il Giornale 14/7/2010, pagina 24, 14 luglio 2010
JACK LONDON INEDITO
Per gentile concessione dell’editore,pubblichiamo uno stralcio di «Storie di pugni» di Jack London (pagg. 136, euro 9; in uscita il 19 luglio) sull’incontro di boxe (1910) fra Jack Johnson e James Jeffries. Johnson fu il primo atleta di colore a vincere il titolo dei pesi massimi. Jeffries si presentò come «l’unica speranza dei bianchi». Fu sconfitto.
Jack London
Reno, Nevada, 28 giugno
Ecco dove sta il problema: alle 13 e 30 del quattro luglio due uomini, un bianco e un nero, si appresteranno ad affrontarsi su di un ring quadrato, disposto al centro di una ampia arena. Non tenteranno di uccidersi. Devono combattere l’uno contro l’altro,e vero, ma il combattimento si svolgera con armi naturali e seguendo delle regole molto rigide. Dovranno colpirsi con le mani e solo con quelle. Non sara ammesso nessun altro colpo. Non possono afferrarsi o lottare a terra. Sara permesso loro di sferrare i propri colpi solo sulla parte superiore del corpo dell’avversario. Dalla vita in giu qualunque colpo e proibito. Inoltre non si potra colpire quando l’altro è in ginocchio. I pugni, le loro uniche armi, saranno avvolti da guanti imbottiti che pesano un terzo di libbra. Una nocca nuda puo tagliare e ferire, ed e una cosa da evitare. Un terzo uomo sara sul ring con loro per accertarsi che vengano osservate tutte le regole. l’arbitro. La sua parola è legge: qualunque cosa dica, gli si deve obbedire.
Se un uomo usasse un colpo scorretto, l’arbitro lo squalificherebbe immediatamente, assegnando la vittoria all’altro. L’arbitro osserverà da vicino, girando intorno ai due uomini, talvolta parlando loro a bassa voce, talvolta toccando l’uno o l’altro sulla spalla.
E per che cosa salgono sul ring questi due uomini con i guantoni imbottiti, le regole rigide e l’arbitro? Quale desiderio devono realizzare? Semplicemente questo: scaricare delle raffiche di colpi coi loro guantoni imbottiti e vedere chi è in grado di mettere al tappeto l’altro, sottomettendolo a tal punto da restare fermo per terra per dieci secondi consecutivi. E perche lo vogliono? Per onore, fama e per un premio di centomila dollari.
Messa così, la questione sembra sciocca, vero? Ma consideriamo questi dati: da 15mila a 20mila uomini, ciascuno dei quali paga da dieci a cinquanta dollari per un posto a sedere, saranno nell’arena per guardare i due pugili; per questa sfida verranno spesi milionidi dollari e degli uomini viaggeranno dai più remoti angoli della Terra per esserne testimoni; aggiungiamo che saranno presenti i piu abili giornalisti e illustratori del Paese e che già da una settimana e per quella a venire la principale preoccupazione di tutti gli Stati Uniti sara quella di vedere quale dei due uomini metterà al tappeto l’altro per dieci secondi consecutivi, e in che modo. A questo punto la cosa sembra diventare una stupidaggine colossale. Ma si tratta davvero di una sciocchezza? Si può davvero considerarla una stupidaggine, quando ogni giorno le pagine di tutti i quotidiani sono piene di articoli su questo incontro, quando una fetta assai larga di persone nel Paese è interessata a seguirlo? C’è una ragione nel loro interesse, come ve ne è una nel mio. E perché sono interessato? Ve lo diro nel prossimo paragrafo. Per il momento, lasciate che mi alzi in piedi e proclami che sono così tremendamente interessato, cosi incredibilmente desideroso di essere testimone di questo match, che ci sono dei momenti in cui mi assale una paura improvvisa: ad esempio temo che l’incontro non avvenga, che possa essere sospeso a causa di un grave terremoto o di un terribile cataclisma naturale. Perché è tale la voglia di vedere questo incontro, che quasi mi fa male.
