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 2010  luglio 13 Martedì calendario

ADRIANO CELENTANO, MIO ZIO

Al centro della storia c’è una foto ingiallita e in basso, quasi invisibile, una data. Epifania 1938, in una strada stretta di Milano con la città che lascia spazio alla campagna, nasce Adriano Celentano, figlio di Giuditta e Leontino, emigranti pugliesi saliti dalle spianate di Foggia fino a Via Cristoforo Gluck, per ascoltare le urla di un figlio che disegnerà la futura epopea della musica italiana declinata in rock. In quella casa, con il cesso in comune sul ballatoio e i soldi che non bastano mai, Adriano arriva quando nessuno lo attende. ”Questt ai fegghie di vicchie, adda murè”. Giuditta ha superato i quaranta, dietro alla vecchia Singer cuce la solidità economica della famiglia e alla scaramanzia, ha imparato ad anteporre la verità del dolore. Qualche anno prima, nel 1934 Adriana, la quarta figlia è morta di Leucemia. Così Adriano ne eredita il nome, lasciando la memoria della perdita, all’intimo istante di una preghiera. Bruno Perini, nipote di Adriano, ha raccolto le istantanee di un’esistenza intera in 200 pagine. ”Memorie di zio Adriano”(Mondadori).
TITOLI. Il titolo inganna. Perché Perini, giornalista economico de Il Manifesto, non ha messo in piedi un’operazione gravata da un intellettualismo pedante. Non c’è nel percorso raccontato con gli occhi di chi ha osservato (da vicino) l’evoluzione di Adriano, vezzo da letterato. Solo il nipote capisce lo zio e Adriano ha saputo spiegare inquietudini e inclinazioni, da povero e da ricco, perché alla fine ”Dietro Adriano c’è solo Adriano”. Decide lui, è sempre stato così. Con attenzione mistica alle radici, fedeltà ontologica alla prima infanzia, gratitudine per quei conti in bilico, che Giuditta ”Il comandante”, sapeva come far tornare in equilibrio. Da Via Gluck, dalla quale la famiglia si trasferì nel 1948 per andare ad abitare in Via Correnti, Adriano non si separò mai. Anche quando il Boom disegnò una Milano diversa, ricoprendo con il calcestruzzo la visuale: ”Case su case, catrame e cemento”, il cordone rimase solido. Così Celentano prendeva il tram tutti i giorni durante l’adolescenza zingara per raggiungere gli amici di un tempo e quando ”Giuditta mi tolse anche gli ultimi spiccioli per prendere il tram”, Adriano rispose con i piedi. Ore di cammino. Testa dura, anche allora.
SOLDI. Però il denaro non cresce sugli alberi, Leontino saluta il mondo nel 1951 e così Celentano lascia la scuola, conosce prima il tornio e poi familiarizza con tubi e chiavi inglesi secondo abito di ogni idraulico che si rispetti, poi le scintille proprie di ogni buon arrotino. Ma si annoia. E se Adriano non si diverte, inizia un po’ a morire. Così , stipendio per stipendio, asseconda una vecchia passione. Lo affascinano il ticchettio degli orologi in una bottega distante dalle atmosfere di Simenon dove grazie all’amico Nino ascolta ”Rock around the clock”. L’incontro con la voce di Bill Haley, muta definitivamente le prospettive. La madre lo vorrebbe in fabbrica, lui scopre le cantine, i viaggi, le ragazze, la musica. In Via Gluck, ricorda Gino Santercole, cantavano tutti tranne Adriano. Riflesso sudista di un’allegria utile ad abbandonare la nostalgia, osservato con trattenuto orrore dai milanesi che mal tolleravano l’esuberanza dei terroni. Lui inizia più tardi, ma leggerà in anticipo le pulsioni provenienti da Oltreoceano. Così, in quella commistione di gesti, smorfie plastiche, baci, morsi e swing, Celentano prende il volo. L’abbrivio è faticoso, i cialtroni aspettano sui rami, le cantine non somigliano all’Olympia e quando arriva al Santa Tecla, il tempio colto della musica milanese, se agli altri toccano in sorte ad ogni esibizione mille lire, un panino e una birra, al molleggiato il denaro viene negato: ”Devi fare la gavetta se vuoi essere trattato come un uomo di successo”.
