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 2010  luglio 13 Martedì calendario

QUATTRO MILIARDI IL «CONTO» PER IL PAESE

Per fortuna tra qualche anno, nella primavera del 2015, il regime delle quote latte sparirà. La sua cancellazione è stata infatti già definita dall’ultima riforma della Politica agricola comunitaria (èac) del novembre 2008. Niente più gabbie produttive, supermulte da pagare, contenziosi infiniti con l’Unione europea e aziende libere di con-frontarsi con il mercato dopo trent’anni di contingentamento della produzione. Che all’Italia ha fruttato soprattutto oltre 4 miliardi di euro di multe per mancato rispetto delle regole e polemiche politiche infuocate che hanno portato da ultimo, l’attuale ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan, sull’orlo delle dimissioni. Perché le regole vanno rispettate, come ha ricordato il ministro, e il regime delle quote latte rappresenta una regola condivisa anche dall’Italia e non,come pu-re è stata definita, una «diavoleria o mistificazione europea».
 il 1984 quando, per frenare la continua crescita dei surplus produttivi di latte nell’Unione europea, l’allora Comunità decide di imporre un tetto massimo alla produzione con l’obiettivo diretto di frenare le eccedenze e quello, indiretto, di sostenere i prezzi di mercato. I contingenti vengono assegnati sulla base delle quantità commercializzate in un periodo di riferimento.Per l’Italia viene individuato l’anno 1984. Il principio è quello di imporre il rispetto dei limiti assegnati attraverso una multa (prelievo supplementare o superprelievo) a carico degli allevatori che commercializzano quantitativi di latte superiori alla propria quota di riferimento. Per garantire il funzionamento del sistema la multa dev’essere salata, così viene fatta corrispondere grosso modo al valore commerciale del prodotto.
Il «peccato originale» nasce allora. Perché nel difficile negoziato l’Italia ottiene una quota produttiva che supera di poco il 50% del fabbisogno nazionale. Un’assegnazione che da subito spacca il fronte comunitario tra paesi eccedentari e paesi deficitari. Inoltre, l’applicazione del nuovo regime in Italia si rivela subito difficilissima, sia per la sottostima iniziale del potenziale produttivo che, soprattutto, per la grande frammentazione che caratterizza la zootecnia da latte italiana.
Dopo aver consentito per i primi anni l’assegnazione delle quote e la loro gestione alle associazioni dei produttori, invece che ai singoli allevatori, nel 1989 Bruxelles cambia linea e impone all’Italia la ripartizione delle licenze produttive sui singoli produttori. Il governo è così costretto ad approvare, nel 1992, la legge 468/92 che prevede l’assegnazione dei quantitativi di riferimento (individuati nel frattempo nelle produzioni realizzate nei periodi 1988/89 e 1991/92) direttamente alle singole aziende. Ma la Commissione contesta i nuovi dati forniti dall’Italia e avvia un contenzioso per chiedere il pagamento di multe arretrate per oltre 6mila miliardi di lire. Contenzioso che si chiuderà solo nel 1994 dopo un lungo braccio di ferro con una soluzione con cui si riconosce all’Italia una consistente riduzione del prelievo da pagare e un aumento della quota nazionale a fronte dell’impegno a gestire il regime nel rispetto delle regole comunitarie.
Nel frattempo però il processo di ripartizione delle quote ai singoli produttori scatena una valanga di ricorsi da parte degli allevatori rendendo ancor più difficile l’imposizione del prelievo sugli splafonatori. Quest’ultimo,come molti meccanismi finanziari comunitari, è congegnato in modo che lo Stato membro paga comunque le multe a Bruxelles, salvo poi rivalersi sul produttore. così che l’Italia ha già pagato oltre 4 miliardi di euro di multe avendone recuperati dai produttori circa 300 milioni. Gli allevatori sono restii a pagare, ritenendosi danneggiati dalla ripartizione e nel 1997 scendono in piazza bloccando strade e aeroporti: nascono i Cobas del latte, appoggiati dalla Lega Nord. Ma anche chi ha investito mettendosi in regola e acquistando le (costose) licenze di produzione si sente, a ragione, vittima di un’ingiustizia Nel 1999, l’allora ministro delle Politiche agricole (oggi alla guida della commissione Agricoltura dell’Europarlamento), Paolo De Castro,negozia nell’ambito della riforma conosciuta con il nome di Agenda 2000 un aumento produttivo della quota nazionale pari a 600mila tonnellate (divisa in due tranche), circa il 5% del totale della quota nazionale, oggi pari a 11,3 milioni di tonnellate. Ma lo sforzo non basta. Nel 2003 il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, tiene in ostaggio una riunione dell’Ecofin, il Consiglio dei ministri economici e finanziari europei (dove si vota all’unanimità),per ottenere una rateizzazione che consente ai produttori-splafonatori di estinguere il loro debito in 14 anni a tasso zero. Il pagamento della sesta rata di questo piano di rateizzazione sarebbe ora sospeso dall’emendamento alla manovra approvato la scorsa settimana dalla commissione bilancio del Senato.
L’ultima concessione di Bruxelles all’Italia è del novembre 2008. I ministri agricoli dell’Unione europea,alle prese con l’ennesima riforma della Pac, decidono che è ora di mettere fine al regime delle quote latte. Lo smantellamento definitivo viene programmato per il mese di aprile del 2015, ma ci si avvicinerà a quella data in modo graduale, aumentando le quote produttive (già riviste al rialzo l’anno prima) dei singoli paesi dell’1% l’anno in 5 anni. Ma per l’Italia il ministro Luca Zaia chiede ed ottiene dal commissario Ue Fischer Boel l’aumento «tutto e subito», offrendo in cambio la regolarizzazione del pagamento delle multe attraverso un nuovo piano di rateizzazione (questa volta oneroso) fino a 30 anni. Lo stesso piano che l’emendamento votatoal Senato e fortemente sostenuto dalla Lega vorrebbe ora bloccare, sospendendo il pagamento della prima rata delle multe arretrate a carico degli allevatori. Un’eventualità che garantirebbe all’Italia l’apertura immediata di una procedura d’infrazione.
E pensare che nel progetto avviato ventisei anni fa le multe dovevano rappresentare solo un’anomalia, un male necessario a far funzionare il nuovo regime. Oggi, in Italia, sono invece parte integrante di un sistema che si avvia a essere smantellato ma rischia, nel confronto con il mercato e con sistemi produttivi molto più competitivi del nostro sul fronte dei costi, di essere addirittura rimpianto.