Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 26 Giovedì calendario

IL FRAGOROSO SILENZIO DEL COSMO

Perché non li sentiamo? Sono più di cinquant’anni che li cerchiamo, 24 ore al giorno e tutto l’anno, sperando di ascoltarne almeno uno. Stiamo parlando dei segnali elettromagnetici che civiltà extraterrestri potrebbero aver emesso per comunicare laloro esistenza ad altri esseri intelligenti, come noi. Secondo molti scienziati, nell’Universo civiltà così progredite dovrebbero essercene tante: migliaia, forse forse addirittura milioni. E invece nulla, neppure il più lieve, indecifrabile sospiro.
Ad aspettare i segnali radio di questi extraterrestri, che si pensa siano probabilmente emessi alla frequenza di 1,420 gigahertz tipica dell’idrogeno neutro, è il progetto Seti, Search for Extra-Terrestrial Intelligence, che per questa ricerca ha utilizzato, fin dal 1960, praticamente tutti i maggiori radiotelescopi del globo. Dal 1984 è gestito da un Istituto di ricerca privato, pensato da Frank Drake che ne è tuttora il direttore, e che ha sede a Mountain View, in California, non distante dal quartier generale di Google. Si mantiene con pochi fondi pubblici e molti di facoltosi appassionati dell’intrigante tema dell’esistenza degli alieni, fra cui Paul Allen, cofondatore di Microsoft con Bill Gates. È lui che ha finanziato, assieme all’Università di Berkely, l’Allen Telescope Array, in California. Attualmente è costituito da 42 parabole di 6 metri di diametro, ma entro la fine dell’anno arriverà a 350 elementi disposti su un’area di un chilometro di diametro, funzionanti come un unico radiotelescopio. Costo: 25 milioni di dollari.
Sarà l’orecchio più fine di Seti, col quale si spera di poter arrivare ad ascoltare segnali molto deboli che arrivino da stelle più lontane dei miseri 200 anni luce cui le attuali tecnologie ci permettono di arrivare. Messaggi che ci arrivassero da più lontano non riusciremmo oggi a catturarli: troppo deboli. In pratica, Seti riesce a tenere sotto controllo solo un migliaio di stelle a noi vicinissime, ben poche insomma.
L’idea che sta alla base della ricerca di civiltà extraterrestri basata sui segnali radio è infatti basata proprio sui grandi numeri. Nella nostra Galassia si contano almeno duecento miliardi di stelle che, come hanno dimostrato le scoperte degli ultimi 15 anni, hanno in grandissima percentuale pianeti che orbitano loro attorno. Un 10% di queste stelle sono abbastanza simili al nostro Sole. Con questi numeri anche se mettiamo condizioni molto stringenti per l’esistenza di vita intelligente ci restano comunque milioni di pianeti come possibili candidati a ospitare una civiltà evoluta che abbia pensato di segnalare la sua presenza con quello che, a noi, sembra il mezzo più ovvio, onde elettromagnetiche codificate in modo da farci capire che sono state emesse da esseri intelligenti.
Tutto bene quindi, ma allora, come pare abbia detto un giorno Enrico Fermi, se l’Universo è pieno di pianeti abitati, dove sono i segni di tutte queste civiltà intelligenti?
Certo problemi ce ne sono, e molti: useranno le onde radio davvero questi alieni, o altri mezzi che non conosciamo? Stiamo ascoltando la frequenza giusta? E mille altre ragionevoli domande che ci si può fare, ma il punto fondamentale sono le distanze enormi esistenti nello spazio. Rovesciamo il problema: il primo importante segnale radio generato dalla nostra specie, quello spedito da Marconi dal Regno Unito al Canada il 12 dicembre 1901, potrebbe essere uscito dall’atmosfera e oggi, debolissimo, si troverebbe a 110 anni luce circa dalla Terra, dopo aver incontrato parecchie centinaia di stelle e le migliaia di pianeti che orbitano attorno a quelle. Pochissime in realtà e anche se ci può sembrare abbia percorso una gran distanza, se pensiamo che la nostra Galassia ha un diametro di 100.000 anni luce, capiamo che quel primo segnale di Marconi è praticamente ancora sull’uscio di casa.
Ma uno ben più potente è stato spedito nel 1974 con il radiotelescopio di Arecibo, in Portorico, che, con un diametro di 305 metri, è il maggiore mai costruito. Il messaggio conteneva 1679 bit di informazione, numero utilizzato intenzionalmente dato che è il prodotto di due numeri primi, 23 e 73, e questo fatto, per una civiltà evoluta, dovrebbe essere significante, dato che possiamo fare l’ipotesi molto ragionevole che conosca bene le basi della matematica, almeno quanto noi. Spedito con la massima potenza possibile il segnale radio arriverà al suo bersaglio, l’ammasso stellare M13 nella nostra Galassia, nell’anno 26.974. Ci sarà qualcuno ad ascoltarlo, e se ci dovesse rispondere, qui da noi nel 50.000, o giù di lì, chi ci sarà ad attendere la risposta? Può sopravvivere una civiltà per così tanto tempo?
La sfida di Seti, dopo 50 anni, è ancora tutta da giocare. Anche se, con le nostre attuali cognizioni scientifiche, le distanze nell’Universo sembrano rendere comunque vano il tentativo di rompere la nostra solitudine cosmica.