PICCHIATELLI. Così è un concorso per eleggere il miglior imitatore di Jerry Lewis (che Celentano stravince) ad offrirgli le prime centomila lire, lo sguardo incredulo della madre, i primi trionfi canori con ”Il tuo bacio è come un rock” e la voglia di non fermarsi più. La compagna di allora, la misteriosa Milena Cantù comincia a frequentare casa Celentano. Si vedono, attraversano abbracciati la meraviglia dei vent’anni, progettano grandi passi, incorrono in disavventure automobilistiche a fari spenti nella notte, ma è il caso a far incontrare a Celentano la donna della sua vita. Claudia Mori arriva nel 1961. L’anno del Car a Casale Monferrato, della partecipazione a Sanremo con dispensa firmata da Giulio Andreotti, ministro della Difesa della nascita del Clan ”preparate la documentazione necessaria, ho deciso di fondare una mia casa discografica”. A guidarlo, come spesso avviene è l’istinto. La tranquillità lo nausea. Così investe 900 mila lire di capitale sociale e ubica al numero sette di Corso Europa le sue visioni millenariste sullo scempio immobiliare di una città che non riconosce più e la preoccupazione per l’ecologia, cifra artistica che non l’abbandonerà più. Come Claudia, che poi quegli affari gestirà in prima persona dal 1991, pur avendo cominciato, senza bolli notarili, in anticipo.
AMALFI. Claudia incontrata ad Amalfi, sul set di un film firmato da un geniale e sottovalutato artigiano del nostro cinema, Lucio Fulci Uno strano tipo. Cenano, parlano fino all’alba, non si sfiorano. Poi nel silenzio di un grande albergo sulla costiera campana, squilla un telefono: ”Sono Adriano Celentano e vorrei dirle che mi sono innamorato di lei”. Con la risposta laconica, l’unica possibile: ”Anche io”. Claudia e Adriano volano leggeri. Concerti, spettacoli, telefonate semiclandestine e poi carovane di macchine, autografi, bacio popolare. Tanto intenso da togliere l’aria. Così Il matrimonio, segretissimo, in Maremma, con gli amici del Clan (Dittongo, Del Prete, Galluzzi e tutti gli altri). Nella Chiesa di San Francesco a Grosseto, con il vestito da sposa ordinato al telefono e la rispettabilità da difendere a pugni, se necessario, come quando sotto i portici milanesi, mentre Adriano e Claudia affrettati si avviano a omaggiare il Dramma della gelosia di Scola, che avrebbe potuto vedere Celentano tra gli interpreti, una mano anonima finisce sotto la gonna della Mori. Allora Adriano colpisce. Un pugno senza carezze che fa titolo: ”Adriano come Cassius Clay”. Poi arrivano i figli. Rosita, Giacomo, Rosalinda. Tre eredi, tra loro diversissimi, che dal 1965 al luglio ”68, allargano la tribù del domatore.
