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 2010  luglio 13 Martedì calendario

Pierre Charles Fournier Saint-Amant non aveva paura di nessuno, tranne che di sua moglie. Quando, all’ora prestabilita, quella "signora energica e piuttosto dispotica" batteva alla finestra del Café de la Règence, egli scattava in piedi, "chiudeva immediatamente la tabacchiera, abbandonava la partita, sgusciava fra le sedie e i tavolini come un’anguilla dimenticando di pagare e, colpa gravissima, di salutare la graziosa padrona del locale, e filava a casa trafelato";

Pierre Charles Fournier Saint-Amant non aveva paura di nessuno, tranne che di sua moglie. Quando, all’ora prestabilita, quella "signora energica e piuttosto dispotica" batteva alla finestra del Café de la Règence, egli scattava in piedi, "chiudeva immediatamente la tabacchiera, abbandonava la partita, sgusciava fra le sedie e i tavolini come un’anguilla dimenticando di pagare e, colpa gravissima, di salutare la graziosa padrona del locale, e filava a casa trafelato";. Questa divertente scenetta, descritta da George Walker nel libro Chess and chess players (Londra, 1850), non deve trarre in inganno: Saint-Amant coraggioso lo era davvero, come avrebbe dimostrato di lì a poco durante i moti del 1848 quando, nominato capitano della Guardia Nazionale da Lamartine, "si trovava alla testa della sua compagnia allorché gli insorti presero d’assalto le Tuileries". Come riferisce una pubblicazione britannica, "Saint-Amant li bloccò e riuscì così abilmente a modificare le cattive intenzioni della folla che, invece di distruggere il palazzo, lo acclamò addirittura governatore". Saint-Amant era nato il 12 settembre 1800 a Monflanquin. Spirito inquieto e avventuriero, si dedicò a svariate professioni. Dal 1819 al 1821 entrò al servizio del governo e fu inviato nella Guiana francese come segretario del governatore della Cajenne. Ritornato in patria scrisse un libro su quella colonia e tentò dapprima la strada del giornalismo, con scarso successo, quindi diventò mercante di vini, con maggior fortuna. Gli scacchi li scoprì pochi anni dopo e divenne un frequentatore abituale del Café de La Régence, dove prese lezioni da Deschapelles e fece amicizia con La Bourdonnais. I suoi progressi furono tanto rapidi che alla fine degli anni ’30 solo un giocatore, a parte La Bourdonnais, poteva tenergli testa: Lionel Kieseritzky, passato alla storia per avere giocato l’Immortale dalla parte sbagliata della scacchiera e tuttavia giocatore funambolico e imprevedibile, temutissimo per i suoi attacchi improvvisi, anche se incapace di uno sforzo costante. Nato a Tartun, nell’attuale Estonia, si trasferì a Parigi nel 1839 dove, manco a dirlo, divenne un abitué del Café de La Régence. Qui, trascorreva molto tempo dando lezioni per cinque franchi all’ora o divertendosi a giocare partite a vantaggio. Nel 1841, Saint-Amant assunse la direzione della rivista La Palamède che diresse fino al 1847. La rivista era stata fondata da La Bourdonnais nel 1836, ma cessò le pubblicazioni tre anni dopo, quando il suo fondatore, ormai malato, si trasferì a Londra per giocare come professionista fisso presso il Chess Divan. Il nuovo direttore de La Palamède era ben noto sia in patria sia a Londra, dove si recava spesso per affari e dove, nel 1836, aveva sconfitto con facilità Fraser (+1 =2 -0) e George Walker (+5 =1 -3), a dire il vero più abile come scrittore e pubblicista che come scacchista. La netta vittoria contro Schulten a Parigi (+11 =1 -1) non fece che confermare la sua forza, tanto che alla morte di La Bourdonnais, avvenuta nel 1840, era ormai considerato il giocatore più forte di Francia. Nel 1842, durante uno dei suoi numerosi viaggi nella