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 2010  luglio 24 Sabato calendario

ARGOMENTI DI: SOLARO DELLA MARGARITA, MEMORANDUM STORICO POLITICO, SPIERANI E TORTONE, TORINO, 1851

(parte 3 - Vedi parte 1 in frammento n. 199287 e parte 2 in frammento n. 218090)

• «Certamente è progresso di civiltà, è utile al commercio, all’industria aprir nuove strade, e non sarei mai per oppormivi, ma per disgrazia dei tempi di ogni cosa in se stessa buona si fanno promotori coloro che nulla operano mai senza un secondo fine il più delle volte cattivo. Si vorrebbero rompere tutte le barriere, aprir tutti i confini, inventar nuove leggi di comunicazione fra uno Stato e l’altro, cosichè confusi gl’interessi di tutti i paesi, i popoli vengano a formare una gran famiglia Europea, senza distinzione d’Italia, di Germania, di Francia o d’altra terra qualunque, e ciò mentre non si parla che di stabilire le singole nazionalità! Bella maniera di stabilirle, di ristaurarle, cancellando i costumi, gli usi, le leggi, i principii di ogni gente per livellar tutto ad un modo» [274]

• Il «dottor Baber, ritornato in America all’esercizio di sua professione, per vincere la ripugnanza di un’infermo ad inghiottire una dose di acido prussico da lui prescritta, l’assorbì egli stesso e cadde infelicemente estinto all’istante presso il letto del ben avveduto ammalato» [277]

• Gli arcifanfani di dottrina [279]

• «Si stabilì in quest’anno [1843] coll’approvazione del Re, la Società Agraria che tenne il suo primo congresso in Alba. Bellissima cosa in massima, e da promoversi come tutto quanto tende al vantaggio del paese, ma il beneficio io non vedeva di buon occhio, poichè guardando sotto la corteccia di quell’aureo frutto, vi scorgeva la semenza corruttrice. Timeo Danaos et dona ferentes. Tanto bene progettato, offerto da molti che non avevano campi da migliorare, non interessi da tutelare, nè s’erano mai distinti per atti di vera umanità a pro della patria, mi facevano dubitare che avessero qualche altro intendimento [...] Se fossi stato Ministro degli Affari Interni, non mi avrebbero avuto favorevole. L’arte di coltivare i campi è tradizionale, essa è la prima che hanno esercitato gli uomini fin dalla fondazione del mondo, varia secondo i climi; i nuovi modelli saranno ottimi in teoria, ma nella pratica dopo breve tempo si trovano insufficienti, e si ritorna a quelli dei nostri maggiori che non hanno mancato mai nè di biade, nè dei tesori, onde la fertilità della terra fa doviziosi gli uomini, sebbene non l’irrigassero e non la concimassero con quei sublimi ritrovati che i moderni hanno la bella sorte di suggerire in pochi istanti, dopo averne molti impiegati a discutere qual sia il miglior modo di rovesciare le basi della Società, segreto scopo de’ congressi Agrarii» [281]

• Scansiona XI, 281-283 (paragrafi XIII) «Se la memoria non mi falla, fin dal principio dell’anno 1836 ebbero principio le "letture popolari", giornaletto che si lasciò con troppa facilità pubblicare...»

• « nobile il desiderio di guerra nei militari, ma i Sovrani e gli Uomini di Stato che li servono non devono dimenticare mai ch’essa è un flagello, e che si rende risponsabile di tutto il sangue che si sparge, di tutte le calamità che la seguono, chi per lieve cagione, o peggio se senza alcuna causa, l’intraprende» [293]

• «I Re fra loro si considerano a ragione come solidarii della propria dignità, e chi uno ne offende, tutti i ferisce» [299]

• «Rispetto il sentimento che me lo ha reso avverso» [300]

