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 2010  settembre 01 Mercoledì calendario

Intervista a Marco Tarchi - «Il premier deve liberarsi di Fini» - «Berlusconi? Deve stanare Fini e portarlo alla prova delle urne»

Intervista a Marco Tarchi - «Il premier deve liberarsi di Fini» - «Berlusconi? Deve stanare Fini e portarlo alla prova delle urne». Marco Tarchi, politolo­go e docente di Scienze politi­che all’università di Firenze, non ha dubbi sui rischi che cor­re la maggioranza. Tarchi cono­sce bene Fini, da più di 30 anni, quando militavano nell’orga­nizzazione giovanile del Msi e si sfidarono per la guida del mo­vimento. 1977, assemblea naziona­le del Fronte della Gioven­tù. Lei raccolse la maggio­ranza dei voti mentre Fini solo una manciata, arri­vando quinto nella corsa alla segreteria. Ma Almi­rante lo nominò comun­que leader dell’organizza­zione giovanile. «Il partito usciva dalla scissio­ne di Democrazia nazionale a cui aveva aderito quasi tutta la classe dirigente giovanile, salvo alcuni dirigenti dell’opposizio­ne interna rautiana, tra i quali c’ero anch’io. Almirante non si fidava abbastanza degli uomini rimasti». Quindi Fini era già un delfi­no designato a 25 anni? «Sì, perché si era trovato in una situazione favorevole. Già alla vigilia dell’assemblea tutti sapevamo che sarebbe stato no­minato lui. Il regolamento con­gressuale, fatto ad hoc e impo­sto in modo non troppo orto­dosso, prevedeva che Almiran­te potesse nominare segretario uno dei sette più votati. Il gioco era finito prima di giocare». I militanti però non accol­sero serenamente la deci­sione di Almirante... «No, perché la votazione di­mostrò che c’era una maggio­ranza avversa. I militanti non apprezzarono perché l’Assem­blea aveva dimostrato che Fini non godeva del consenso della maggior parte dei centri provin­ciali ». I primi passi di Fini. «Ebbe molte difficoltà nei pri­mi due anni, ma le superò an­che con il pesante appoggio di Almirante e la sua politica degli interventi disciplinari. La sosti­tuzione dei segretari dissidenti per normalizzare la situazione divenne la regola». Nel ’77, durante il primo Campo Hobbit (festa della destra giovanile) i pochi fi­niani presenti furono pre­si a schiaffi proprio per questo. «Viespoli ha rivendicato di aver schiaffeggiato Fini. Ma non esagererei. Sono stati episo­di marginali». Nel suo ultimo libro, «La ri­voluzione impossibile», analizza quel periodo. Nel Msi si parlava di svolta mo­derata con Fini. Ma poi la parte più movimentista di­venne protagonista degli anni di piombo. «È stato un fenomeno limita­to, quasi tutto romano con alcu­ne piccole appendici locali. C’è da dire che però alcuni tentativi di moderazione provocarono la reazione opposta. Ma nel suo interno il Fronte della Gioventù non ha avuto grossi problemi. Direi che sia stato soprattutto il clima esterno che metteva a re­pentaglio la possibilità di fare politica». Poco dopo si consumò il suo divorzio con il Msi. «Era il gennaio del 1981». Il suo giornale (La voce del­la fogna), amato dai mili­tanti, era poco gradito ai vertici del Msi, spesso nel mirino della satira. «C’erano state numerose ma­nifestazioni d’insofferenza per La voce della fogna non tanto perché attaccava i vertici quan­to perché criticava un certo at­teggiamento mentale predomi­nante nel partito totalmente inadatto ai tempi. I motivi di scontro furono tanti. Primo fra tutti la proposta di reintrodurre la pena di morte, appoggiata da Fini». Ma se non l’avessero mes­s­o alla porta avrebbe conti­nuato l’ attività politica? «Il divorzio si sarebbe consu­mato comunque. Quando mi dimisi da vicesegretario scrissi una lettera molto polemica a Fi­ni in cui dicevo che non esiste­va spazio alcuno per il dissenso interno. E portavo come esem­pio la destituzione di due diri­genti napoletani, che con i loro voti avrebbero fatto vincere la componente rautiana nelle ele­zioni per la segreteria della Campania. Per evitare una sconfitta, Fini li cacciò dall’oggi al domani. Per me fu la goccia che fece traboccare il vaso». Intolleranza per il dissen­so, è proprio quello ora che Fini denuncia all’inter­no del Pdl... «Di questo ne ho scritto an­che in sede scientifica. Nel libro Dal Msi ad An , ho scritto che il Msi era, e An dopo ancor di