capitale inglese, disputò un match di undici partite con Cochrane, l’avvocato e brillante scacchista del Middle Temple che venti anni prima si era recato a Parigi con Lewis per giocare contro Deschapelles e La Bourdonnais. Cochrane si era trasferito in India alla fine degli anni ’20, ma nel 1841 fece ritorno a Londra per un breve soggiorno che si protrasse fino al 1843. Il match con Saint-Amant terminò con una vittoria di misura di Cochrane (+4 =1 -6). La sconfitta contro un inglese era un boccone amaro, un’onta da lavare al più presto. Così, quando l’anno successivo Saint-Amant ricevette l’invito a disputare un match contro il segretario del Westminster Chess Club, egli accettò subito con entusiasmo. Il match si tenne nelle sale del neonato St. George’s Club. Fu qui che Saint-Amant vide per la prima volta il suo avversario. Era un uomo imponente, alto circa un metro e ottanta, con ampie spalle e una folta capigliatura leonina. Indossava un vistoso panciotto di seta ricamata e una cravatta ornata da una spilla d’oro a due punte collegate con una catenella pure d’oro. Fece il suo ingresso in sala con passo quasi militaresco e salutò i presenti con sussiego, come un Re rivolto ai suoi sudditi. "Non tollerava rivali vicino al suo trono", avrebbe detto di lui molto anni dopo il reverendo George Alcock MacDonnel. "Gli interessavano soltanto i suoi aneddoti e ascoltava con impazienza, se non con disprezzo, la strofetta o la battuta di spirito lanciata da qualche altro membro della compagnia fra l’ilarità generale". "Che persona antipatica", non poté fare a meno di pensare Saint-Amant guardandolo avanzare impettito verso il suo tavolo. In effetti, tutto si poteva dire di Howard Staunton, tranne che fosse simpatico. Il match di Londra del 1843 Howard Staunton"Erano solo partite amichevoli, semplici sciocchezze". Staunton si sporse dal finestrino della carrozza e urlò al cocchiere di fermarsi davanti al Café de la Régence. Era il 14 novembre del 1844 e si stava recando a giocare la prima partita del match di rivincita con Saint-Amant. Di fronte a lui sedevano Wilson e Worrel, i suoi "secondi". "Semplici sciocchezze", ripeté Staunton. I due annuirono, pur sapendo, in realtà, quanto quella sconfitta ancora gli bruciava. Eppure la sfida di Londra sembrava iniziata nel migliore dei modi. Per due volte Staunton si era portato in vantaggio, ma per due volte il francese era riuscito caparbiamente a rimontare, la seconda grazie a un errore davvero incredibile di Staunton che, non volendo rassegnarsi alla patta per stallo, finì col perdere banalmente una Torre. Poi venne la sesta partita, la più amara. Staunton, coi pezzi bianchi, sembrava a un passo dal trionfo, con un Alfiere saldamente installato al centro e puntato contro l’arrocco nemico. Abbagliato dalla possibilità di aggiudicarsi l’incontro, commise però l’errore di gettarsi a capofitto contro il Re avversario. Quando si accorse che Saint-Amant era riuscito a fare breccia sull’ala opposta, i pezzi del francese si accingevano già a prendere d’assalto il Re bianco rimasto solo e privo di difese. Ben presto Staunton fu costretto a cedere le armi e Saint-Amant si aggiudicò il match con tre vittorie, due sconfitte e una patta. "Semplici sciocchezze", ripeté ancora Staunton. Wilson e Worrel annuirono. Non si trattava in realtà di sciocchezze, ma Staunton aveva l’abitudine, come molti altri scacchisti, di minimizzare le sconfitte ed esaltare le vittorie. A quell’epoca, non esistevano ancora i tornei e le partite amichevoli avevano un’importanza maggiore rispetto a oggi. Peraltro, il match di Londra non poteva definirsi un vero e proprio incontro amichevole poiché c’era in palio una posta, benché simbolica, di una