• [anno 1844] «Avendo nominato il Conte di Revel come Primo Segretario delle Finanze, avrei dovuto premettere che il Re aveva messo il Conte Gallina a riposo, e di nuovo separato quel Dicastero da quello degli Interni, ma volendo parlarne più di proposito differisco a farlo finché avrò discorso della scissura fra Sua Maestà e Monsignor Fransoni, che fu il primo passo che veramente si fece nella via che menò più tardi agli essenziali cambiamenti del 1847. Monsignor Pasio Vescovo d’Alessandria era il capo dell’Università; malgrado i suoi talenti, stava sotto l’influenza di Professori, e di persone estranee all’Istruzione, assai più di lui accorte, che lo abbindolarono persuadendolo ad introdurre in Piemonte le Scuole di Metodo. Gridar contro queste è la medesima cosa che ir mendicando la taccia d’ignoranza, a me però basta pensare, che sia gli antichi, sia i moderni sapienti, dottori e letterati in qualunque scienza od arte divennero tali, malgrado che non fosse praticato quel sistema, per conchiudere che non è indispensabile alla perfezione dell’umano sapere. Resta a vedere se l’età future avranno ingegni superiori a Dante a Galileo, a Macchiavelli [sic per Machiavelli], a Bacone di Verulamio, a Grotius, Bossuet, e tanti, altri, per lamentar che costoro non siansi resi ancor più grandi per mancanza delle scuole di Metodo. Ma queste scuole hanno una tendenza che non è a favore della Religione, dell’Autorità e dell’ Ordine; perciò le favoriscono chi tutto vuol porre a scompiglio, e ciò è sufficiente per disapprovarle; onestissimi uomini professano diverso parere, ma sono di quelli che non guardano mai sotto la corteccia delle cose, oppure se qualche cosa travedono della frode, amano occultarla pel gran timore di essere annoverati fra gli oscurantisti e da meno del secolo illuminato in cui ebbero la sorte di nascere. Fra nessuno di questi annovererò Monsignor Pasio; so bensì che inavvedutamente servì ai cupi disegni della setta che lavorava a porre i germi d’ un perfido insegnamento nel nostro paese. Scrisse al Console Generale del Re in Milano per avere un Professore di Metodica Lombardo, che introducesse la rara dottrina ne’ Regi Stati ancor digiuni di sì prezioso tesoro. II Cavaliere De Angeli persona dabbene, a me fìdatissima, nulla faceva d’ordinario mai senza mio ordine; la sola volta che per inavvertenza fatale non mi comunicò l’avuto incarico, fu questa. Proveniva da un Vescovo, dal Capo del Magistrato. della riforma degli studi; supponeva che io ne fossi consapevole; quindi non credette poter proporre miglior soggetto dell’ Abate Ferrante Aporti il propagatore in Lombardia di simili innovazioni, e perciò celebrato da tutte le coorti [corti] liberali. Per dar nel segno che si aveva in mira non potea proporre meglio; ma nulla di peggio pel bene del Piemonte, e se ne avessi avuto sentore, certamente l’Aporti non veniva in Piemonte, finché non si aprisse a lui qual terra di asilo dopo i disastri del 1848.
Fu applaudita da Monsignor Pasio, e più assai da chi lo indettava, la proposta, e facilmente si fece gradire al Re, tanto più che l’Arciduca Viceré del Regno Lombardo-Veneto raccomandava la persona dell’Aporti. Quando lo seppi, era tardi, lo deplorai altamente, ma non poteva impedirlo. Quanto alla metodica era di quelle materie in cui il Re credeva che parlassi per passione, per ispirito di parte; non era affar Diplomatico, né io giudicai opportuno essere il primo ad aprire con lui il discorso.
Il Re era alla Real Villa di Racconiggi: addì 18 agosto, mi indirizzava una sua lettera in cui con amaro cordoglio mi comunicava l’opposizione di Monsignor Franzoni [sopra Fransoni] alla nomina fatta dell’Abate Aporti, e la proibizione dal medesimo data agli Ecclesiastici d’intervenire alle scuole di metodo. Egli se ne mostrava sdegnato, e mi dichiarava che né la nomina, né la scuola di metodica non sarebbero revocate, biasimando l’imprudenza dell’Arcivescovo: me ne informava per mia norma nei rapporti con Monsignor Franzoni, onde io sapessi come Egli giudicava degli atti suoi, per cui si scatenavano le passioni e si unirebbero tutti i liberali, e persone di religione ancora contro il partito dell’Associazione Cattolica; dont on vous fait, mon cher la Margherite, un des plus ardens soutiens. Aggiungevami, essere «in procinto di far dei cambiamenti nel Ministero, e che per l’imprudenza dell’ Arcivescovo non potrebbe più chiamare in luogo di chi si ritirerebbe alcune persone di gran merito perché possono credersi affigliate a quel partito : m’imponeva quindi d’informar la Santa Sede di quest’affare per giustificare il Re, far censurare dal Santo Padre l’Arcivescovo e difendere l’Università da ogni prevenzione cui per tal fatto venisse soggetta. Io