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 2010  luglio 11 Domenica calendario

L’AMARCORD DI SCOLA: IERI, AGE E DOMANI

Certe volte Internet è carogna. Digitate Age su un motore di ricerca: verrà fuori di tutto ma non lo sceneggiatore che in coppia con Scarpelli ha fatto la storia della commedia all’italiana. Scherzi delle sigle. Le commedie passano, l’Agenzia delle Entrate resta. Clicchi su Age e si spalanca l’inferno: sigle, scadenze, aliquote. Il primo a riderne sarebbe stato lui. Per trovare il vero Age bisogna conoscere il suo vero nome, Agenore Incrocci, ma qui va perfino peggio. Poche righe distratte, errori grossolani. Per uno dei massimi siti di cinema italiani, Age collaborò «con altri autori fra i quali predilesse Marco Scarpelli», anziché Furio. Da non crederci.
Se questo è lo stato della memoria per uno dei massimi creatori di popolarità del nostro cinema di ieri (cui la ”sua” Pescasseroli dedica un nuovo Premio dal 22 al 24 luglio), chissà come andrà con chi usò quella popolarità per alzare un po’ il tiro. Ma forse è sempre stato così. I personaggi e le battute di Age e Scarpelli li conoscono tutti a memoria. Dei loro autori invece si ricordano solo gli specialisti. il prezzo della cultura popolare.
«In Italia gli sceneggiatori sono sempre stati messi in secondo piano rispetto ai registi», ci ricorda nella sua casa romana Ettore Scola, che con Age e Scarpelli collaborò a lungo, e arrivò alla regia dopo aver scritto più di 40 film (fra cui quelli di Antonio Pietrangeli oltre a titoli storici come Un americano a Roma, Il sorpasso, I mostri, Il gaucho). «Parlando con un gruppo di laureandi in cinema ho scoperto che nessuno sapeva chi fosse Amidei», rincara Scola. Sergio Amidei, triestino, sceneggiatore di Roma città aperta, Paisà, Sciuscià, Domenica d’agosto e molti altri capolavori degli anni 40-50, cui lo stesso Scola ha dedicato un bellissimo cineritratto quasi invisibile per problemi di diritti. «Ormai non mi stupisco più di nulla. cambiato tutto. Oggi molti aspiranti autori ignorano Dickens, Cechov, Flaubert, però vogliono far cinema. Hai voglia a spiegargli che in Dickens c’è la prima ”carrellata” e Cechov ”inventò” il piano sequenza».
La scrittura sembra una fase superflua o un male necessario. «Vogliono girare, e la tecnologia li aiuta. Sul set dei miei primi film un addetto della produzione segnalava ogni giorno quanta pellicola avevo usato. Dovevo fare delle scelte, valutare ogni singola inquadratura. Oggi si gira, si gira e poi si risolve tutto al montaggio. Ma così si perde il senso morale del fare cinema». Morale? «Proprio così. Se devo spiegare chi era Age, la prima parola utile è questa. Dietro il lavoro di Age e Scarpelli c’era una spinta etica implicita. Puoi premere sul pedale sociale, psicologico o sentimentale, puoi fare le farse e i film di Totò, ma se non ti chiedi perché lo fai è tutto inutile. L’eleganza di Age veniva anche da qui, da questa morale».
Era un altro paese, ma era diverso anche il cinema. Chi scriveva le storie aveva tempo, mezzi, considerazione. «Noi su una sceneggiatura stavamo anche un anno. E tutti i produttori, anche i più gangsteristici, erano curiosi, avevano una vera passione per il cinema», riprende Scola. «Una volta raccontai a uno di questi personaggi avventurosi tre paginette di Hemingway, uno dei 49 racconti. Si entusiasmò. Lo misi in guardia: è una storia di Hemingway. E lui: beh? Gli facciamo causa... Il cinema era così. E ognuno ci arrivava col suo bagaglio. Molti di noi venivano dal Marc’Aurelio. Age, tornando a lui, era figlio di una coppia di attori girovaghi, veri scavalcamontagne. Aveva fatto parte del Quartetto Cetra, Mr. Paganini era sua. Il padre fondò una compagnia di doppiaggio. Nel cinema quasi ci inciampò. Fra i due Scarpelli era quello più ludico, ragazzinesco. Con lui si galoppava a briglia sciolta. Poi Age veniva a riportarci nel recinto della storia».
Il tutto applicando la massima serietà anche alle occasioni più leggere. «Per scrivere Riusciranno i nostri eroi passai tre mesi in Africa. Kenya, Zimbabwe, Angola. Al ritorno cambiai tutto. Avevo visto cose inimmaginabili. In Angola ci trovammo davanti a un ponte crollato. Il colono portoghese che ci accompagnava sparì nella boscaglia e tornò dopo due ore con duecento indigeni. Li mise tutti carponi nel fiume, stese loro addosso delle traversine e così raggiungemmo in jeep l’altra riva. Dopo scene simili il copione non poteva rimanere lo stesso. Ma oggi chi è che torna dai sopralluoghi e riscrive tutto?».