ghinea e soprattutto la reputazione. Saint-Amant era visto come l’erede del grande La Bourdonnais ed era circondato da un certo timore reverenziale, oltre che da un rispetto che gli derivava dal fatto di essere il più forte giocatore della maggiore potenza scacchistica del mondo. Anche per questo il risultato di Staunton fu considerato tutto sommato lusinghiero, anzi addirittura incoraggiante, tanto che lo stesso Staunton, con l’appoggio entusiasta di tutti gli appassionati inglesi, decise di proporre un nuovo incontro da tenersi a Parigi, questa volta più lungo e con una posta ben più sostanziosa. E la sfida fu accettata. Il match di Parigi del 1844 La sfida Staunton-Saint-Amand in una caricatura dell’epocaIl 14 novembre del 1844, i campioni d’Inghilterra e Francia presero posto nella grande sala del Café de la Régence, sotto i busti di marmo dei loro illustri predecessori Philidor e La Bourdonnais, per disputare la prima partita del match. La posta era di 100 ghinee per parte. Erano previste quattro partite a settimana e il vincitore sarebbe stato colui che per primo si fosse aggiudicato undici partite. Non erano previsti aggiornamenti né interruzioni e gli spettatori potevano tranquillamente accalcarsi intorno alla scacchiera, com’era uso comune a quell’epoca. Se si pensa che Saint-Amant era il grande favorito, si può immaginare l’iniziale incredulità e poi l’entusiasmo con cui in Inghilterra furono accolte le notizie in arrivo da Parigi: dopo otto partite, Staunton conduceva per 7 a 0, avendo concesso al suo avversario solo una patta. "In tutti i club di scacchi del paese", scrisse Tomlinson, "l’eccitazione era incredibile e le partite, appena ricevute, venivano giocate e rigiocate più volte". Gli appassionati diventavano sempre più numerosi, tutti chiedevano notizie del "grande match di Parigi". Persino la stampa si rese conto che gli scacchi erano diventati argomento da prima pagina e tutti i principali quotidiani iniziarono a pubblicare commenti e resoconti dettagliati della sfida. Nella nona partita, Staunton raggiunse una posizione vinta, ma nel momento cruciale sbagliò consentendo all’avversario di agguantare la prima vittoria. Nelle tre successive partite, Staunton ottenne altre due vittorie e subì una sconfitta, nuovamente a causa di un errore in posizione vinta. Il match sembrava ormai concluso, ma Saint-Amant, con notevole forza d’animo, riuscì a rimontare parzialmente lo svantaggio. All’inizio della diciannovesima partita, il punteggio era di 10 a 4 in favore di Staunton e "il pubblico era talmente ansioso di assistere alle prodezze del Signor Staunton e all’eroica difesa del Signor Saint-Amant, che il calore mise a dura prova la resistenza di entrambi i contendenti, tanto che fu necessario ricorrere ai gendarmi per piantonare le porte d’ingresso e impedire l’ulteriore afflusso della folla nel locale", scrisse un cronista dell’epoca. Dopo avere perso la diciannovesima e la ventesima partita, "la peggiore dell’intero match", Staunton riuscì finalmente a ritrovare la concentrazione necessaria per ottenere l’ultima e decisiva vittoria. La ventunesima partita, una delle migliori mai giocate da Staunton, fu caratterizzata da una lotta chilometrica ed estenuante. Dopo cinque ore erano state giocate solo 29 mosse e, per la prima volta dall’inizio del match, si decise di fare una pausa per concedere ai giocatori un’ora di riposo. Alla ripresa, la partita continuò fino a poco dopo mezzanotte, quindi venne interrotta di nuovo, questa volta fino al mattino seguente. Finalmente, il 20 dicembre, dopo quattordici ore di lotta, Saint-Amant abbandonò e Staunton si aggiudicò la sfida col punteggio di 11-6 e 4 patte. Il match ebbe uno strascico polemico, e