risposi a Sua Maestà, che non conveniva scrivere a Roma con tanto precipizio, e prima di sentir da Monsignor Fransoni tutti i motivi che aveva, e che forse interessavano la sua coscienza: non esser conveniente, né necessario che giustificassi a Roma i sentimenti religiosi di Sua Maestà abbastanza colà conosciuti; doversi usare gran delicatezza trattando quest’affare essendo questione d’Aporti considerato a Roma come l’Introduttore in Italia degli Asili d’Infanzia secondo il piano dello Scozzese Owen Protestante capo d’una setta San Simoniana; che fin dal 1837 d’ordine del Santo Padre si era diretta ai Vescovi dello Stato Pontifìcio una circolare per proibire le scuole infantili, quelle appunto promosse dall’Aporti, e doversi assai riflettere prima di parlarne.
Aggiungeva poi: «Quant à ce qu’on peut dire de moi je n-y pense jamais; je ne dois compte de mes actions qu’à Dieu et au Roi. V. M. sait que je n’ai jamais appartenu, que je n’appartiens à aucune association, et pour ce qui est de la Société Catholique, ceux qui en parlent savent parfaitement quelle n’existe plus; l’on s’en sert comme d’un épouvantail et d’une dénomination convenue pour désigner ceux qui ne transigent pas avec leurs devoirs ......
Quant a la cause Catholique et royaliste j’avoue que j’y suis dévoué de toute mon àme, mais je n’ai pas la prétention d’en étre un bien fort soutien.
Qu’il me soit encore permis d’exprimer une pensée sur la lettre de V. M. «Si le cas venait d’un changement dans le Ministère, le Roi dans notre pays est tellement maître de la situation, tellement au dessus des influences de l’opinion publique qui bouleversent tant d’autres Etats qu’il né peut étre gène dans son choix.»
Dopo aver risposto al Re, prevedendo le conseguenze funeste di quest’affare, m’adoperai presso Monsignor Fransoni onde calmasse l’animo del Re, coll’esporgli tutte le ragioni del suo operato, Monsignor si recò a Racconiggi, ebbe un abboccamento con S. M., che il 21 s’affrettò scrivermi, appena terminata Fudienza, il seguente foglio che prova come ogni rancore era dileguato nell’animo di S. M. e così sarebbe stato se i malevoli e quanti avevano interesse di togliere al Re la fiducia che meritamente poneva nell’Arcivescovo, non avessero con nuove menzogne e astuzie, riacceso il fuoco.
«Je m’empresse de vous écrire deux mots, trés cher La Marguerite pensant que vous ai)> merez a connaìtre les résultats de mon entrevue avec l’Archevéque. Je vous dirai donc à la hàte que nous nous sommes parlé à coeur ouvert, et que j’ai tout lieu d’en être parfaitement satisfait; tout donc est terminé, je vous conterai demain les détails. En attendant vous m’obligerez de ne plus rien écrire à Rome, et si- vous avez parlé avec Monsieur Sacconi (1) faites moi aussi le plaisir de lui dire, ou de lui faire savoir qu’il n’en fasse point une affaire. Car maintenant j’aurais du regret que l’on reparlât de cette malheureuse affaire, et que l’Archevéque en eut des ennuis. Nous combinerons demain ce qu’il faudra écrire pour tout terminer d’une manière avantageuse.
Racconis le 21 Août 1844.
Votre trés affectionné
Charles Albert.
Poco tempo dopo il Re mi scrisse un altra lettera sull’ argomento con rediviva irritazione, dicendomi che l’atto dell’Arcivescovo dava luogo a declamar, contro il Clero che s’ ingerisce nelle cose temporali e legava a Lui, le mani per impiegare persone apprezzabilissime. L’ introduzione della scuola di Metodo colla venuta d’Aporti fu feconda sorgente di triste conseguenze; in apparenza il Re era riconciliato con Monsignor Fransoni, ma in realtà da quell’epoca non fu mai più visto di buon occhio, e chi aveva interesse a mantenerlo in tal disposizione d’animo non trascurò alcuna occasione di aumentarla, fu quello il preludio della rivoluzione 1847. L’Arcivescovo non era il solo che si tentava per ogni via mettere in mala parte presso S.M., quanti vi erano più fedeli al Trono erano bersaglio di critiche, e di accuse il più delle volte assurde. Io non era mai risparmiato, eppur doveva far l’avvocato degli altri e scoprire al Re le frodi con cui si cercava di allontanare l’animo suo dai migliori fra i suoi servitori. Il Conte di Maistre, Governatore della Divisione di Nizza era più ’specialmente oggetto di’ gravi attacchi, egli da tal gente beh li meritava per la fermezza de’ suoi principii, ma aveva anche il gran torto di essere figlio del sommo filosofo del secolo, il Conte Giuseppe di Maistre, le cui dottrine gettano tanta ombra sulle peregrino scoperte dei moderni celebrati sofisti.
(1) L’Abate Sacconi, Uditore della Nunziatura ed Incaricato d’affari della Santa Sede, in assenza del Nunzio: attualmente è Nunzio in Baviera, Prelato distinto per tante suo belle qualità» [304-312].

