico John von Neumann, uno scienziato con le stigmate del genio, teorizzò – nei remoti anni 40 – il Costruttore universale: una macchina capace di riprodurre se stessa. E il bello è che von Neumann immaginava una macchina capace di diventare ubiqua e di evolversi, quasi vent’anni prima che venisse scoperto il Dna.

Per incredibile che possa sembrare, quella macchina esiste. Nel mondo ce ne sono già migliaia e il loro numero sta crescendo in misura esponenziale. E il bello è che non solo è capace di autoreplicarsi, ma anche di costruire oggetti su richiesta. Si è già evoluta e ancora si evolverà. Si chiama RepRap.

«L’idea – racconta Adrian Bowyer, raggiunto al telefono nel suo laboratorio all’Università di Bath, in Inghilterra – è nata sei anni fa. Sul mercato, le stampanti 3D esistevano già da parecchio tempo. Ma mi sono ispirato a una delle più felici collaborazioni in natura: le piante che producono il nettare per attirare gli insetti che a loro volta, inconsapevolmente, trasportano il polline laddove le piante non possono andare». Da questa semplice osservazione, è nato un fenomeno – quasi un movimento – che pare destinato a spalancare le porte a una futura, nuova rivoluzione industriale.

RepRap non esiste in commercio. Ma sul web (www.reprap.org) ci sono le istruzioni su come costruirla, il software per farla funzionare e, non solo Bowyer, ma molti altri, vendono le parti per costruirla. «È un progetto interamente open-source – spiega il papà dio RepRap – perché questa era l’unica via percorribile: se l’avessi brevettato, avrei ostacolato la diffusione universale della macchina». RepRap, come tutte le stampanti 3D, è capace di produrre un oggetto in plastica partendo da un disegno digitale (il cosiddetto Cad, o computer assisted design). Ma, a differenza di quelle in commercio, è stata concepita con l’idea dell’autoreplicazione. Difatti, chi possiede una RepRap è in grado di fabbricare quasi tutte le parti per costruirne un’altra.

«Nel maggio del 2008 – racconta ancora Bowyer – insieme al collega Vik Olliver abbiamo prodotto la prima RepRap figlia, da una RepRap madre». Oggi, ci sono già le nipoti e le bisnipoti. E siccome l’idea ha cominciato a dilagare nel mondo scientifico, Bowyer non sa dire con esattezza quante ne esistano al mondo. «Secondo alcune stime, dovrebbero essercene fra le 4mila e le 6mila unità».

Certo, bisogna avere una certa esperienza nel software, nell’elettronica e nella meccanica «e per questo motivo sono quasi sempre dei team, a costruirla». Ma oltre alla conoscenza e alla passione, c’è bisogno di poco altro: costa meno di 500 euro.

Non siamo ancora al Costruttore universale sognato da von Neumann, ma è solo questione di tempo. La prima RepRap (battezzata Darwin) si è già evoluta in un secondo modello (Mendel), mentre il terzo (Huxley) è già in preparazione. «Mendel è in grado di autocostruire circa il 50% delle sue proprie componenti. Con Huxley intendiamo accrescere questa capacità», spiega Bowyer. Probabilmente si arriverà intorno al 70%, ma l’obiettivo è – indovinate un po’ – il 100 per cento. «Stiamo anche lavorando all’evoluzione di Mendel, il secondo modello, che invece si specializzerà nell’usare diversi materiali», al di là delle attuali termoplastiche.

«Abbiamo già sperimentato con successo un silicone con una polvere metallica, che produce oggetti flessibili e magnetici», racconta l’ingegnere con la passione per la biologia. «Ora stiamo lavorando su delle ceramiche, su una speciale argilla e anche su materiali che consentano la conduzione elettrica, al fine di riuscire a stampare anche circuiti per applicazioni elettroniche». Tutti i risultati sono incoraggianti, assicura Bowyer, che non fa mistero su dove vuole arrivare.

«Fra una ventina d’anni – scommette – RepRap sarà in grado di riprodurre automaticamente qualsiasi oggetto di uso quotidiano: da un vaso per fiori a un telefono cellulare funzionante, sempre con il principio dell’additive manufacturing: la posa di tanti sottilissimi strati di materiali differenti», fino a includere l’elettronica del suddetto cellulare. «Basterà scaricare dall’internet il progetto tridimensionale di qualsiasi oggetto, per replicarlo fra le mura domestiche». Eh già, perché nell’arco di due decenni Bowyer immagina che la sua macchina si sarà evoluta e replicata fino a coprire il mondo. Sarà l’alba di una nuova rivoluzione industriale? «La chiamerei rivoluzione economica, perché influenzerà parecchi aspetti della vita quotidiana».

Ed ecco che torna l’analogia con la simbiosi presente in natura. «RepRap recita la parte della pianta e gli esseri umani quella degli insetti. Gli oggetti fabbricati dalla macchina corrispondono al nettare». E gli esseri umani, come gli insetti, si danno un bel da fare. Al progetto RepRap partecipano scienziati di tutto il mondo. Due società (MakerBot e Bits From Bytes) vendono sul web i pezzi per costruirla. Alcune fondazioni contribuiscono al progetto. E centinaia di sconosciuti reprappers – ce ne sono anche in Italia – sono apertamente incoraggiati a stampare pezzi per costruire altre macchine e diffondere la macchina. «I numeri sono ancora piccoli – ammette Bowyer – ma la crescita è già esponenziale».

Forse non è quel che immaginava il genio di John von Neumann. Ma è facile che, se potesse vedere una RepRap mentre ristampa se stessa, resterebbe sbalordito anche lui.