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 2010  luglio 13 Martedì calendario

POLITICA E ”NDRANGHETA: MAXI INCHIESTA AL NORD

 dai tempi della notte di San Valentino del 1983 e della Duomo connection che non si assiste nel nord Italia a un’inchiesta contro la criminalità organizzata tanto vasta da svelare rapporti inconfessabili. Le procure di Milano e Reggio Calabria con l’aiuto dei pubblici ministeri di altre città, come Monza con il neo procuratore capo Corrado Carnevali e Pavia, stanno stringendo sui capi che comandano la ”ndrangheta nelle regioni del Nord Italia. Capi che godono dei passaggi cruciali dai gruppi storici come i De Stefano a ”ndrine emergenti, che sfruttano i master universitari negli Usa degli esperti in riciclaggio, insomma di chi è cresciuto nei vuoti di potere determinati dai maxi processi dello scorso decennio. Ben 300 persone sotto inchiesta, oltre 150 gli ordini di custodia cautelare al vaglio. In parte già firmati, in parte prossimi al via libera: pronte a scattare retate per colpire centinaia di boss, capi cosche, trafficanti, killer e affiliati di chi ha trasformato i cuori pulsanti dell’economia nazionale in ragnatele estese di mafia e silenzio.
Colonizzati dal crimine
Ma non colpiscono soltanto i numeri di questa indagine. Le inchieste raccontano di una parte di nord che non conosciamo, al quale non siamo abituati con scenari che prendono in contropiede. Raccontano di un intreccio di connivenze che imbarazzano. Fatte di commercianti piegati al pizzo e all’usura in Brianza, di piccoli imprenditori vessati e conniventi, di ricatti che si trasformano in cessioni di aziende e intimidazioni che inducono alla complicità e alla servitù mafiosa. Non nel sud, nella Calabria ritenuta in parte ostaggio delle cosche ma nel pavese, nell’hinterland milanese, nelle province lombarde.
Sono piatti indigesti qui al nord dove manca la percezione della metastasi compiuti in gran silenzio da una ”ndrangheta che dopo i sequestri di persona ha cessato di creare allarme sociale. Senza cogliere quella contaminazione quotidiana con la ”zona grigia” della politica e della pubblica amministrazione, del sistema delle banche e degli intermediatori finanziari.
L’inchiesta si spinge quindi anche oltre e narra della penetrazione che la ”ndrangheta avrebbe compiuto nella politica della regione riuscendo a infiltrarsi nelle amministrazioni guidate dalla Lega e dal Pdl, nelle municipalizzate, nelle Asl, nei giochi delle lottizzazioni e delle raccomandazioni. un’inchiesta che esprime l’ambizione giudiziaria di documentare quindi la cerniera tra mondi ritenuti lontani. Certa imprenditoria del nord e certa politica di seconde e terze file, amministratori locali che subiscono il colonialismo criminale e scendono a patti con i boss. Non sembra che dagli atti emergano nomi di rilevanza nazionale della politica ma già l’intreccio tra comuni, municipi e uomini delle cosche, tra chi amministra la cosa pubblica in zone agiate del nord e boss impone delle riflessioni. Con lo stesso senso di smarrimento determinato dalla recente richiesta di sciogliere, ad esempio, il comune di Bordighera per infiltrazioni mafiose. Come se l’amena località ligure, tra i tetti delle eleganti ville a due passi da Montecarlo, fosse una delle tante comunità aggrappate a San Luca, a Bovalino, nelle strade polverose di Careri con le case senza intonaco e i pomelli d’oro nei bagni. Così la Brianza come la dipingi se non pensi ai mobilieri, al pavese dei vini, delle eccellenze nella medicina, dei campus universitari e non da ultime generazioni criminali. L’ipotesi investigativa andrà quindi sostenuta con i dovuti distinguo, senza generalizzazioni, con
elementi probatori rilevanti per togliere dal campo le perplessità, i numerosi interrogativi che ipotesi di questo tipo determinano. Di certo, Ilda Boccassini, che di questa indagine è la mente pensante, è chiara e netta: «O si sta con lo Stato o si sta contro lo Stato. Quando c’è connivenza o compiacenza la linea della Procura, se ci saranno i presupposti, sarà durissima. Non si possono avere alibi». E per Ilda, dopo i processi e la coda infinita di polemiche, alle toghe romane, al porto delle nebbie, a Cesare Previti, è un nuovo banco di prova.
Panico al Pirellone
Le mosse dell’inchiesta, tra intercettazioni e pedinamenti, hanno provocato paure e qualche psicosi nel Pirellone con esponenti politici che, a torto o a ragione, si sentono nel mirino degli inquirenti. Inevitabile la coda di sussurri, di voci, di malelingue, di fantasmi che ricordano quelli degli esordi di Mani pulite in un insostenibile clima da tricoteuse. Solo nelle prossime settimane si avrà una visione più complessiva delle indagini visto che Paolo Storari, Alessandra Dolce e appunto la Boccassini hanno scelto la strategia di mandare ogni filone investigativo a maturazione in gran silenzio. All’appello, quindi, mancano numerosi atti investigativi. Non da ultimo bisognerà sbobinare migliaia di intercettazioni telefoniche che vista la complessità dell’inchiesta sono rimaste ancora chiuse negli armadi blindati. Cosa hanno registrato quei nastri?