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 2010  luglio 13 Martedì calendario

LE INTERVISTE INVENTATE UN’ARTE DA CONCORSO

Il concorso sta andando così bene che è stato rilanciato ancora. In redazione al glorioso New Yorker stanno arrivando numerose interviste inventate. Tommaso Debenedetti - il free lance che ha inventato più di 60 interviste a scrittori famosi e premi Nobel solitamente tetragoni a qualsiasi dialogo, ed è diventato il simbolo delle nequizie del giornalismo all’italiana - ha creato, o magari solo svelato, un mostro che circolava già?
Il raffinato e superliberal settimanale ha lanciato alla fine di giugno un concorso tra i suoi lettori che è tuttora in pieno svolgimento. L’idea è venuta al critico Ian Crouch, che ha riassunto la storia e proposto ai lettori questa gara. «La confessione di Debenedetti al País dovrebbe segnare la fine della sua carriera, ma forse anche no. Lui rappresenta una grandissima storia molto più adesso di quanto non abbia fatto quand’era un normale reporter». Debenedetti aveva detto al quotidiano spagnolo di esser molto soddisfatto delle sue produzioni, «così noi adesso stiamo cercando chi lo sfidi come campione dell’invenzione».
Dice appunto «invenzione», non solo «bugia», il New Yorker. E conviene rifletterci. Perché «chiunque può fare interviste vere, rivolgere delle domande a qualcuno e trascrivere le risposte vere. Roba da sbadigli. No, se invece voi cercate una vera sfida potete inventarvi tutto, quella è vera scrittura. Mandateci le false interviste e la prossima settimana le pubblicheremo». La gara ha avuto successo.
Sta capitando allora qualcosa che merita d’esser raccontato. Da un lato Debenedetti ha costruito sul falso una sorta di mitologia del «furfante» (il New Yorker lo chiama in effetti così, «italian rascal») che però ritiene di svelare le magagne del sistema dei media italiani; e tale mitologia, evidentemente, piace assai all’estero perché conferma l’immagine che sappiamo riflettere di noi stessi: cialtroni, servili, inaffidabili. Ma dall’altro è impossibile non constatare che questa storia ha rinverdito - con l’inganno, ovviamente, ma dell’inganno ormai già sapete tutto - un genere letterario esistente: la conversazione col defunto, una delle forme classiche di inventio, anzi, uno degli espedienti classici della letteratura tout-court. Che quella roba fosse sui giornali sta diventando ininfluente proprio nel mondo anglosassone: quello dei fatti accertati, ma anche delle università appassionate di decostruzionismo, semiotica dei testi, giochi linguistici. Non necessariamente truffaldini.
Così, al telefono, è relativamente surreale che sia proprio Debenedetti a individuare i rischi dell’operazione-New Yorker che si compie in suo nome: «Mi pare che ormai si tenda a sdoganare questo genere, a vederlo per ciò che effettivamente è: qualcosa di letterario, di paradossale, al limite anche una denuncia. Però, certo, questo sdoganamento potrebbe anche essere pericoloso». Mica tutti sono Debenedetti. Il quale confessa: «Mi ha cercato una grande casa editrice italiana per fare un libro con le interviste false; sarebbe bellissimo se Roth potesse scrivere la prefazione». Il titolo c’è già: Dialogo di un realista e di un falsario.
Il New Yorker, certo, non dà la patente di artista al nipote dei grande critico Giacomo; ma già il Guardian, quando raccontò la storie delle finte interviste a Philip Roth e colleghi, scrisse, sì, che «ultimamente pochi giornalisti sono riusciti ad assicurarsi più scoop letterari di Tommaso Debenedetti», ma aggiunse che quel tipo era stato «geniale». Ora il settimanale di New York ha presentato il concorso con due interviste che fungono da esempio: una conversazione di Thomas Jones con Italo Calvino, un’altra di Ted Barrigan con John Cage. Perché Calvino e Cage? Furono entrambi in forme differenti teorici (e pratici) dell’invenzione artistica assoluta. E l’«intervistatore» di Calvino osserva, beffardo: «Seguendo le rivelazioni che una presunta intervista a Philip Roth pubblicata a novembre da Libero era pura invenzione, ho chiesto a un pugno di scrittori italiani di commentare l’accaduto. Molti hanno educatamente rifiutato; ma Italo Calvino è stato generoso abbastanza da darmi pochi minuti del suo tempo».