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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

IL POTENTE IN CELLA FA IL FILOSOFO

Cosa fa abitualmente l’arrestato illustre in cella? «Legge e riflette». Dicono gli avvocati, di solito: «È in atto in lui un profondo cambiamento». Meditano. Avviano ripensamenti. Allargano interessi.
Non si sta parlando dei troppi poveri cristi che marciscono nelle patrie galere, ma di una stramba fenomenologia all’italiana: il potente che finisce dentro - a torto o a ragione - e immancabilmente si scopre filosofo. Il faccendiere Flavio Carboni passa il suo tempo leggendo Schopenhauer, probabilmente Il mondo come volontà e rappresentazione; altre fonti aggiungono anche Kierkegaard, Aut Aut, il libro che ricostruisce il salto dalla vita estetica alla vita etica (per quella religiosa c’è tempo). Cambiano, naturalmente, da caso e caso, le ragioni dell’evoluzione filosofica del potente recluso; e da soggetto a soggetto. Ma nella storia delle reclusioni celebri vi è stato anche chi ha teorizzato un paradossale influsso positivo del carcere. E l’hanno ascoltato. Marcello Dell’Utri, che nel giugno del ”95 trascorse un paio di settimane in prigione a Ivrea, ne uscì comunicando di aver trovato sollievo nel De constantia sapientis di Seneca, la cui morale è «il saggio non si deve mai sentire offeso. Perché sono quelli che lo offendono a essere in colpa».
Dell’Utri narrò di aver anche ripreso in mano I promessi sposi. C’è quel passo in cui, alla fine, Manzoni scrive «tu vedi, può esser castigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che ti ha offeso, sì, lo stesso sentimento, il Dio che tu pure hai offeso avrà per te in quel giorno...». fra’ Cristoforo che parla a Renzo, invitandolo a non nutrire acrimonia per don Rodrigo, nel frattempo moribondo nella Milano travolta dalla peste: il capitolo 35, le ultime righe, informò Dell’Utri, che era «riuscito a rileggere, là». Cioè dietro le sbarre. Ma quanta attualità, la situazione caotica del Paese, i personaggi, le monache di Monza, i bravi...
In cella il potente, se non tracolla, sente l’afflato delle lettere. Il finanziere socialista Cusani entrò zoppicante in lingua e ne uscì letterato. Il giudice Curtò passava tutto il tempo in pigiama, il povero Darida era quasi impazzito, ma Franco Nobili leggeva libri, la Bibbia, soprattutto, o l’Apocalisse di Giovanni. E Francesco Pazienza, per stare nei pressi di Carboni, leggeva Gandhi: le sue memorie, scritte in cella, le intitolò Il disubbidiente (Longanesi). Silvio Scaglia, ad di Fastweb, ha trascorso l’ultimo marzo dentro leggendo - in inglese - Shakespeare, giusto per stare ai meccanismi eterni del Potere. Calisto Tanzi leggeva la Divina Commedia. Poggiolini I demoni di Dostoevskij. Abdullah Ocalan, il leader del Pkk turco, leggeva Nietzsche (gli venne un infarto). Amanda Knox passava il tempo con i racconti di Moravia. Il governatore abruzzese Ottaviano Del Turco, incarcerato e solo dopo scagionato, aveva una raccolta di romanzi di Hemingway, «mi piacciono molto, soprattutto perché è una particolare edizione Mondadori, stampata in caratteri particolarmente piccoli. Così per leggere devo concentrarmi e non penso, soprattutto non penso a quello che dovrò dire al magistrato quando finalmente mi vorrà vedere per sapere la mia versione dei fatti».
Nessuno, questo è certo, dovrebbe stare in carcere a lungo; non fosse altro che per non diventare filosofo. Disse una volta il poeta Sandro Bondi, visitando dei carcerati: «Le inferriate ci impediscono di guardare a quelle perle di spiritualità e di dolore rinchiuse nel fondo di una cella». Come Carboni, in certo senso. Non come Patrizia Reggiani, un tempo moglie di Gucci, nel ”97 accusata di aver ucciso l’ex marito: ma almeno non si diede alla filosofia. Leggeva Topolino.