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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

«NON PER PUNIRE ME MA CONTRO LA FIOM». PARLA L’IMPIEGATO MESSO ALLA PORTA


Pino Capozzi è impiegato da due anni all’ufficio Engineering e Design della Fiat, nella sede centrale di Mirafiori, a Torino. Si occupa dell’analisi dei costi dei modelli in sviluppo. Per quanto non appartenga certo ai manager - è un impiegato di sesto livello - si potrebbe comunque definire anche lui un «Marchionne boy», seppure solo dal punto di vista anagrafico: è arrivato nel pieno della rivoluzione messa in atto dal nuovo amministratore delegato. Ha 32 anni e non ha fatto le lotte operaie del Novecento. Non è neanche un «comunista»: è iscritto al Pd, e anima un circolo Pd nel suo paese, a Nichelino, nel torinese. Unico «neo»: è un rappresentante Fiom. Eppure questo identikit quasi immacolato non lo ha salvato: è il primo dei licenziati della nuova linea dura scelta da Marchionne dopo Pomigliano. E oggi potrebbe toccare a due delegati e un operaio di Melfi.
Perché, Pino, l’aria è cambiata dopo il referendum. O no?
Sì. La mia sospensione, e poi il licenziamento, sono arrivati come una doccia gelata. Non è che sotto Marchionne non ci siano stati conflitti, ma lui stesso aveva detto di voler impostare i rapporti sindacali in modo diverso, più «moderno». Tanto che solo qualche giorno fa ha mandato quella lettera a tutti i dipendenti, in cui invocava la necessità di dialogare e invitava alla collaborazione. Io penso sia scattato un forte giro di vite, dovuto a quello che sta succedendo a Pomigliano. Ma non solo: ricordiamoci le tensioni a Melfi, e a Termini Imerese, che la Fiat intende chiudere.
Tu hai mandato la lettera degli operai polacchi a 40 tuoi colleghi, e adesso la Fiat ti accusa di aver utilizzato illecitamente mezzi aziendali per fare propaganda sindacale. Tra l’altro, ti ricordano che i polacchi invitavano a «sabotare» il Lingotto.
Ma ovviamente non si parla di sabotaggio in senso letterale: le tute blu di Tychy ci invitavano a resistere all’attacco ai nostri diritti, di smontare la proposta della Fiat che chiede di rinunciare al diritto di sciopero. Tutto qui. vero, ho usato la posta aziendale, ma l’ho fatto in piena buona fede. Ho mandato quella mail solo ai 40 colleghi che compongono il mio ufficio, semplicemente invitandoli a sensibilizzare i lavoratori di Pomigliano, nel caso ne conoscessero qualcuno. Non ho mai detto, nelle poche righe che allegavo a quella lettera, di votare no all’accordo. Al contrario, diversi delegati Fim e Uilm, in quegli stessi giorni, facevano circolare nella posta aziendale volantini di invito esplicito al sì, ma loro non sono stati mai ripresi.
Come è andata poi?
Io ho mandato la lettera in giro il giorno prima del voto, poi non ho saputo più nulla. Il 6 luglio mi viene recapitata la comunicazione con 6 giorni di sospensione cautelativa. Venerdì scorso mi sono recato alla direzione del personale per portare le mie giustificazioni. Lunedì mi sarei aspettato di poter ritornare al lavoro, ma invece ho ricevuto una telefonata in cui mi dicevano di presentarmi all’ufficio del personale, l’indomani, senza passare il badge all’ingresso: lì mi è stata letta la lettera di licenziamento. E non è stato aggiunto altro.
Adesso farai ricorso?
Sì, farò tutto il possibile. Ho un mutuo sulle spalle e sono single, il mio lavoro era l’unico introito. Ma sottolineo che questo è stato un atto politico, diretto contro la Fiom. Se io posso aver fatto una leggerezza, conta poco. Il fatto è che sono della Fiom, così come i tre colleghi di Melfi.