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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

IL MERCATO PI OSCURO

Le cronache giudiziarie stanno ridisegnando l’ Italia come una piramide di comitati d’ affari, con vetta a Roma ma poi estesa ovunque, in una specie di federalismo dell’ arte di arrangiarsi. La cosiddetta P3 ne è l’ ultima immagine, dove riemerge perfino Flavio Carboni, vecchio piduista che ebbe il suo momento ai tempi dell’ assassinio del banchiere Roberto Calvi, trent’ anni fa. Ma l’ elenco è lungo: la cricca di Anemone e gli appalti del G8; gli impuniti della ricostruzione dell’ Aquila; le speculazioni ospedaliere in Lombardia dove pure la spesa sanitaria rispetto al Pil è la metà di quella della Campania bassoliniana. Proseguire sarebbe stucchevole. Meglio chiedersi come mai ritorni la corruzione, ingigantita e non di rado bipartisan, mentre l’ opinione pubblica sembra indignarsi sempre meno. La corruzione è ancora legata alla spesa pubblica: alle commesse opache, al mercato del diritto, agli incentivi furbeschi, che ora esplodono nell’ eolico, domani chissà, ai pagamenti a piè di lista, per cui si operano i pazienti anche quando non serve. Ma rispetto agli anni pre-Mani Pulite c’ è un cambiamento. Allora, l’ industria parastatale e la pubblica amministrazione erano piegate al finanziamento dei partiti e dei loro dirigenti, spesso associati all’ industria privata. Oggi, sono i faccendieri e le lobby che, materialmente o culturalmente, comprano i governanti, asservendoli. l’ inversione di una storia antica che ha nell’ indebolirsi della politica la sua radice. Negli Anni 90, i partiti della Seconda Repubblica si gettarono alle spalle tessere, correnti, congressi e con essi l’ idea che la leadership fosse da riconquistare ogni giorno, collegio per collegio. Le privatizzazioni furono sentite come l’ alba della meritocrazia, dopo la corruzione. Con il tempo si è visto un nuovo tramonto: Parmalat, Popolare di Lodi, Telecom, Fastweb, Unipol, Rai, i traffici sul gas russo, i veleni su Finmeccanica. Un altro elenco lungo e stucchevole. Del quale, tuttavia, non si può tacere il finale: il crac del capitalismo finanziario anglosassone, fonte di ispirazione del riformismo italiano, su entrambi i lati dello schieramento politico. L’ idea che la mera privatizzazione dell’ economia potesse restituirci un’ etica pubblica si è consumata nel falò delle vanità dei fondi che speculano senza costrutto e dei soliti noti che tosano le grandi imprese, nelle paghe smodate dei top manager, banchieri e non, mentre le disuguaglianze aumentano e l’ ascensore sociale si ferma. Rimane la privatizzazione della politica. Che va oltre i conflitti d’ interesse e contagia il sistema dei partiti dove i leader, o chi ha le chiavi della cassa, sono i padroni. Padroni blindati dalla legge elettorale che costringe i cittadini a votare i loro prescelti, sulla base di un’ adesione ideologica in tempi senza ideologie. Come stupirsi se i prescelti, anonimi e miracolati a Roma quanto in provincia, subiscano la tentazione di mettersi al servizio di chi prometta la mancia? P.S. Che cosa aspettano il sottosegretario Nicola Cosentino e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, a dare le dimissioni o Silvio Berlusconi a pretenderle? O il Pdl a farsi sentire?
Massimo Mucchetti