• Racconto delle vicende svizzere in 315-319 [anno 1844] e poi in 321-332 [anno 1845]

• Contro Carlo Bonaparte, principe di Canino [319]

• Sui fatti di Romagna 335 e seguenti

• «Massimo d’Azeglio percorse gli Stati Pontificii, non per soffiare il fuoco, del che non era più d’uopo, ma per indirizzare il movimento, e temperare la sfrenatezza de’ cospiratori impazienti» [337]

• Sulle Speranze d’Italia di Balbo 338

• «Imparino i Principi a diffidare di chi ad ogni loro pensiero sorride» [339]

• «[...] i Realisti "netti", per servirmi di un’espressione conosciuta al di là de’ Pirenei, riguardavano Don Carlo come il rappresentante della Monarchia assoluta, il Re che tiene il potere di Dio, che è sgombro delle soperchierie della sovranità del popolo» [343-344]

• «Inter ancipitia deterrimum est dum media sequitur. O una cosa o l’altra esser si deve; piacere a due partiti è impossibile; si mantiene debolmente chi si regge su due principii opposti» [344]

• «Lo confermai [...] non dover mai un Re cercar gli applausi per gli atti che dipendono dalla sua Sovrana autorità, di cui non deve dar conto ad alcuno; ricever gli applausi, è autorizzar in altra circostanza i biasimi, e gli affari di Stato non volersi strascinar nelle piazze» [354]

• Scansiona 354-392 [V-XV]

• Scansiona 408-414 [VI-VII]

• «A questo proposito, un dì che discorreva col Conte Buol delle cose Italiane e della prossima rivoluzione, egli mi fece destramente comprendere che, malgrado le nostre differenze attuali, la sua Corte sarebbe sempre pronta a darci nuove prove di amicizia ed aiutarci per comprimere qualunque movimento tentato contro la quiete del paese o l’autorità del Re. Io gli risposi, questo non sarà mai; aborro la rivoluzione, ma sol che qui si voglia impedire, non la temo, e nel più stretto cimento non chiamerei mai soccorso straniero; vincere colle proprie forze o soccombere; chiedere aiuto non mai, la natural mia fierezza mi ripugna» [421-422]

• Scansiona 422-429 [XI-XIV]