Questa gara tra uomini con guantoni imbottiti sulle mani è uno sport che appartiene inequivocabilmente agli anglosassoni e ci sono voluti secoli affinché questa gente lo sviluppasse. Non è qualcosa di superficiale, una moda del momento o di una generazione. Nessun genio o filosofo lo ha escogitato e ha persuaso questa razza ad adottarlo come lo sport per eccellenza: è qualcosa di profondo come la nostra coscienza ed è radicato in ogni fibra del nostro essere. cresciuto come e cresciuta la nostra lingua. un’istruttiva passione di razza. E come gli uomini di oggi si emozionano profondamente al suono delle brevi parole inglesi, allo stesso modo si emozionano per il fragore dei colpi di un incontro di pugilato, per gli attacchi e le difese, per l’esibizione di tecnica e coraggio. il richiamo della scimmia e della tigre dentro di noi, credetemi. Questo istinto è chiuso in noi come un uomo rinchiuso in carcere. Non possiamo scinderlo da noi. un fatto inconfutabile. Ci piacciono le sfide: è la nostra natura. Siamo delle realtà in un mondo reale e se vogliamo vivere secondo i canoni del mondo reale, dobbiamo accettare la realtà della nostra natura e tutta la sua carica di emozioni; coloro che provano ad allontanarsi da queste realtà, che negano in modo arbitrario l’esistenza di questi istinti, riusciranno soltanto a vivere in un mondo di illusioni ed equivoci. Queste sono le persone che creano panico in teatro, durante gli incendi e nei naufragi. Esse sono così lontane dall’accordo col mondo reale da non potervisi adattare nemmeno quando giunge il momento supremo. un fatto indiscutibile che un pubblico composto esclusivamente da lottatori professionisti non creerebbe mai del panico in un teatro in fiamme. Sarebbero troppo vicini alla realtà, avrebbero una visuale troppo ampia e troppo chiara e lucida per fuggire disordinatamente come una mandria di bestie selvagge. Esiste piuttosto la possibilita che rimangano lì ed estinguano l’incendio.
Un altro aspetto che merita di essere sottolineato è che il nostro sport, il pugilato, è uno sport leale. Dà spazio alla nostra natura etica. Chiunque abbia sentito, anche per una sola volta, il boxeur sleale schernito dal pubblico indignato, non puo metterlo in dubbio. Il nostro pugilato è limitato da restrizioni etiche. sinonimo di gioco leale. diverso dal 103 combattimento nella giungla, di cui rappresenta uno sviluppo. Non c’è alcuna lealta nel combattimento nella giungla. Cosi l’uomo è migliorato. riuscito a fare a meno di zanne e clava. salito più su nella scala della vita. Non acceleriamo troppo il suo sviluppo. Salirà ancora piu in alto.
*** Reno, Nevada, 4 luglio
Ancora una volta Johnson si è presentato per sconfiggere il rappresentante scelto della razza bianca: stavolta si trattava del più grande di tutti. E come in passato, per Johnson è stato un gioco. Dalla prima all’ultima ripresa non ha mai smesso di fare battute di spirito, in un botta e risposta continuo con i secondi del suo avversario e con gli spettatori. Johnson, per quello che vale, aveva una o due cose divertenti da dire a Jeffries a ogni ripresa. Il sorriso splendente era in evidenza come non mai e non si è mai congelato sul suo volto, né è mai svanito. Quel sorriso andava e veniva nel corso del match, spontaneamente e con naturalezza. Non è stato un grande incontro dopotutto, se si esclude lo scenario e quello che ha rappresentato. Il piccolo Tommy Burns, giù nella lontana Australia, ha avuto uno scontro più veloce, più svelto e più vivace di quello di Jeff. L’incontro di oggi, lo ripeto ancora, è stato grandioso solo per il suo significato. In sé e per sé non e stato grandioso. L’esito finale, dopo l’inconcludenza delle riprese di apertura, non è mai stato in dubbio. Nell’inconcludenza di quelle prime riprese, gli onori sono stati di Johnson; per le riprese dopo la settima e l’ottava vi e stato un prevalere di Johnson, mentre per le riprese conclusive... c’era solo Johnson. Johnson ha giocato, come al solito: bloccando e difendendosi in modo magistrale, e col suo avversario che non era forte in attacco il pugile poteva permettersi di scherzare. Infatti ha scherzato e combattuto contro un uomo bianco, in un Paese di bianchi, davanti a una folla di bianchi. E la folla era dalla parte di Jeffries. Quando Jeffries ha sferrato uno dei suoi terribili diretti, la folla ha applaudito furiosamente, pensando che fosse andato a segno, allo stomaco di Johnson, mentre Johnson, parandolo con il gomito, ha sorriso ironicamente verso gli spettatori, facendo la commedia e facendo finta di credere che l’applauso fosse per lui (ma in realtà non credendolo affatto).
La più grande battaglia del secolo è stata un monologo offerto da un nero sorridente a ventimila spettatori; quest’uomo non ha mai avuto dubbi e non è mai stato serio per più di un attimo per volta. Come combattente, Johnson non si è dimostrato un fenomeno. Non ne ha avuto bisogno. Non si è impegnato al massimo neppure una volta.