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 2010  agosto 31 Martedì calendario

IL BONUS DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE

Eric Schmidt, presidente del Consiglio di amministrazione di Google e ceo del colosso americano, dove è arrivato nel 2001, racconta a cosa serve per rendere una città
smart, come fare per non perdere mille miliardi di dollari e qual è l’unico posto in cui non è mai stato. E spiega perché la Silicon Valley resta il cuore pulsante dell’innovazione globale. Grazie alla presenza delle università e del venture capitalism. Ma anche grazie al clima.
Potrà mai esserci un’altra Silicon Valley, negli Stati Uniti o da un’altra parte? Che cos’è che la rende tanto speciale?
Innanzitutto il clima. Penserà che sto scherzando, ma secondo me il clima ha giocato sicuramente un ruolo. Possono esserci molte altre Silicon Valley. È un modello assolutamente riproducibile, il merito non è di una fonte miracolosa che sgorga solo in questa parte della California. La storia della Silicon Valley comincia negli anni 50.In sostanza, quello che è successo qui è che c’erano università importanti fortemente concentrate sulla ricerca, una cultura relativamente liberale e creativa, tantissime ragioni per indurre i giovani a stabilirsi qui; e sono i giovani quelli che hanno le idee nuove. Poi è arrivato lo sviluppo dell’industria del venture capitalism. La cosa interessante è che ogni dieci anni qualcuno scrive un articolo che dice che l’ultima ondata d’innovazione è venuta dallaSilicon Valley, ma che la prossima verrà da qualche altra parte. E invece ormai siamo a quattrocinque ondate di innovazione tecnologica di fila che nascono qua; la Silicon Valley si dimostra particolarmente resistente, grazie alla combinazione di università, cultura, clima, capitale. La mia tesi è che se hai tutti questi elementi puoi avere una Silicon Valley dove ti pare.
Se Google non fosse nella Silicon Valley, c’è qualche altro posto, fra quelli in cui lei è stato, in cui se la immagina, o qualche altro posto nel mondo che le ricorda la Silicon Valley?
È una domanda molto difficile. Quasi tutti direbbero che Cambridge (Cambridge in Inghilterra) soddisfa molti dei criteri, c’è stata un’esplosione di start up laggiù. Un altro posto plausibile sarebbe New York. Non ha il clima della Silicon Valley ovviamente, ma ha la capacità di attirare giovani e sicuramente ha la sofisticatezza finanziaria necessaria: grandi quantità di persone intelligenti e senso della globalizzazione sono due elementi molto importanti. Difficilmente potrebbe succedere in un posto che non è stato capace di inserirsi o vedersi in un contesto globale. La zona della Baia di San Francisco, essendo una porta d’accesso verso l’Asia, si è sempre vista in un contesto globale.
Che ne dice di un posto come Shanghai o Pechino?
Shanghai potrebbe andare, anche se in Cina le università più importanti si trovano a Pechino.
Shanghai non è la New York cinese, ma potrebbe esserlo. Bangalore si è imposta come centro high-tech in India anche grazie al clima gradevole, alla presenza di un forte sistema universitario e al sostegno concertato dello Stato. Ci sono versioni parziali di quello che è successo nella Silicon Valley.
In che modo l’informatica sta cambiando il mondo?
Quando ero ragazzo i media erano controllati da un’élite. E la maggioranza degli abitanti del pianeta era poverissima, sia nel senso delle risorse sia in quello dell’informazione.Da allora è successa tutta una serie di cose: la rivoluzione digitale, la rivoluzione della telefonia mobile e così via, tutte cose di cui vado estremamente orgoglioso, perché equivalgono in pratica a sottrarre la gente alla miseria e all’ignoranza e a dare loro una ragionevole capacità di comunicare per prendere parte al dibattito. L’informazione dà più potere agli individui. E ha un impatto enorme sulla società, e in senso quasi interamente positivo. Pensi a quelli che adesso possono ottenere informazioni sulla finanza o sulla tecnologia, o a quelli che vanno a scuola e non possono permettersi i libri di testo, ma hanno accesso all’informazione online. O immagini la medicina? Ci sono tantissimi settori. La globalizzazione ha chiaramente avuto il merito di sottrarre 2 miliardi di persone alla miseria e farle diventare classe media, anche se a livelli molto bassi. Il risultato è che queste persone hanno un migliore accesso all’istruzione e hanno più opportunità: ci sono meno probabilità che ci attacchino, perché sono impegnati a cercare di realizzare la loro versione low cost del sogno americano. Stanno cercando di comprarsi una macchina.
C’è un aspetto negativo di questo iperaccesso all’informazione?
Mi preoccupa il declino di quella che io chiamo lettura profonda. La lettura del genere "Sono qui seduto un aereo, senza collegamento internet, mi leggo un libro da cima a fondo". È qualcosa che si fa meno di quanto si facesse un tempo, in un mondo dove tutto è frammentario, tutto è messaggi istantanei, tutto è un "breaking news" o una segnalazione di novità.
Che cosa sta leggendo in questo periodo?
La guerra segreta della Cia , di Steve Coll.
C’è un posto nel mondo che non ha mai visitato, ma in cui le piacerebbe andare?
Israele.
Che cos’è un buon rischio?
Non si può eliminare del tutto il rischio, ma di sicuro ci si può mettere in situazioni in cui il fallimento non è così terribile. In altre parole, dove si fallisce presto. Fallire presto, con una squadra ristretta, prima di impegnare 20 miliardi di dollari in qualcosa. Se 10 persone falliscono, magari hai sprecato il loro tempo e un paio di milioni di dol-lari, ma se esplode una navicella spaziale e tutta la faccenda finisce in un disastro, hai perso mille miliardi di dollari.
Come nasce l’innovazione?
Le vere intuizioni non nascono da progetti lineari, nascono dal mettere insieme idee, pensare a cose varie, e poi all’improvviso? La creatività arriva il sabato mattina, quando meno te l’aspetti.