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 2010  luglio 24 Sabato calendario

IL MEDIO ORIENTE ROTTAMA IL CAMMELLO

Quando il 28 giugno scorso undici bikers malesi capitanati da Haji Mohamed Assir sono arrivati a Jeddah, penultima pioniera tappa motociclistica prima del compimento dell’Umrah, il pellegrinaggio alla Mecca imperativo di ogni buon musulmano, l’era del cammello ha calato definitivamente il sipario. Non che negli ultimi decenni l’animale caro al Profeta fosse stato propriamente veicolo indispensabile al sommo viaggio dell’islam, ad eccezione del 1994, quando 300 fedeli tripolini aggirarono l’embargo sui voli libici imposto dall’Onu per l’affare Lockerbie cavalcando sulla gobba fino alla grande moschea che custodisce la Ka’bah. Eppure, con la sua andatura ondulata, il cavallo dei Re Magi restava l’estremo baluardo d’una cultura esotica che i beduini continuano folkloristicamente a proporre ai turisti occidentali in cambio d’ipotetiche mogli dagli occhi azzurri. Il cammello è in crisi. D’immagine innanzitutto. Qualche mese fa l’Australian Broadcasting Corporation riportava sotto il titolo allarmistico di «Una città sotto assedio» la devastazione di Docker da parte di 6000 cammelli, ex amici dell’uomo moltiplicatisi al punto da passare da indispensabili mezzi di trasporto all’epoca della loro importazione dall’Africa nel 1840 a odierni flagelli dell’agricoltura al pari dei cinghiali toscani. Certo, da allora l’Arabia Saudita è in serrate trattative con il governo di Canberra per acquistare a prezzo stracciato i 400 mila esemplari condannati a morte con l’assenso degli ambientalisti. Ma per quanto facoltosi siano gli sceicchi, l’impresa d’arginare il trend negativo appare disperata.
La vocazione sempre più turistica della un tempo fiorente fiera del cammello di Pushkar, nel Rajasthan, testimonia la china d’una specie il cui numero è precipitato in India a quota 600 mila, meno della metà del ”95. E non c’è traccia di risalita. Con buona pace delle 250 mila persone che nelle remote lande asiatiche vivono ancora vendendone la pelle, il latte, la carne.
Cambio di stagione. Sarà la prolificazione massiccia e l’insostenibilità dell’allevamento dei cammelli domestici o la resa al climate change del selvatico bactrian, ridotto a 450 esemplari in Mongolia e 600 nel nord-ovest della Cina, ma il crollo del brand sembra aver anticipato quello del mercato. Secondo l’organizzatore della 2011 Camel Conference di Londra Ed Emery, in Mongolia, dove la combinazione tra l’inverno rigidissimo e l’ostilità dei pastori che difendono i pascoli delle proprie mandrie, i nomadi hanno perso 4,5 milioni di animali in meno di sei mesi. Non basta l’attività frenetica dei macellatori, beneficiari d’una gran quantità di animali un tempo troppo preziosi per essere mangiati: squadra che perde si cambia. Così il governo di Ulan Bator, sordo alle proteste del Wild Camel Protection Foundation, si è accordato con le multinazionali Rio Tinto e Ivanhoe Corporation per lo sfruttamento delle gigantesche miniere di rame e oro di Oyu Tolgoi che, inquinando le acque, renderà impossibile la vita dei suoi ruminanti gobbuti. Invano i cammellari sono rimasti per giorni in sit-in davanti al parlamento rifiutando il cibo per chiedere la spartizione dei dividendi.
 giunto il momento della rottamazione senza ritorno? Non ancora, a giudicare dal successo del festival saudita King Abdel Aziz che ogni primavera incorona l’esemplare più bello selezionato tra centinaia di cammelli. Un’icona sovrana, ma pur sempre un’icona. Perché nel regno del petrolio, che a giugno ha lanciato il primo Suv made in Arabia, i proprietari degli animali vincitori sono premiati in automobili, un montepremi del valore di 14 milioni di euro. E sebbene basti allontanarsi meno d’una decina di chilometri dai grattaceli di Dubai per incontrare piccoli accampamenti di nomadi, è difficile immaginare gli eredi di quel passato vecchio solo pochi anni fare a meno di berline e limousine in nome della salvaguardia d’un simbolo in via d’estinzione. «La collocazione del cammello in un immaginario paesaggio arabo è intorno all’anno 700, quando la poesia pastorale beduina esprimeva un legame a doppio filo tra il bardo e l’animale» osserva Stefan Sperl, docente di letteratura araba classica e medievale alla School of Oriental and African Studies di Londra. E’ passato quasi un secolo e mezzo e anche gli indigeni del deserto non sono più quelli d’una volta. Quando quattro anni fa il governo degli Emirati impose una legge draconiana contro la schiavitù, compresa quella dei bambini utilizzati come fantini nelle corse di cammelli, gli spettatori minacciarono serrate. The show must go on. Ma fu una delusione. Tanto vale seguire la Formula1 divorando hamburger di baby cammello ai tavolini della catena di fast food Local Hashi Meals.