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 2010  settembre 01 Mercoledì calendario

Chavez gli toglie la terra e Franklin si lascia morire - Si chiamava Franklin Brito, aveva 49 anni e quando è morto nell’ospedale militare di Caracas alle 3,30 italiane di ieri mattina, pesava appena 35 chili, nulla per uno come lui alto un metro e 90 cm

Chavez gli toglie la terra e Franklin si lascia morire - Si chiamava Franklin Brito, aveva 49 anni e quando è morto nell’ospedale militare di Caracas alle 3,30 italiane di ieri mattina, pesava appena 35 chili, nulla per uno come lui alto un metro e 90 cm. Franklin è il primo cittadino venezuelano a lasciarsi morire con uno sciopero della fame. Brito non era un prigioniero alla Orlando Zapata Tamayo, il cubano deceduto lo scorso 23 febbraio perché da 85 giorni rifiutava ogni cibo per far valere i propri diritti, ovvero per potere indossare in carcere l’abito bianco simbolo della dissidenza, invece dell’uniforme d’ordinanza. Britto non era un attivista politico come Orlando e neanche un sociologo, come Guillerme Fariñas - l’altro cubano in sciopero della fame che ha richiamato l’attenzione del mondo sulla violazione dei diritti umani a Cuba - bensì un semplice «productor agropecuario», come si direbbe dalle nostre parti, un coltivatore diretto, sposato con una maestra. Ma come i due dissidenti cubani aveva scelto la via gandhiana proprio per dissentire da una decisione del governo del presidente Hugo Chávez che per lui rappresentava la morte civile, ovvero l’espropriazione delle sue terre avvenuta sette anni fa. È il 2003 quando l’Inti, l’Istituto Nazionale delle Terre, decide di espropriare a Franklin i 290 ettari della sua tenuta Iguaraya, nello stato di Bolívar, nel Venezuela meridionale. Pochi giorni dopo la moglie perde il lavoro da maestra. Per Britto si tratta chiaramente di una rappresaglia dello Stato: poche settimane prima dell’esproprio, infatti, il coltivatore diretto aveva litigato con un sindaco filo-chavista della regione su questioni legate alla resa delle terre. Per il governo, invece, l’esproprio è regolare e Franklin solo un borghese un po’ «troppo bizzarro». Lui non ci sta e nel 2004 comincia in Plaza Miranda, pieno centro storico di Caracas, il primo dei suoi otto scioperi della fame per riottenere le sue terre. È determinato a tal punto che, quando si taglia un dito della mano di fronte al Tribunale Supremo di Giustizia, Britto diventa un «caso nazionale», intervistato dalle televisioni del suo Paese a cominciare dall’anti-chavista Globovisión. Per l’opposizione al governo bolivariano che si ispira al Socialismo del Secolo XXI è un paladino, l’eroe Davide che si oppone al Golia-Chávez che tutto può e a cui tutto è concesso. Per il governo invece non è niente più di una marionetta nelle mani dei media controllati dall’opposizione, un borghese manipolato o, molto più semplicemente, un «pazzo». La storia di Franklin ha dunque due facce. Una raccontata dagli anti-chavisti, che lo difendono compatti e lo innalzano a simbolo contro la deriva castrista del Venezuela, l’altra dai supporter di Chávez, che lo ignorano quando possibile e lo squalificano quando lui guadagna le prime pagine dei giornali ogni volta che intraprende un nuovo sciopero della fame. Nel giugno del 2009 Britto inizia la sua settima protesta gandhiana nella sede di Caracas dell’Oea, l’Organizzazione degli stati Americani. Dopo 154 giorni di un digiuno che mette in grande imbarazzo il governo Chávez, l’Inti promette di sanare la situazione proponendo a Britto un risarcimento oltre al reintegro delle terre, ma lui non accetta perché vuole un nuovo certificato di proprietà. Per questo Franklin rioccupa la sede dell’Oea, iniziando il suo ultimo, fatale, sciopero della fame. Per ordine di un giudice viene prelevato il 13 dicembre dalla Polizia metropolitana di Caracas e trasferito contro la sua volontà nell’Ospedale militare della capitale. All’epoca i familiari avevano denunciato il trasferimento, descrivendolo come un «sequestro», ieri con un comunicato hanno ribadito il concetto: «Il governo del presidente Chávez ha ignorato la richiesta di Franklin e degli organismi internazionali affinché potesse avere accesso ad un’assistenza medica scelta e non imposta». Per la figlia, intervistata dal quotidiano Tal Cual, «lo hanno voluto fare morire, le uniche persone ammesse al suo letto eravamo io e mia madre, perché non volevano che nessuno lo fotografasse». Invece le fotografie poche ore dopo l’annuncio della morte del primo dissidente venezuelano per sciopero della fame facevano già il giro del Web e, per distogliere l’attenzione, a nulla è servito l’annuncio fatto da Chávez della riesumazione del corpo delle due sorelle di Simón Bolívar, María Antonieta e Juana, per risalire alle vere cause della morte dell’eroe della liberazione del Sudamerica. Il corpo che interessava ieri era un altro.