TRIB. La famiglia è in cima alla piramide, anche se la prole, senza accantonare l’affetto, cercherà in fretta un’affermazione distante dalle scintille paterne. Il controllo, è tra le prerogative inespresse . Non sempre Adriano c’è, perché l’ubiquità non è tra le sue doti. E anzi a volte, la nemesi familiare alberga proprio tra le mura di casa. Se divide la stanza con Claudia da neosposo, non è raro veder spuntare la madre: ”Vulit u latt?”. Momenti di involontaria comicità e riflesso di un’educazione che non cambia, neanche dopo la ratificazione dell’unione. Quando Giuditta (che morirà nel 1973) si distrae, la coppia non soffre di solitudine. Secondo Perini, Claudia Mori non si dà immediata ragione di aver sposato, assieme ad Adriano, anche gli amici del Clan. A sua volta, è un pezzo di Paese a convolare sull’altare con Celentano. Nel 1966, a Sanremo, l’anno prima che Tenco muoia nella città dei fiori quasi come Marylin Monroe, Adriano presenta ”Il ragazzo della via Gluck”, manifesto esistenziale, grido di rivolta, fotogramma indelebile di una devastazione che dovrà ancora mostrare la propria forza d’urto.
VIA GLUCK. Adriano organizza i pullman, una claque di non professionisti imbarcata per osservare la rivincita abusiva di un quartiere intero tra gli smoking e gli altissimi tacchi. la canzone, Via Gluck, che gli permette di conoscere Pasolini, il poeta che vedeva in Celentano il paradigma proletario che affinerà nella tirata a favore dei poliziotti figli del Sud successiva a Valle Giulia. Non se ne farà nulla, con rimpianto neanche troppo dissimulato. Adriano aprirà la porta in quel periodo a un timido avvocato di Asti, Paolo Conte (per due canzoni moloch dell’immaginario nazionale: Azzurro e La coppia più bella del mondo) e poi virerà verso quella bulimìa di temi, suggestioni e proposte che farà degli anni ”70 tra Svalutation e austerity, un sentiero di sperimentazione cinematografica e canora, che non sempre incontrerà la generale comprensione. Per ”Chi non lavora non fa l’amore” (in anni in cui anche il buongiorno è politico) gli daranno del reazionario.
MEGALOMANIA. E nel caso di Yuppi du, neanche troppo velatamente, del megalomane. Il film tra il biografico e il visionario prende il via nei giorni dell’Italicus. Adriano lo gira con entusiasmo naïf rispondendo sublime alle dotte domande di Gianluigi Rondi: ”Si è ispirato a Jodorowsky?” ”Non saprei, io non distinguo Jodorowsky da Dostoevskj”. Yuppi du vedrà Perini (a sinistra della sinistra) recitare da prete, offrendogli la possibilità di toccare con mano, un altro dato peculiare di Celentano, la generosità. Non di rado, gli slanci di Celentano confinano con una follia non calcolata. Quando si trova in macchina con Paolo, il padre di Perini verso Roma, quello si sente male. Sbianca, si piega sul sedile, non sa spiegare cos’abbia. peritonite. Celentano non si scompone. Imbocca la via Salaria in contromano. Sono chilometri psichedelici. Salvano Paolo per 5 minuti. In fondo, in quell’aneddoto, pulsa anche il Celentano successivo. Quello che rende il set di Fantastico 8, una mina non disinnescata sotto la sedia dei dirigenti Rai. La stampa lo aggredisce, ”spettacolo rozzo e improvvisato” lui non si scompone e offre momenti di televisione che nella tv di Stato dominata dal Caf hanno la potenza dell’eversione. Così Franca Rame può raccontare lo stupro subìto anni prima, e Dario Fo declamare per mezz’ora brani del Vangelo. L’invito a boicottare il referendum sulla caccia è un guaio, anche giudiziario, che lo trascina in aula. Tra un colpo di biliardo e l’altro, Adriano manda in buca nei successivi vent’anni una serie di spettacoli in cui la frontiera trova la forza per spingersi ad ogni occasione più in là. Sarà lui a invitare Guzzanti e Santoro a Realpolitik in pieno editto bulgaro e sempre lui, quasi un quinquennio più tardi, a osservare la nuvola di polvere dei dirigenti Rai in fuga, terrorizzati da un déjà vu in stile 1988. Oggi Adriano Celentano ha 72 anni. A redimerlo, nonostante gli sforzi, non è ancora riuscito nessuno.