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 2010  luglio 24 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 26 LUGLIO 2010

«Ma è mai possibile che da quando sono alla Fiat nessuno dei miei colleghi di tutto il mondo mi abbia chiesto informazioni per venire a produrre in Italia?» domandava giorni fa Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. [1] Claudio Antonelli: «Da quando i manager Fiat hanno preso la valigia di cartone per battere i quattro angoli del globo, si sono accorti che l’Italia è il Paese più infelice dove investire. Molti l’hanno scoperto anni prima. Non solo per via delle tasse, del sistema fiscale contro logica e della infrastrutture datate, là dove ci sono.È un Paese dove si litiga per la mancata concessione dei premi di produzione, anche negli stabilimenti in netta perdita». [2]

Viste le premesse, non stupisce l’annuncio di mercoledì scorso: la Fiat produrrà in Serbia una delle vetture che nel piano industriale presentato lo scorso 21 aprile era destinata a Mirafiori. Si tratta della monovolume finora indicata come L0 che dalla fine dell’anno prossimo dovrebbe sostituire la Lancia Musa e le Fiat Idea e Multipla. [3] Marchionne: «Se non ci fosse stato il problema Pomigliano la L0 l’avremmo prodotta in Italia». [4] Carlo Callieri, capo del personale di Fiat Auto negli anni di piombo: «Il sacrificio è quando ci metto qualcosa di tasca mia. La Fiat a Pomigliano non ha chiesto questo, ma di produrre con orari e turni diversi e di impegnarsi sulla creazione di valore». [5]

La vittoria dei sì nel referendum campano si è rivelata assai inferiore alle attese, visto che i no sono stati tre volte più numerosi degli iscritti della Fiom (i metalmeccanici della Cgil schieratisi contro l’accordo) e ai montaggi hanno sfiorato la metà dei voti. Massimo Mucchetti: «Agli analisti la Fiat avrebbe fatto sapere che già oggi sarebbe in grado di realizzare oltre confine l’intera produzione italiana. Una forzatura? Certo è che la Fiat si va facendo sempre più multinazionale, proporzionalmente più delle case tedesche e francesi. E gioca l’estero contro la madrepatria allo stesso modo in cui, un secolo fa, i disoccupati venivano usati dagli agrari contro le leghe bracciantili. la razionalità agra della globalizzazione». [6]

Un operaio di Mirafiori o di Pomigliano d’Arco prende uno stipendio lordo mensile di 1750 euro, mentre il costo per l’azienda è di 3400 euro. Claudio Antonelli: «In Polonia lo stesso operaio prende in busta paga 800 euro al mese lorde. Mentre gli oneri non superano il 60% e il costo aziendale raggiunge i 1280 euro. Molto meno in Serbia dove un operaio assunto alla ex fabbrica della Zastava, ora di proprietà del Lingotto, prende 500 euro lordi e il suo mese di lavoro costa alla Fiat 750 euro». [7] Un operaio di Mirafiori: «La verità è che in Serbia fanno la fame da 20 anni, per colpa della guerra, e accettano tutto». [8] Luciano Gallino: «Andare in Serbia, piuttosto che restare a Mirafiori, significa quindi giocare il destino di nostri lavoratori la cui prestazione assicurava finora un livello di vita decente a sé stessi ed alla famiglia, anche per il futuro, contro lavoratori di un paese che a quel livello di vita e a quel futuro avrebbero pure loro diritto, ma per il momento se li possono soltanto sognare». [9]

Kragujevac, 180 chilometri a sud di Belgrado, ha circa 200mila abitanti e nella prima metà dell’800 è stata capitale della Serbia. Cristina Casadei: «In città il nome Fiat hanno cominciato a conoscerlo dagli anni 50 quando venne firmato uno storico accordo da Gianni Agnelli e dal maresciallo Tito. Quel rapporto, cominciato con la produzione della 600 per il mercato locale, è stato messo a dura prova dai bombardamenti Nato della seconda metà degli anni ”90 che, se hanno distrutto il sito della Zastava, poi ricostruito con fondi governativi, non hanno però cancellato le competenze di una forza lavoro che per molti decenni si è specializzata nella produzione di piccole auto». [10]

La Fas (Fiat Automobili Serbija) è nata a dicembre 2009 da una joint venture tra Fiat (che controlla il 67 per cento del capitale) e lo stato serbo (che ha il 33 per cento). Il manifesto: «Ha rilevato gli impianti della vecchia Zastava con un investimento di oltre 900 milioni di euro, 600 dei quali della Fiat. La fabbrica, che si trova a Kragujevac si estende su una superficie di 400 mila metri quadrati. Con la produzione dei nuovi modelli saranno circa 2600 gli operai impiegati. Per lo stabilimento serbo Fiat ha avuto aiuti di gran peso dal governo: sono stati il governo e la municipalità infatti a cedere gratuitamente gli stabilimenti e a concedere i terreni, a bonificare l’area dall’inquinamento post-bellico». [11]

La Serbia è l’Eldorado dei manager, una specie di terra promessa per gli imprenditori, stando al racconto di Giorgio Airaudo, responsabile nazionale Fiom per il settore auto. E la paga mensile non è l’unico vantaggio del trasloco deciso da Marchionne. [12] Gallino: «Il costo del lavoro in un’industria altamente automatizzata come l’auto rappresenta il 7-8 per cento del costo complessivo di fabbricazione. Portando la produzione da Mirafiori a Kragujevac, dove il costo del lavoro è meno della metà, la Fiat può quindi pensare di risparmiare al massimo tre o quattro punti sul costo totale». [9] Griseri: «Per dieci anni il Lingotto non pagherà tasse né al governo di Belgrado né al comune di Kragujevac». [12]

