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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

NESSUNO VUOLE ASSICURARE. GLI SCOOP DI TRAVAGLIO

& C.
Antonio Padellaro avrebbe una sua ricetta per punire i giornalisti che violano la privacy dei cittadini pubblicando intercettazioni telefoniche su questioni private (abitudini sessuali, vicende familiari etc...): radiarli dall’albo e impedire loro l’esercizio della professione. Una soluzione ancora più radicale di quella prevista dal disegno di legge sulle intercettazioni, che è stata messa a disposizione non dei lettori de Il Fatto quotidiano, ma solo degli azionisti del quotidiano. La ricetta Padellaro è stata esposta infatti non in un articolo di fondo, ma in una riunione del consiglio di amministrazione del quotidiano del 26 maggio scorso.
LA RICETTA
Il settimo punto all’ordine del giorno del consiglio era infatti quello delle scelte imprenditoriali che la società avrebbe dovuto compiere di fronte alle norme previste dal ddl intercettazioni. Padellaro ha preso la parola e inanellato una filippica. Spiegando che il ddl governativo «anche con gli emendamenti in discussione è inaccettabile alla radice e deve essere contrastato in tutti i modi», ma spezzando una lancia a favore degli intercettati: «La privacy delle persone va protetta con il rispetto del codice deontologico dei giornalisti. Auspico che l’ordine dei giornalisti intervenga in caso di infrazioni con misure pesanti fino alla radiazione». Ma gli altri azionisti de Il Fatto badavano più al sodo. «Io sono d’accordo con qualsiasi azione preventiva promossa dal giornale», ha spiegato al consiglio di amministrazione l’amministratore delegato Giorgio Poidomani, «ma voglio sapere dal consiglio come reagire nel caso di approvazione definitiva della legge». Da manager Poidomani ha infatti elencato le «sanzioni pecuniarie molto rilevanti per gli editori» previste dal disegno di legge, e ha fatto capire che anche un giornale-bandiera come Il Fatto mica può correre quei rischi finanziari. Visto come buttava, Padellaro ha trovato una soluzione un po’ furbetta e democristiana: il quotidiano anche dopo l’approvazione della legge sulle intercettazioni, cercherà di correre i suoi rischi, ma solo con piccole violazioni della norma, concordate prima con un pool legale, che non faranno correre
rischi finanziari alla società e che anzi potrebbero fare da volano alle vendite perché di fronte alla prima causa si porterebbe il caso davanti alla corte europea di giustizia e si farebbe una lunga campagna stampa e politica. Ecco l’idea geniale su come salvare la cassa facendo finta di informare il proprio pubblico e toccando le corde più ingenue e sensibili: «Propongo», ha esordito il direttore del Il Fatto quotidiano, «di procedere pubblicando notizie che costituiscono lievi infrazioni alla legge per essere chiamati in giudizio e ricorrere alla Corte europea. L’adozione di queste misure va preventivamente concordata e guidata dagli avvocati Caterina Malavenda
e Oreste Flaminii che assistono la società in queste materie». La proposta Padellaro è stata subito appoggiata da uno dei grandi azionisti dell’editoriale, Lorenzo Fazio, direttore editoriale della Casa editrice Chiarelettere «il mio sì è molto meditato avendo anche io gli stessi problemi con la pubblicazione dei libri». Alla fine tutti d’accordo, anche se Poidomani che è attento alle questioni di cassa e alla responsabilità amministrativa ha chiesto di sottoporre al voto di una assemblea straordinaria degli azionisti la mediazione Padellaro. Se passerà quindi Il Fatto quotidiano che è nato come giornale delle procure (assumendo addirittura un giornalista per ogni ufficio giudiziario rilevante), si trasformerà in quotidiano scritto dagli avvocati difensori, perché su ogni articolo rilevante sulle indagini (e cioè su quasi tutto il giornale come è fatto oggi) dovrà esserci il ”visto, si stampi” della coppia legale Malavenda-Flaminii.
Quello dei rischi di cause civili per Il Fatto quotidiano deve essere un tema assai rilevante e del tutto disgiunto dalle piccole marachelle autorizzate che si compieranno dopo l’approvazione del ddl intercettazioni. In quello stesso consiglio di amministrazione il manager Poidomani ha spiegato di avere cercato da tempo contatti con compagnie assicurative disposte a stipulare con Il Fatto quotidiano una assicurazione sui danni per responsabilità civile verso terzi «visto il numero considerevole di procedimenti giudiziari, prevalentemente in sede civile, che continuano ad essere promossi».
IL BROKER MILANESE
Il primo giro di contatti è andato a vuoto: nessuna compagnia italiana è disposta ad assicurare un giornale come Il Fatto quotidiano. Chiarelettere ha consigliato di rivolgersi a un broker milanese specializzato nel ramo. E qui qualcosina è accaduto. Il broker ha trovato due compagnie straniere «disponibili a studiare il problema». Una è la Ace european group limited, che vorrebbe esaminare tutta la situazione del quotidiano e poi fare la sua proposta. L’altra secondo Poidomani che l’ha messa a verbale nel cda sarebbe la ”Chartersex Aig”. Probabilmente si tratta di un refuso. Nel gruppo Aig prescelto dagli azionisti de Il Fatto (quello che è andato a fondo con i mutui subprime e che ha creato scandalo perché dopo essere stato salvato dalla Fed ha pagato superbonus ai manager che avevano rovinato la compagnia) non esiste una compagnia Charters, ma una Chartis che ha anche tre sedi in Italia e una polizza ”responsabilità civile professionale e rischi finanziari” che comprende anche le cause civili per diffamazione intentate ai media. La polizza vale per un massimale di 10 milioni di euro, ma vista la situazione de Il Fatto sembra che sia stata proposta con un massimale da 1,5 milioni e una franchigia a carico del giornale di 15 mila euro. Il contratto però non è stato ancora firmato.