non poteva essere altrimenti visto che entrambi i giocatori erano direttori di importanti riviste. Saint-Amant sosteneva che la sfida si era conclusa in parità e chiedeva a gran voce un match di spareggio. Staunton replicava che il match di Londra era stato "solo una bazzecola" e che a Parigi aveva provato senza ombra di dubbio di essere il più forte. La disputa continuò per buona parte del 1844. Quando un accordo sembrava vicino, Staunton si ammalò di polmonite e non se ne fece più nulla. Da allora in poi, Saint-Amant giocò sempre meno a scacchi. Si dedicò per alcuni anni alla direzione della Palaméde e si rimise al servizio del governo. Fu designato console in California dal 1851 al 1852 e così non poté partecipare al grande torneo di Londra, a cui furono invitati tutti i principali giocatori europei. Di ritorno dall’America, fece ancora in tempo a partecipare al torneo di Birmingham del 1858 e a perdere una partita amichevole al Café de la Régence con un simpatico giovanotto giunto in visita dagli Stati Uniti, Paul Morphy. Poi si stabilì in Algeria. Gli scacchi ormai non facevano più parte della sua vita. Morì per un incidente: fu sbalzato fuori dalla carrozza e si spense il 29 ottobre 1872 in seguito alle ferite riportate. Inaugurazione del London Bridge, opera di Clarkson Stanfield del 1831Con la vittoria di Staunton, Parigi perse il suo tradizionale ruolo di capitale del nobil gioco. Il Café de la Régence non era più la Mecca degli scacchi. I nuovi templi ora si chiamavano Simpson’s Divan, Westminster Chess Club, St. George’s Club. Londra attirò scacchisti da tutta Europa, come Horwitz, Harrwitz, Lowenthal, Steinitz e molti altri. Già all’inizio degli anni ’40, la diffusione del gioco tra i ceti borghesi e popolari in Inghilterra era tale da permettere la pubblicazione di riviste e testi teorici a prezzo economico, come il New Treatise, il primo manuale di scacchi a carattere divulgativo pubblicato da George Walker nel 1841. In quello stesso anno, Staunton fondò The Chess Player’s Chronicle, la prima rivista mensile di scacchi in inglese, che diresse fino al 1854, anno in cui subentrò il nuovo direttore R.B. Brien. All’indomani del match di Parigi, la popolarità del gioco giunse alle stelle. Nacquero nuove riviste, come il Chess Palladium & Mathematical Sphinx fondata da Marache e Wilson nel 1846; vennero pubblicati libri e manuali, come il Chess Studies di Walker, una raccolta di 1.020 partite giocate tra il 1780 e il 1844, e soprattutto il Chess Player’s Handbook di Staunton. Il libro divenne immediatamente la bibbia degli scacchisti inglesi e rimase tale per oltre mezzo secolo, con ventuno riedizioni dal 1847 al 1935. Nel suo articolo Scrittori che hanno cambiato la storia degli scacchi, Harry Golombek pone l’Handbook di Staunton al secondo posto per importanza, dopo l’Analyse di Philidor e prima del Mio Sistema di Nimzowitch. Naturalmente, dopo la vittoria di Parigi, Staunton era diventato una vera potenza nel campo degli scacchi, anzi un dittatore. Non esitava a usare la sua rivista, i suoi libri e soprattutto la rubrica che curava sull’Illustrated London News come randelli da dare in testa ai suoi avversari. Come scrive Harold Shomberg, "era La Legge e trinciava giudizi dall’alto del suo scranno in un linguaggio assai poco raffinato. I suoi commenti alle lettere dei lettori nel Chess Player’s Chronicle erano spesso monumenti di arroganza e, talvolta, di volgarità. Diceva ai lettori che erano puerili, disattenti, ottusi. Perché Tizio non impara a giocare prima di seccarmi con una stupida analisi? Perché Caio non usa quel poco cervello che Dio gli ha dato? E questo valeva per il lettore comune. Quando era alle prese con una vera