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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

LE MANI DEGLI OLIGARCHI SULLA RICCHEZZA DI ISRAELE - I

diagrammi della Banca centrale disegnano le piramidi che controllano l’ economia israeliana. Gli analisti del governatore Stanley Fischer avrebbero potuto fotografare le Torri Akirov, due spuntoni blu che si staccano nel panorama di Tel Aviv e alloggiano i ricchi e potenti del Paese. Sei anni fa Sammy Ofer ha acquistato tutto l’ ultimo piano per quasi 9 milioni e mezzo di euro, dall’ altra parte del vuoto, al trentunesimo, abita Ehud Barak, ministro della Difesa e capo laburista. Che adesso vorrebbe vendere l’ attico di 540 metri quadri (prezzo richiesto oltre 6 milioni di euro) e cercare una sistemazione meno vistosa per il leader della sinistra. «Siamo costretti ad andarcene per le pressioni politiche. Qui esiste ancora una mentalità socialista», si è lamentata la seconda moglie Nili Priel. La mentalità forse esiste ancora, ma le cifre raccontano una nazione molto lontana da quella egualitaria progettata dai padri del sionismo e costruita sulle fondamenta dei kibbutz, non sui piloni di acciaio dei grattacieli. La ricchezza dello Stato ebraico è accumulata nei portafogli di venti famiglie, al vertice di gruppi che gestiscono banche, energia, telecomunicazioni, costruzioni. Tutto insieme, tutto connesso. Troppo secondo la Banca centrale, che nell’ ultimo rapporto avverte: «Israele è una delle nazioni con il più alto indice di concentrazione nel mondo occidentale e in questo assomiglia a un Paese in via di sviluppo. Gli agglomerati sono controllati da famiglie e le implicazioni per il sistema finanziario e l’ attività economica sono serie, perché il successo di queste società - e i benefici per il pubblico - dipendono dai rapporti personali di un piccolo gruppo di persone, non dalle qualità e dalla bravura dei manager». Attraverso la Idb Holdings, Nochi Dankner, al vertice del vertice delle piramidi, muove i fili finanziari di Cellcom (gigante della telefonia cellulare), delle assicurazioni Clal e della catena di grandi magazzini Supersol. «Quando noi israeliani usciamo al mattino, è inevitabile che prima o poi verseremo dei soldi nelle tasche di Dankner», dice Amir Kurz, editorialista del settimanale Calcalist, alla Jewish Telegraphic Agency. Yitzhak Tshuva (gruppo Delek) ha interessi nelle costruzioni, nell’ energia, nelle telecomunicazioni e nel 2004 si è comprato l’ Hotel Plaza a New York per 675 milioni di dollari. Dankner e Tshuva svettano nella lista dei cinquecento israeliani più ricchi pubblicata ogni anno da The Marker, l’ inserto finanziario del quotidiano Haaretz. La squadra di bilionari vale da sola 75 miliardi di dollari. Per un confronto, il prodotto interno lordo del Paese arriva a 194. «Qualcuno dei grandi gruppi e le famiglie rappresentano un pericolo per l’ economia e la democrazia. Minacciano l’ innovazione, la produttività, la crescita ed è sempre più difficile per il governo, i politici, la stampa restare indipendenti», spiega Guy Rolnik, fondatore e direttore di The Marker, la sua famiglia è proprietaria da tre generazioni del giornale di riferimento della sinistra israeliana. Vecchi soldi contro i nuovi generati dai «cartelli». «Alcuni dei cosiddetti capitalisti israeliani - continua Rolnik - non amano la vera essenza del capitalismo: il libero mercato». Il potere della famiglie è così consolidato che il premier Benjamin Netanyahu ha chiesto all’ autorità Antitrust di preparare un disegno di legge. «La proposta del governo verrà presentata entro i prossimi tre mesi - spiegano dall’ ufficio del primo ministro - e l’ obiettivo è quello di ridurre le concentrazioni eccessive». Il progetto prevede di impedire che gruppi edili, per esempio, possano avere partecipazioni nelle banche. La Knesset si prepara anche a discutere una norma introdotta insieme dalla sinistra e dalla destra. Shelly Yachimovich (Labour) e Haim Katz (Likud) vogliono frenare i superstipendi dei manager, che non potrebbero superare più di 50 volte il salario dell’ impiegato meno pagato nella società. Oggi i vertici possono arrivare a guadagnare 500 volte tanto i loro lavoratori.
Davide Frattini