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 2010  settembre 01 Mercoledì calendario

DA COPPI A FANTOZZI, LA SAPIENZA DIMEZZATA DALLE PENSIONI ILLUSTRI —

Per toccare con mano la difficile situazione delle università italiane, basta entrare in una delle sue facoltà più prestigiose, giurisprudenza, la Sapienza, Roma. Da qui è passata buona parte della classe dirigente del Paese. Ma l’anno (accademico) che sta arrivando non porta buone notizie. Su 68 professori ordinari in organico, 27 andranno in pensione. Quasi la metà. Tra gli addii ci sono nomi illustri come Franco Coppi, l’avvocato che ha difeso Giulio Andreotti, Augusto Fantozzi, ministro e da ultimo commissario per Alitalia, e poi il costituzionalista Alessandro Pace, il teorico del diritto Natalino Irti, il privatista Gianni Bessone. Ma il problema non è il livello di quelli che se ne vanno. Il guaio vero è che nessuno di loro sarà rimpiazzato: 27 a zero, alla faccia del turn over. Con i pochi soldi rimasti in cassa, la Sapienza si può permettere 4 assunzioni di ordinari. Ma nessuno di questi fantastici quattro atterrerà nelle aule di giurisprudenza. Il risultato è che alcune cattedre rischiano di rimanere scoperte, come quelle di diritto tributario o di di ritto canonico. Mentre per altre, come privato che perde due docenti su quattro, il sovraffollamento è garantito. «Prima la legge Mussi ha abbassato l’età pensionabile da 75 a 72 anni — dice il preside Mario Caravale —, poi con la Gelmini questo tetto è sceso di fatto a 70». Scelte non strampalate: ancora adesso i professori italiani sono quelli che vanno in pensione più tardi contro una media europea di 65 anni. Ma senza la possibilità di nuove assunzioni il ricambio generazionale diventa paralisi.
Il preside sta provando a cucire una toppa. «Ad alcuni dei professori che dovrebbero andare via proporremo un contratto di un anno, continueranno a fare lezioni ed esami». Compenso simbolico, 200 euro l’anno, tra i 27 una decina ha già detto sì. Ma non è detto che la misura passi davvero, e c’è chi pensa che aggirerebbe le norme sull’età pensionabile. «Una soluzione la troveremo», assicura il preside. Ma oltre che della mancanza di soldi, il rischio blocco è figlio di scelte storiche e forse ormai antistoriche.
Questa è l’unica facoltà italiana, insieme a giurisprudenza di Torino, a non avere professori associati. O si è ricercatori — che adesso sono 120 —, o professori ordinari. Tra questi corridoi non è mai arrivata la riforma che nel 1980 creò il «docente di mezzo» come allora venne chiamato l’associato. Perché? La facoltà si è sempre considerata un centro d’eccellenza, un punto d’arrivo nella carriera dei professori di tutta Italia. E per questo, quando le assunzioni erano ancora possibili, ha sempre pescato tra i professori già affermati nelle altre università: ordinari e ben al di sopra dei 50 anni. Una scelta che forse negli anni ha pagato ma che adesso ha tutto l’aspetto di un boomerang. L’età avanzata dei professori, sono quasi tutti sopra i 60, è la causa principale di questo esodo di massa. E la mancanza di associati rende impossibile assunzioni low cost. In soldoni: per prendere un professore ordinario che è già associato bisognerebbe mettere sul piatto solo la differenza di stipendio, 40 mila euro lordi l’anno. Ma in mancanza di associati e dovendo pescare un ordinario da un’altra università, la voce in bilancio sarebbe pari all’intero stipendio, 120 mila euro lordi l’anno. Di questi tempi non se ne parla proprio. Il preside Caravale dice che il problema è a monte: «Quarantamila o 120 mila euro non fa differenza, i soldi non ci sono proprio». Sarà, ma forse potrebbe cadere un tabù. E nella facoltà che non li ha mai voluti potrebbe arrivare un associato. O di più. A differenza di quello che avviene in tutte le altre facoltà, qui i ricercatori non fanno lezione. Seminari, esami ma in cattedra no perché sono sempre stati considerati come i vecchi assistenti. Una decina di ricercatori ha scritto al preside, ha offerto la propria disponibilità a tenere i corsi rimasti scoperti. Una protesta al contrario visto che in tutta Italia, contro la riforma dell’università approvata al Senato, i ricercatori sono pronti a non fare più lezione, paralizzando la didattica. Dalla facoltà i dieci non hanno ricevuto risposta. D’accordo i pensionamenti e la crisi, ma la tradizione è sempre tradizione.
Lorenzo Salvia