autorità, assumeva un atteggiamento di superiorità esasperante, o ringhiava, o torceva i fatti a suo favore e riempiva la rivista di lettere evidentemente suggerite. Eppure, nonostante tutto, il debito degli scacchi nei confronti di questo personaggio sgradevole e arrogante fu enorme. Howard Staunton, primo giocatore moderno "Gli scacchi sono sempre stati popolari in Inghilterra, ma lo scettro è sempre stato nelle mani di uno straniero. Ma oggi, 13 gennaio 1845, abbiamo la soddisfazione di sapere che il Campione di scacchi è un inglese. Brindiamo alla salute di Howard Staunton". La folla che assiepava la Yorkshire Chess Association, dove si stava tenendo una cena di gala in onore di Staunton, esplose in un applauso fragoroso. Staunton si alzò in piedi per ringraziare, si schiarì la voce e iniziò un lunghissimo discorso che mise a dura prova la resistenza dei presenti. Non poteva essere altrimenti, dato che l’argomento del discorso era lui, Howard Staunton. Esordì ricordando la sua passione per il teatro shakeaspiriano e raccontò come avesse anche recitato la parte di Lorenzo a fianco di Edmund Kean nel ruolo di Shylock. Della sua infanzia non fece cenno, cosa che non sorprese nessuno dato che non ne parlava mai. Ancora oggi, se ne sa molto poco. Nacque nel 1810, ma non si conosce né la data esatta né il luogo. Quasi certamente era figlio illegittimo del quinto conte di Carlisle, una condizione scabrosa per quei tempi. Trascurato in gioventù, non seguì studi regolari e, benché avesse trascorso alcuni anni a Oxford, non frequentò mai l’università. La sua cultura, indubbiamente vasta, fu esclusivamente il prodotto dei suoi studi da autodidatta. "Agli scacchi mi avvicinai piuttosto tardi", proseguì Staunton, "a 26 anni suonati. Fu a quell’età, senza alcuna pratica del gioco, che incominciai a frequentare assiduamente il Divan, anche se per me gli scacchi non furono e non saranno mai una professione". Due vecchi soci del Divan si scambiarono uno sguardo di intesa: entrambi lo ricordavano molto bene quando, a metà degli anni ’30, sbarcava il lunario giocando fino a tarda sera per pochi scellini a partita. "Possono contribuire a rafforzare di molto la mente di un uomo che esercita una professione", precisò Staunton, "ma mai divenire l’oggetto della sua vita". Dopo avere fulminato con un’occhiataccia un malcapitato che aveva osato allungare una mano verso il cabaret degli antipasti, Staunton proseguì ricordando come la sua vera professione fosse quella di segretario del Westminster Chess Club, posto che ottenne all’inizio del 1840, e soprattutto giornalista ed editore del Chess Player’s Chronicle, del quale fece un lungo, interminabile elogio. Quindi passò a elencare le sue vittorie: il match del 1840 con H.W. Popert, un commerciante di Amburgo temporaneamente residente a Londra e considerato a quell’epoca il giocatore più forte sulla piazza; quello del 1841 con Zytogorsky, al quale Staunton diede il vantaggio di Pedone e due tratti, a riprova della sua forza crescente; quello con J. Brown, sempre con vantaggio di Pedone e due tratti; e infine i due match del 1843, il primo con Brooke Greville, al quale diede il vantaggio di Pedone e tratto nelle prime cinque partite e Pedone e due tratti nelle seconde cinque, e il secondo con Taverner, un vecchio avversario di McDonnel al quale Staunton diede il vantaggio di Pedone e tratto. Di due match invece non parlò, anche perché li aveva persi: quello con C.H. Stanley disputato nel 1841 e quello con H.T. Buckle del 1843. Entrambi i risultati furono tutt’altro che clamorosi, se si pensa che Stanley e Buckle sono oggi considerati tra i giocatori più forti dell’epoca e che Staunton diede al primo Pedone e tratto e al secondo