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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

ANCHE LO YOGA HA IL SUO COPYRIGHT

Gli intrecci delle mani, dei piedi, delle gambe, la postura del tronco sono cruciali. Ma anche il ritmo del respiro. E l’inquadratura. Che deve racchiudere, nel breve spazio di un video, l’unicità di una specifica «asana», una delle posizioni tradizionali dello yoga. Al di là di ogni possibile contraffazione. Gli uffici della Traditional Knowledge Digital Library di Nuova Delhi da qualche tempo sembrano trasformati in uno studio di produzione televisivo. L’ente creato cinque anni fa dal governo indiano è impegnato in un’impresa colossale: quella di documentare - immagine per immagine, posizione per posizione - il patrimonio culturale dell’India più noto nel mondo. Lo yoga, appunto. Un tesoro millenario formato da decine di scuole, diramazioni filosofiche, variazioni religiose - e da un numero sterminato di posizioni. Alla Libreria del Sapere Tradizionale sono arrivati a filmare 900 asanas. Per ora. Vinod Kumar Gupta, che dirige l’organismo, li ha battezzati videogrammi: «All’inizio, abbiamo pensato a convertire antichi testi illustrati in formato digitale. Poi ci siamo resi conto che non bastava. C’è gente all’estero che sostiene di aver inventato lo yoga, quando invece esso è nato in India, migliaia di anni fa. I video escludono ogni dubbio e qualunque tentativo di appropriazione»,spiega con una pacatezza leggermente indignata. Insomma, la posizione del loto ha bisogno di un marchio di tutela, come il formaggio d’alpeggio e i grandi cru del vino.
Chi sta tentando di rubare lo yoga? Secondo il governo indiano, gli istruttori che, nell’emisfero occidentale, hanno presentato la domanda di brevetto su nuovi stili, derivati dallo yoga tradizionale. Alcuni sono guru e yogin indiani espatriati, soprattutto negli Stati Uniti. «Il fatto è che, in realtà, si tratta di etichette reinventate per stili di yoga meno conosciuti, ma ampiamente praticati e insegnati nel passato in India. Come siamo in grado di dimostrare»,ha dichiarato Gupta al Guardian di Londra. Così, il corpus filmato della libreria digitale di Delhi dovrebbe funzionare da copyright preventivo.
Niente di nuovo, dunque, in una disciplina che dal subcontinente si è diffusa per il globo nel secolo passato. Per una maliziosa coincidenza, è uscito di recente un libro che racconta gli inizi difficili dello yoga in America, «The Great Oom»(Il grande Oom, di Robert Love, Viking), e le peripezie di Pierre Bernard, che ne fu il pioniere, alla fine dell’Ottocento. Oggi, gli individui che praticano lo yoga nel mondo superano i cento milioni, e le scuole, i seminari, i video-esercizi, le riviste alimentano un prospero giro d’affari.
Il «protezionismo» sullo yoga fa parte di una strategia più ampia delle autorità indiane per la difesa dell’identità culturale, mentre l’immenso Paese si apre alla globalizzazione. Governo centrale e amministrazioni locali spendono ogni anno centinaia di milioni di rupie per festival religiosi, manutenzioni di templi e corsi braminici. Ma la tutela dello yoga potrebbe presentare difficoltà oggettive. Secondo alcuni esperti, le asanas sarebbero milioni. La posizione più antica sarebbe stata identificata in una statuetta ritrovata nella valle dell’Indo, datata più di cinquemila anni fa. Giuseppe Tucci, il grande orientalista italiano, include lo yoga tra le scuole filosofiche ortodosse dell’India. I suoi precetti mirano a liberare l’anima attraverso la disciplina del corpo. Solo che, nella stessa India, non tutti sono d’accordo sul tipo di disciplina. I guru più giovani chiedono un aggiornamento delle disposizioni dei testi tradizionali. Praticare yoga nella giungla non è la stessa cosa che farlo durante una pausa di lavoro in un call center, sostengono gli innovatori. Dayan Singh, che insegna Kundalini yoga a Roma, non sente invece il bisogno di cambiamenti. «Lo yoga ha migliaia di anni di esistenza, portati bene. Il suo segreto è la flessibilità. grazie a questa che è riuscito ad arrivare dall’India antica all’uomo contemporaneo».