più, un partito a centralismo plebi­scitario. La gestione era affidata a un leader considerato una sor­ta di sovrano assoluto. Fini ha esercitato questi poteri in mo­do assolutamente drastico, avendo in grande astio qualsia­si forma di dissenso» Nel 1987 ci fu la festa del partito a Mirabello, con Al­mirante che designò Fini suo erede. La genesi? «Dell’87 ricordo ciò che scris­sero i giornali, come Panora­ma , che definì Fini “il miracola­to dell’Assunta”. Cioè Assunta Almirante che aveva convinto il marito a designare Fini suo ere­de. Non so se corrispondesse al vero ma questa è l’interpreta­zione che se ne dava. Di sicuro Fini era designato da altri. Lui non doveva fare nulla, erano al­tri a fare per lui». E adesso? «Adesso deve star da solo e trovare la linea adeguata. Co­munque non è da oggi (come politologo lo dico da anni), che la sua posizione è quella di chi non pensa di ottenere la legitti­mazione di leader dall’interno della forza politica a cui fa riferi­mento. Da tempo si presenta co­me ragionevole a ogni costo, moderato, politicamente cor­retto perché spera in una fase confusa o difficoltosa di un post Berlusconi per essere legittima­to dagli altri, dagli avversari e co­sì costruire qualcosa di più soli­do ». Oggi, 23 anni dopo, un’al­tra Mirabello, tanto attesa per scoprire quale strada sceglierà Fini. La sua ne­mesi? «A Mirabello ci sarà una pro­va di forza. Lancerà il sasso ma ritirerà la mano. Non credo che farà uno nuovo partito, lui cer­ca di lavorare ai fianchi, di ero­dere, ma ha tutta la convenien­za di restare nel Pdl». Durante la sua segreteria, Fini è riuscito a fagocitare gli avversari oppure a epu­rarli. Sistema Fini oppure sistema Msi? «Nel 1995 ho definito l’atteg­giamento mentale dominante tra i quadri e i militanti il “com­plesso di Mosè”, cioè affidare al capo, quasi fosse un profeta, ogni responsabilità per la vita stessa della comunità dei mili­tanti e dei sostenitori. Ora, se si pensa che Fini, più per le circo­stanze che per capacità sua, è riuscito a traghettare fuori dal periodo di cattività quel mon­do politico e umano, si può capi­re perché l’intolleranza aperta verso il dissenso abbia trovato in lui un interprete ancor più ri­goroso ». La nuova compagna, la fa­miglia Tulliani e i suoi affa­ri, Montecarlo, lo strappo nel Pdl... È un altro Fini? «A parte le note vicende che lo hanno coinvolto quando la prima moglie abbandonò il ma­­rito, dirigente del Fronte della Gioventù, per lui, mi è parso te­nere un profilo sempre molto basso sulle sue vicende perso­nali. Anche su questo ha cerca­to di essere l’opposto di Berlu­sconi. Ma io, da ricercatore, mi baso unicamente sui fatti e sui documenti, quindi non ho ele­menti per dire se c’è stato qual­che cambiamento. Di certo ora dà un immagine di divisione più che di unione, come è avve­nuto quando nacque An. Ora appare come il leader di una corrente, cosa che in passato ha sempre aborrito». Molti invocano le sue di­missioni, per la questione Montecarlo e per l’incom­patibilità tra leader politi­co e carica istituzionale. «Ho una posizione diversa. Nell’analisi della politica seguo un approccio realista. Vorrei scrostare da molta ipocrisia le fi­gure istituzionali: hanno tutte una storia politica alle spalle. Non si cambia drasticamente perché si passa su uno scranno significativo. Certo, la sovrae­sposizione e lo scontro interno non rendono Fini credibile co­me arbitro agli occhi della mag­gioranza che lo ha eletto». Pugnalate e diplomazia: il Pdl è ad un’impasse. La maggioranza finirà la legi­slatura? «A Fini e ai suoi conviene che il governo si logori giorno dopo giorno, non che cada. Se Berlu­sconi giungesse spossato a fine legislatura, i finiani potrebbero rivendicare buone ragioni per sancire alleanze diverse. Insom­ma, hanno un interesse eviden­te a giocare contro il Pdl, ma se accelerassero troppo rischie­rebbero di doversi sottoporre prima del tempo alla prova del­le urne, senza essere preparati. E il loro prevedibile scarso peso non li renderebbe appetibili per i patrocinatori di terzi poli». E al Pdl quali carte riman­gono? «Per quanto sia un azzardo, a mio parere Berlusconi avrebbe un vantaggio a stanare Fini por­tandolo alla prova delle urne. Il logorio serve a Fini, non a Berlu­sconi »