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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

CO2 SOTTO CHIAVE

L’Italia all’avanguardia mondiale nelle tecnologie per combattere il cambiamento climatico? Può sembrare un’iperbole ma se si visita la grande centrale elettrica Enel di Brindisi si scopre che è proprio così. Senza molti clamori negli ultimi due mesi, intorno al mostro di acciaio e di tubi da un miliardo e 200mila watt al secondo (1,2 gigawatt) sono sorte due alte torri di acciaio, da impianto chimico più che da generazione elettrica. «È il maggiore impianto pilota europeo, a oggi, per la cattura dell’anidride carbonica emessa dalla centrale – spiega Sauro Pasini, direttore della Ricerca e sviluppo dell’Enel – il preludio concreto a quella che sarà nei prossimi decenni, la produzione elettrica da combustibili fossili a emissioni zero, sia di inquinanti che di CO2».

La cittadina di acciaio di Brindisi, con le sue quattro enormi caldaie da oltre 300 megawatt, brucia infatti carbone. Migliaia di tonnellate al giorno, in forma di polverino che alimentano il vapore per le turbine elettriche. I fumi, convogliati in tubi del diametro di una villetta, vengono prima depolverati e poi passati in un complesso impianto di cattura dello zolfo che crea, ogni settimana, una montagna di gesso, accumulato nella "cattedrale", così è chiamato il grande hangar per la sua raccolta, e il ritiro da parte delle imprese edili acquirenti.

Nei fumi, così, resta aria e anidride carbonica. E quest’ultima a tonnellate. L’incubo dei climatologi, la responsabile, secondo L’Ipcc dell’Onu, del riscaldamento dell’atmosfera e del cambiamento climatico globale, scioglimento dei ghiacci artici in prima fila.

Le centrali a carbone, risorsa fossile abbondante e a basso costo, sono le grandi imputate per emissioni carboniche. Non solo in Europa ma, e forse soprattutto, in Usa e Asia (in Cina se ne costruisce una nuova ogni quindici giorni).

«L’elettricità da carbone a emissioni zero è oggi uno degli obiettivi più ambiziosi dell’Unione europea – spiega Pasini – che ha finanziato buona parte dell’impianto pilota di Brindisi». Le due nuove torri non sono una novità per chi si intende di processi chimici. La prima, la più alta, prende il fumo della centrale e lo fa reagire con una soluzione di acqua e ammine (al 30%). Queste ultime si legano alla CO2 e la soluzione viene passata alla seconda torre dove, usando vapore dalla centrale a 120 gradi, le ammine "bollono" e rilasciano la CO2, che viene prelevata purissima e mandata ai serbatoi di stoccaggio. Mentre le ammine ritornano in circolo.

«Anche se può sembrare grande, l’impianto pilota di Brindisi è una sorta di strumento di laboratorio – spiega Matteo Toschi, responsabile del progetto – è già a scala industriale e ci serve per studiare le reali condizioni operative della cattura della CO2 post-combustione. Quali miscele di ammine sono ottimali, quanto durano, quanto reggono l’ossidazione con l’aria, quanto vapore dobbiamo sottrarre alla centrale, e alle sue turbine elettriche, per catturare la CO2».

Il tutto è il preludio per il passo successivo previsto dall’Enel. «La nuova centrale a carbone di Porto Tolle che, nei nostri piani – dice Pasini – dal 2015 dovrebbe avere uno dei primi sistemi al mondo di cattura della CO2 a piena scala industriale, capace di mangiarsi il 40% delle emissioni un gruppo da 300 megawatt e di inviarle, via gasdotto, in uno stoccaggio sotterraneo sicuro a 1.500 metri sotto il fondo del mare Adriatico».

Ccs, in gergo, carbon capture and storage. «La Commissione oggi prevede 7-8 progetti dimostrativi in Europa – prosegue Pasini – e il nostro non sarà piccolo. Da un miliardo di euro, di cui, si spera, il 50% finanziato dall’Unione, il 15% con il ricavato dei certificati verdi e il restante 35% dai governi».

Quasi un milione di metri cubi di CO2 all’ora (contro i 10mila del progetto pilota di Brindisi) sottratti all’atmosfera, compressi e liquefatti e poi inviati, forse, in un giacimento di gas esausto al largo in mare, una volta accuratamente controllata la sua impermeabilità. «E gli studi sono in corso, con i geologi dell’Ingv».

L’impianto ad ammine è però solo una delle quattro frontiere in movimento sulla cattura della CO2. Le altre puntano sulla combustione in ambiente di ossigeno puro (e quindi fumi quasi solo di CO2), l’estrazione preventiva di idrogeno dal combustibile e la sua combustione pulita, e infine membrane in nuovi materiali capaci di catturare la CO2 senza necessità di torri chimiche. «Si tratta di approcci alternativi interessanti, e su cui lavoriamo. Per esempio Endesa punta a un dimostrativo a combustione in ossigeno e letto fluido di carbone. E noi abbiamo in progetto un piccolo impianto per la prova delle membrane. Ma, tra tutti, il processo ad ammine è il più consolidato. Certo, consuma circa il 10% della potenza della centrale, ma noi contiamo, con nuove soluzioni chimiche e affinamenti, di scendere al 7-8% in pochi anni».

Questo dal 2015 in avanti, data obiettivo per il dimostratore di Porto Tolle (che verrà realizzato da aziende impiantistiche italiane). Poi le delegazioni cinesi saranno ben accolte e incoraggiate a fare altrettanto.