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 2010  agosto 31 Martedì calendario

BOOM CESAREI, AL SUD UNO OGNI DUE NASCITE ECCO PERCHÉ L´ITALIA HA IL RECORD IN EUROPA

Hanno paura delle richieste di risarcimento, ritengono i loro ospedali organizzati male, non si sentono abbastanza competenti per affrontare il parto naturale. E così fanno spostare la donna in sala operatoria, chiamano l´anestesista e impugnano il bisturi. In Italia si fanno un´infinità di cesarei. Troppi: l´Oms chiede che non superino il 15% del totale delle nascite (un limite che starebbe per salire di 10 punti) ma da noi sfiorano il 38%. Di media, perché al Sud la situazione è ancora peggiore. La Campania è al 60, la Sicilia è al 52. L´allarme su dati difficili da scalfire, ormai da anni, è arrivato ieri dal ministro Ferruccio Fazio, a Messina per il caso del litigio di due medici di fronte a una donna in condizioni critiche: «La proliferazione di questi interventi può essere dovuta anche a forme di non trasparenza. Ho già parlato della necessità di non lucrare nel settore della sanità», ha commentato.
La chirurgia ovviamente porta con sé dei rischi, a maggior ragione se praticata su chi non ne avrebbe bisogno. Non è il caso di Messina, dove giovedì scorso il cesareo è stato necessario e urgente, ma i problemi organizzativi e comportamentali che hanno portato allo scontro tra i due medici dell´ospedale rivelano le condizioni difficile delle nostre maternità, che si manifestano anche in un eccesso di parti chirurgici. «Il nostro sistema dell´assistenza alla nascita ha bisogno di manutenzione. Abbiamo strutture inadeguate», spiega Giorgio Vittori, presidente della Sigo, società italiana di ginecologia e ostetricia, che di recente ha realizzato un sondaggio dentro 200 punti nascita proprio sul parto cesareo. I dottori hanno detto la loro: temono le cause civili ma anche ambienti di lavoro non attrezzati. Così preferiscono fissare l´intervento chirurgico. «Solo un terzo dei cesarei è dovuto cause cliniche», dice Vittori. Gli altri sono dettati dai timori dei professionisti.
Ma non solo. È innegabile che il cesareo venga in molti casi consigliato alla donna per motivi economici, come sembra ipotizzare lo stesso Fazio. Il business è redditizio, inoltre programmare è più comodo per il ginecologo e la struttura dove lavora. Non c´è da correre in sala parto la notte, il weekend è libero. Soldi e meno stress, una miscela che in certe realtà del sud produce un risultato esplosivo, quasi unico in Europa. «Da noi ci sono cliniche private che fanno il 90% di cesarei», spiega Giuseppe Ettore direttore del dipartimento materno infantile del Garibaldi di Catania e responsabile regionale dell´Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri che sta collaborando con l´assessorato alla salute siciliano al progetto che vuole portare i dati entro percentuali accettabili. «In Italia inoltre il 44% dei punti nascita fanno meno di 500 parti all´anno - spiega - Cioè pochi perché la struttura sia sicura. È logico che si tenda a fare più cesarei, per stare più tranquilli in ospedali dove mancano risorse, anche di personale. Si chiama medicina difensiva. Non ci dimentichiamo che un ginecologo ostetrico su quattro in Italia è indagato per responsabilità professionale». Si innesca così un circolo vizioso, spesso sono le stesse donne a chiedere ai ginecologi di utilizzare il bisturi. Secondo la ricerca della Sigo il 27% dei cesarei è frutto di una scelta precisa delle future madri ma è difficile dire se sulla loro decisione abbia inciso il consiglio interessato di un medico.
Di certo un ruolo lo ha la quasi certezza che con la chirurgia si trovi in sala il proprio ginecologo di fiducia, quello che ha seguito tutta la gravidanza, magari nel suo studio privato. «Io alle pazienti che mi chiedono di essere presente al loro parto dico sempre che non ce n´è bisogno, visto che nella mia struttura lavorano tutti bene - dice sempre Giuseppe Ettore - Alla fine mi ringraziano per questo suggerimento». A Messina il medico di fiducia era presente anche se nel suo contratto con la struttura ospedaliera questa possibilità non sarebbe stata prevista. «La legge è chiara - spiega Ettore - La donna può essere seguita in una struttura pubblica dal suo ginecologo solo se questo è dipendente e lavora in regime di intramoenia, cioè libera professione, ma sempre in linea con il regime del reparto. Se non è dipendente di quell´ospedale può prestare solo sostegno psicologico». Del resto la responsabilità di quello che succede in sala parto è del medico di guardia. «E´ lui che deve prendere tutte le decisioni - dice Vittori - Purtroppo in certe realtà c´è una confusione di ruoli. In parte è dettata dal fatto che per riparare alle carenze di organico si sono prese persone con contratti diversi, tipo cococo».