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 2010  luglio 13 Martedì calendario

TELECOM LICENZIER PI DI 7MILA PERSONE - A

Roma, epicentro geografico dei 3.700 licenziamenti Telecom Italia, pagheranno pegno in 1.056. A Milano, dove le cose vanno probabilmente meglio, gli indesiderati del gruppo telefonico sono ”solo” 384, cifra che scende a 233 a Torino, 203 a Palermo e 192 a Napoli. A seguire tante altre città minori che a macchia di leopardo punteggiano l’Italia da nord a sud.
Questa è per sommi capi
la classifica che la società ha presentato alle Rsu interne, ai sindacati e al ministero del Welfare come base per intavolare le necessarie trattative con le parti sociali, che il ministro Mauro Sacconi ha chiesto ieri a gran voce probabilmente frastornato dalla eco prodotta dalla notizia, e che è stata fissata per mercoledì pomeriggio. Negli esuberi annunciati da Telecom Italia vanno ”messi da parte gli atti unilaterali” ha detto ieri Sacconi, aggiungendo che si deve ”avviare un confronto vero su un piano industriale per il futuro del gruppo Telecom e quindi a partire dagli investimenti che si vogliono realizzare”. Se il ministero del Lavoro ha annunciato la volontà di entrare subito nella procedura, e tutte le sigle sindacali hanno replicato duramente alle decisioni prese dai vertici della società, sono altre le voci che mancano all’appello. La prima è quella del dicastero dello Sviluppo economico, retto ancora ad interim da Silvio Berlusconi, richiamato dallo stesso Sacconi quando parla della necessità di includere nelle trattative gli investimenti strategici da realizzare nei prossimi anni. Al momento il Cavaliere non si è ancora pronunciato e il suo silenzio ha inevitabilmente la forza di un boato.
La seconda voce è quella dell’azionista di maggioranza relativa Telco, proprietaria del 22,5 per cento del gruppo, dove sono riuniti la spagnola Telefonica, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali, che sono rimasti assolutamente defilati di fronte ad un provvedimento così importante firmato dai vertici della società. Anche in questo caso il loro silenzio rimbomba, dato che è altamente improbabile che gli azionisti forti del gruppo telefonico non abbiano concordato in consiglio d’amministrazione la decisione, nonostante si accreditino presso l’opinione pubblica come soggetti ”di sistema”, idonei a sostenere politiche economiche strategiche per il Paese come dovrebbero essere investimenti e occupazione nell’azienda proprietaria dell’unica rete di telecomunicazioni nazionale, che ha chiuso il 2009 con utili netti di gruppo per 1,5 miliardi di euro. I 3.700 lavoratori che l’azienda ha deciso di espellere dal gruppo non rappresentano però che una parte dei licenziamenti già decisi: a questi sono infatti da aggiungere i 2.844 lavoratori che saranno oggetto del medesimo provvedimento a partire da metà del 2011, e i 645 da espellere invece il prima possibile relativi alla controllata Ssc. Una società di information technology nella quale erano stati spostati qualche mese fa, sempre con un atto unilaterale, circa 2.200 dipendenti della capogruppo nell’ottica di una razionalizzazione delle attività interne che di fatto si è dimostrata l’ennesima cura dimagrante ai danni dei lavoratori. Molti dei quali, tra quelli da espellere, sono dei quadri (la figura intermedia tra i dirigenti e gli impiegati) con una buona conoscenza del settore.
Il numero totale di quelli che dovranno uscire da Telecom Italia entro i prossimi 18 mesi, se le trattative non avranno esiti differenti, è quindi pari a quasi 7.200 persone. Un numero straordinariamente grande se si pensa che in Italia una grande impresa si qualifica a partire da 500 dipendenti, che l’ad Franco Bernabè ha messo in gioco forse anche, malignano i sindacati, per ottenere altre garanzie dal governo.