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 2010  luglio 13 Martedì calendario

IN MASCHERA CONTRO LE POLVERI

Questo è un collaudo. venuto il momento d’indossarla. Apro la scatola; ce ne sono tre; ne estraggo una e la spacchetto. Sollevo l’estremità dei due lembi inferiori del respiratore e modello lo stringinaso piegandolo leggermente al centro; con il palmo della mano ottengo la configurazione a conchiglia; capovolgo il respiratore e gli elastici cadono verso il basso; li posiziono sulla nuca: uno in alto, l’altro sotto le orecchie. Verifico che si possa respirare e che non vi siano perdite d’aria sui bordi. Ora sono quasi pronto. Inspiro profondamente, espiro. Tutto bene. Ho anch’io la maschera antigas, meglio: anti polveri sottili. Sulla scatola è scritto: «Può essere usato per concentrazioni di particelle solide e liquidi volatili fino a 10 volte il loro valore ponderato (TLV)». Tra poco, suppongo, non ne potranno fare a meno tutti quelli che lavorano sulla strada - a Torino a maggio i vigili urbani hanno iniziato a indossarle -, e quelli che pedalano accanto alle automobili. Per chi, come me, pedala a Milano, la mascherina è da questa primavera un oggetto indispensabile (ma anche in molte altre città italiane). Ho optato per il filtro in vendita in farmacia al costo di 12 euro, prodotto dalla 3M: respiratore facciale filtrante per protezione contro le particelle. Col caldo la concentrazione delle polveri sottili è alle stelle. Non la dichiarano più, dato che la calura di questi giorni nasconde tutto sotto le alte temperature tropicali. Mentre procedo nel traffico, mi guardo in giro. Non siamo in molti a indossarla, anche tra i ciclisti che incrocio, o che mi sorpassano. Li capisco. Non è bello andare in giro con questa mascherina chirurgica con filtrino centrale. Significa dichiarare una sconfitta. La maggioranza fa finta di niente, pedala (o cammina) senza protezione. Stanotte, mentre mi giravo e rigiravo nel letto, sudato, ho fatto un sogno: ho visto il signor Hoover che a cavallo di un gigantesco aspirapolvere volteggiava sopra la mia testa, sopra le case, sopra i tetti. Aspirava la nuvola nera che gravava sulla città. Era vestito come il comandante dell’aeroplano che sgancia la bomba nel finale del Dottor Stranamore di Kubrick: tuta da pilota e cappello da texano. Ho sentito un getto fresco. Mi sono svegliato: un improvviso temporale estivo. Salvo, ma per poco.