Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 12 Lunedì calendario

IL DOTTORE CHE CURA DAL GIOCO D’AZZARDO

La più bella e tragica descrizione l’ha fatta lo scrittore russo Fedor Dostoevskij, scrivendo in 26 giorni Il giocatore e dimostrando una personale e profonda conoscenza del fenomeno. La più azzeccata è quella di Sigmund Freud che la chiamò «coazione onanistica». Il gioco d’azzardo oggi in Italia con i suoi oltre 54 miliardi di fatturato regolari è la quarta industria d’Italia, dopo Eni, Enel e Fiat, e coinvolge milioni di persone. Senza contare l’indotto, che sconfina nell’illecito e nel criminale. Ma come si sconfigge la malattia, frutto di smodata passione che diventa patologia? E chi sono i giocatori d’azzardo? Lo spiega Mauro Croce, 57 anni, uno dei massimi esperti della materia, psicologo, psicoterapeuta e criminologo, Direttore dell’educazione sanitaria della Asl di Verbania, e uno degli animatori di Alea, l’associazione di studi del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio.
«Ho cominciato a occuparmi di questa patologia dopo un’esperienza ventennale nel campo delle tossicodipendenze da sostanze - racconta Croce - ne ho verificato l’attrattività che esercita e la vulnerabilità delle persone. L’idea di vincere, di trasformare la propria vita è comune a tutti, ma nel giocatore accanito assume caratteristiche speciali. Il giocatore d’azzardo è un mix di tante persone diverse, che si costruisce un mondo a parte e vive in funzione del gioco. L’innesco è l’emozione offerta dalle prime vincite, poi arriva la coazione a ripetere, che è una moltiplicazione della perdita. Il giocatore accanito gioca per perdere, con l’alibi di volersi rifare delle perdite». la strada dell’autoinganno («Smetto quando sarò alla pari») e del nichilismo. la malattia del cupio dissolvi.
Per Croce, in questo campo molto è cambiato. «Nel passato la figura del giocatore d’azzardo era avvolta da un’aura di romanticismo: il giocatore come eroe, ricco, che dissolve le sostanze sue e della sua famiglia, intellettualoide, artista, bohémien. In epoca più recente gli eroi impossibili, scellerati e mitizzati hanno lasciato il posto ai soggetti più deboli e disperati».
La crisi economica lascia il segno e il bisogno di soldi è diffuso ma difficile da soddisfare. Per questo viene imboccata la strada dell’azzardo, innescando un circuito perverso tra perdita, ricorso all’usura e indebitamento senza ritorno.
«Se un tempo a giocare erano i ricchi - continua Croce - ora l’azzardo è dei poveri, che giocano a tutto: lotto, gratta e vinci, lotterie, slot machine. Poi sono arrivate le tecnologie. Oggi non si va a giocare al Casinò, ma è il gioco che si avvicina a noi ed entra nelle case attraverso i computer». E c’è anche lo Stato biscazziere: in molti giochi è lui a tenere il banco, anche se, pur crescendo il fatturato, la percentuale che va all’erario si riduce, per i costi di gestione appannaggio dei privati. «Questa patologia viene sottostimata - conclude Croce - l’azzardo è un business enorme ai confini del riciclaggio. Educare al rischio è giusto, senza sconfinare nell’elogio dell’azzardo. Il destino va costruito e non può basarsi sulla cosiddetta fortuna. E poi non si può sempre vincere, bisogna anche imparare a perdere».