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 2010  luglio 24 Sabato calendario

SPOT, SE IL TESTIMONIAL DIVENTA UN BOOMERANG

Buoni, belli, bravi, giovani, intelligenti, ricchi e trendy. Ma, purtroppo, perdenti. Il mondo dorato degli spot - un Mulino bianco globale che non ammette sconfitte – ha riscoperto nel 2010 la dura legge dei testimonial-boomerang. Icone pagate a peso d´oro ma rivelatesi flop clamorosi che hanno costretto in pochi mesi molti grandi marchi a cambiar cavallo in corsa e a ripensare da zero le proprie campagne future.

L´aperitivo l´ha servito Tiger Woods, il Dio del golf riportato in terra a suon di mazzate dalla moglie tradita, bruciando in pochi giorni - calcola l´Università di California - 12 miliardi in Borsa dai titoli dei suoi sponsor. La ciliegina sulla torta però l´hanno messa i Mondiali di calcio. Protagonista assoluto, il trailer Nike "Write the future", lo spot maledetto: tre minuti di dribbling, salvataggi sulla linea, tackle e gol da antologia, starring sei fenomeni del calcio globale. Sul web in sette giorni ha polverizzato ogni record di contatti (7,8 milioni). Sul campo è stata tutta un´altra cosa: le prime cinque stelle - Didier Drogba, Wayne Rooney, Fabio Cannavaro, Thierry Henry e Franck Ribéry - sono tornate a casa subito tra le polemiche. E cornetti e macumbe varie non hanno salvato l´ultimo superstite della scalcagnata compagine di testimonial, Cristiano Ronaldo, che ha salutato il Sud Africa negli ottavi sputando la sua rabbia su una telecamera. Come Nike, in Sud Africa, sono scivolati Gilette - costretta a riprogrammare una campagna giocata sulle barbe incolte di Cannavaro e Henry - IntesaSanPaolo (ridimensionata quella con Alice Gilardino e Alena Seredova, la compagna dell´infortunato Buffon) e il Crédit Agricole ormai ex-sponsor dei Bleus di Francia dopo il tragicomico ammutinamento di Anelka & C.
Calimero o l´ippopotamo Pippo-pippo-pippo-pa, archeo-testimonial dell´era di Carosello, non avrebbero fatto questi scherzi. Ma il mondo e la tv, da allora, sono cambiati moltissimo. «Il volto noto in Italia funziona molto più che all´estero - spiega Geraldina Marzolla, direttore brand e advertising di Vodafone, la mente dietro i tormentoni con Hillary Blasi e il pupone Francesco Totti -. Lo spot con una celebrità parte con un 10% in più d´attenzione rispetto a quello girato con un illustre sconosciuto». Il calcione a Balotelli e l´abuso di pollici durante l´ultimo derby, non a caso, non hanno fatto calare l´appeal del capitano della Roma che per il nuovo spot Party-poker avrebbe incassato, dice il tam-tam, 800 mila euro. «Si sa che molti sono personaggi a rischio, che non garantiscono professionalità a 360 gradi - dice Saro Trovato, presidente di Metacomunicazione -. Ma tant´è, alla fine ci si rivolge a loro, a volte anche per pigrizia creativa». Tanto che alla fine la "Testimonial Spa" in Italia fattura 450 milioni l´anno.
I rischi (come racconta la lunga storia degli spot-flop) sono di ogni genere. A volte «si sbaglia ad abbinare personaggio e prodotto», racconta Manuela Ronchi che con la sua Action Agency cura diversi uomini-immagine. Emanuele Filiberto di Savoia ha faticato molto per liberarsi dalla non aristocraticissima etichetta di Principe dei sottaceti, unico ricordo del surreale spot per la Saclà. I creativi di Olio Cuore ricordano ancora come un incubo la decisione di affidare al taciturno Dino Zoff la difficile eredità di Nino Castelnuovo. «La scelta non è mai né facile né scontata - dice Ronchi -. Tra George Clooney e Tiberio Timperi, per dire, la Dixan ha scelto in passato l´italiano, un uomo più da detersivo. Sembrava assurdo, ma i fatti le hanno dato ragione».
I guai arrivano quando il supertestimonial "scoppia" all´improvviso. successo a Kate Moss, scaricata da H&M e Chanel quando venne immortalata con la cocaina. capitato a Kobe Bryant, star dei Los Angeles Lakers accusato di molestie a una ragazza, che ha visto le sue entrate pubblicitarie (20 milioni l´anno) crollare per qualche anno. L´esempio vivente - nel bene e nel male - del potere di un testimonial è però Tiger Woods. I suoi spot hanno fatto salire di 50 milioni l´anno le vendite di palline da golf Nike. Uno spazio pubblicitario nel Pga, il circuito professionistico, si vende a un prezzo superiore del 53% se lui è sul green. Ma gli sponsor hanno pagato carissimo pure le sue disavventure coniugali: Arthur Andersen - che nell´83% dei suoi spot usava Woods come testimonial - ha rescisso il contratto dopo sei anni. La Gatorade ha ritirato la bevanda che gli aveva dedicato. «Oggi le aziende si tutelano con contratti blindati contro i colpi di testa dei campioni», dice Trovato. Sono le cosiddette "Bad boy clauses", che consentono la rescissione anticipata degli accordi. Nel 1997 erano presenti nel 50% delle intese, dopo i casi di Moss e Bryant erano saliti al 75% e oggi fanno parte organica di quasi tutti i contratti. Alcuni grandi broker hanno addirittura messo a punto polizze ad hoc per coprirsi da questi danni. Difficile dire se legali e assicurazioni bastino a tamponare i danni d´immagine. L´unica soluzione per non aver rimpianti, se proprio si vuole un testimonial, è quella di scegliere se stessi. L´hanno fatto Giovanni Rana e Cesare Ragazzi. Loro almeno, in caso di flop, devono solo guardarsi allo specchio.