A Kragujevac dovrebbero presto aprire altre 14 fabbriche legate a Fiat fra cui Magneti-Marelli e Iveco per un totale 30 mila posti di lavoro. [13] In Serbia le trattative con la Fiat non le fanno i sindacati ma il governo, che ha garantito tra l’altro incentivi per la rottamazione di mille euro a chi cambia la sua vecchia Zastava con una Fiat Punto. [14] Nejbosa Ciric, segretario di Stato al ministero dell’Economia: «Fas costituirà la scintilla per l’accendersi di nuovi investimenti nel nostro Paese. Solo in questi giorni il governo sta trattando con 25 aziende del settore auto e non, che vogliono trasferire le fabbriche da noi». [15]

Secondo i calcoli della banca d’affari inglese Barclays, nel 2010 i quattro maggiori stabilimenti italiani della Fiat (Mirafiori, Pomigliano, Cassino, Melfi) produrranno 475mila vettura a fronte di una capacità potenziale di 700 mila. Il piano industriale presentato lo scorso aprile prevedeva un target di 1,4 milioni di vetture prodotte in Italia nel 2014. Alfredo Faieta: «In una situazione come questa, contando i target previsti e la capacità utilizzata italiana, stupisce ancor di più lo spostamento di produzione da Mirafiori a Kragujevac della piattaforma LO, base produttiva per le eredi della Lancia Musa, Fiat Idea e Multipla, un totale di 190 mila vetture previste al momento. E come si arriva a 1,4 milioni di questo passo?». [16]

Il piano Fiat denominato ”Fabbrica Italia” probabilmente non esiste più. «Non posso far correre alla Fiat rischi non necessari, salterebbe tutto, lavoro per primo», ha spiegato Marchionne. Raffella Polato: «E perché dovrei – continua il ragionamento’ quando oltretutto produrre qui mi costa di più ma non chiedo un cent, mentre in Serbia, Polonia, Brasile, Messico, Usa alla Fiat ”farebbero ponti d’oro” e a garantire la governabilità sono i sindacati stessi? E non sindacati qualsiasi: i mastini della Uaw in America, quella Solidarnosc che ha buttato giù il regime in Polonia? Alla fine, si può mettere così. Anche i 350 milioni che vanno a Kragujevac anziché a Mirafiori sono un test. Se in Italia, dice, si tratta anche duro ma si capisce quel che ha capito per esempio la Uaw, Fabbrica Italia potrà ripartire, quel che ora va in Serbia a Mirafiori potrà tornare ”magari con l’Alfa”. Sennò, pure Kragujevac sarà un primo tassello. Ma del ”piano B” e di un”altra ”Fabbrica”. Fiat Mondo». [17]

La nuova Fiat auto, dal 2011 entità distinta e pronta a nuove rivoluzioni e accordi, si muove sulla scacchiera dei siti produttivi cercando la massima efficienza di costo, in relazione alle altre variabili di mercato. Faieta: «Ma allora perché il paradosso di riportare in Italia, a Pomigliano, un’utilitaria come la Panda? Non sarebbe meglio produrre nella ”costosa” Italia auto a maggior valore aggiunto? ”La società ha un’attenzione anche al sociale: non è vero che si pensa solo ai numeri di bilancio” risponde qualcuno al Lingotto. Forse la peggiore delle repliche, perché non traspare nessun pensiero strategico, ma solo carità». [16]

A parole sono tutti liberisti, nei fatti preferirebbero un mercato protetto. Maurizio Belpietro: «Sindacati e politici invocano a gran voce le riforme e gli investimenti, ma poi non paiono rendersi conto che se qualcuno ci mette dei soldi è per guadagnare e non per perderli. E perché ciò avvenga, da che mondo è mondo, bisogna produrre qualcosa che dia utili. Il nocciolo della questione è tutto qui. Per cui, invece di meravigliarsi per la decisione di dirottare gli investimenti in Serbia, farebbero bene a capirne le ragioni e soprattutto a valutare come compensare i vantaggi di cui godrebbe la Fiat espandendo la propria produzione a Kragujevac anziché a Mirafiori. Ne potrebbero trarre insegnamenti utili per svecchiare il mercato del lavoro italiano e renderlo più concorrenziale con il resto d’Europa e del mondo». [18]

Mirafiori non può concorrere nell’immediato con le condizioni di vantaggio assicurate da Kragujevac. Giuseppe Berta: «Ciò che il sistema dell’auto di Torino può offrire, col contributo attivo di tutti i suoi attori (dagli enti territoriali alle associazioni di categoria, dai centri universitari di ricerca alle organizzazioni sindacali), è un contesto migliore, più integrato ed efficiente, per mantenere e attrarre tutte le funzioni che occorrono alle progettazione e alla produzione automobilistica. Può contare su un sostrato di competenze molto solido, su un’attività di ricerca che è di punta (non solo in Italia), sul valore dei suoi designers e anche su un’esperienza negoziale nel campo delle relazioni industriali che non è quella di Pomigliano d’Arco. Ma bisogna compiere uno sforzo comune per elevarne la qualità e la competitività. Solo così si potrà sperare di attrarre a Torino nuovi investimenti e magari di convincere Marchionne dell’opportunità di mantenervi i capisaldi della Fiat». [19]