Pedone e due tratti. John Miles Cochrane"Per finire", disse Staunton, e tutti tirarono un sospiro di sollievo, "vorrei ricordare il mio amico e avversario John Cochrane con il quale disputai un match nel febbraio del 1843, che naturalmente vinsi col risultato di 14 a 4. Da allora, fui in grado di batterlo dandogli il vantaggio di Pedone e tratto". Era tutto vero. L’arrivo di Cochrane a Londra fu una vera fortuna per Staunton. Quando era in forma, Cochrane era un tattico formidabile, in tutto degno del miglior La Bourdonnais. Tra il 1841 e il 1843, i due giocarono una serie infinita di partite, sembra addirittura 600, delle quali non meno di 130 sono giunte fino a noi. Alcune sono solo semplici miniature, ma altre sono vere e proprie perle. Non è un caso se proprio in questo periodo il livello di gioco di Staunton segnò un netto miglioramento. Quando Cochrane ripartì per l’India, Staunton poteva già dargli il vantaggio di Pedone e tratto. "Vi parlerò ora della sfida di Parigi con il grande campione francese Saint-Amant, grazie alla quale ottenni il meritato riconoscimento internazionale e raggiunsi la vetta dell’Olimpo scacchistico". I presenti si accasciarono sulle poltrone fissando con occhi sempre più disperati il cibo che attendeva invitante sui vassoi al centro del tavolo. Noi, per fortuna, non siamo obbligati ad ascoltarlo perché del match con Saint-Amant sappiamo già tutto. Degli studi di Staunton su Shakespeare, il Dictionary of National Biography dice che "univano il buon senso a una ricerca approfondita". Queste stesse qualità caratterizzano anche il suo stile di gioco. Staunton era un giocatore atipico per quei tempi. Non cercava a tutti i costi la mossa brillante e rifuggiva dalle varianti complicate e taglienti tanto care ai giocatori francesi e tedeschi dell’epoca preferendo invece le continuazioni più solide e sicure. Ai sacrifici ricorreva solo se l’esito poteva essere calcolato con precisione, e in questo caso riusciva a orientarsi con sicurezza anche nelle varianti più intricate. Ciò che tuttavia distingue il suo stile da quello degli altri giocatori del tempo è la modernità di talune concezioni, come l’uso costante della profilassi, l’adozione di piani di gioco basati sulla dinamica della struttura di Pedoni (vedi Staunton-Bristol Chess Club, corr. 1844-45) o l’occupazione e il metodico sfruttamento delle case deboli e degli avamposti sulle colonne aperte e semi-aperte (vedi St.Amant-Staunton, Parigi 1843, 7a, 15a e 21a partita). La modernità del gioco di Staunton è stata messa in luce da Bobby Fischer in un articolo su Chess World del 1964: "Staunton ha approfondito lo studio dell’apertura come nessuno prima o dopo di lui. Era un teorico più che un giocatore, ma fu anche il più grande campione della sua epoca. Analizzando le sue partite ho scoperto che sono incredibilmente moderne. Vi si scorgono già tutti i principi posizionali tanto cari ai giocatori d’oggi. Per questo Staunton può essere considerato, insieme a Steinitz, il primo vero giocatore moderno". Fu lui a introdurre lo sviluppo degli Alfieri in fianchetto. Anzi, proprio quest’arma, per quell’epoca rivoluzionaria, gli fruttò numerose vittorie nel match con Saint-Amant (vedi Staunton-St. Amant, Parigi 1843, 7a partita). Staunton fu anche un convinto assertore dell’efficacia della difesa Siciliana e il primo a indicare, quale mezzo più adatto per controbatterla, lo sviluppo del Cavallo in f3 seguito dalla spinta del Pedone in d4 (vedi Staunton-Saint-Amant, Parigi 1843, 8a partita). Nell’apertura Inglese, elaborò uno schema di sviluppo basato sul centro limitato e il fianchettamento di entrambi gli Alfieri giungendo alle soglie del sistema Reti (vedi Staunton-Horwitz, Londra 1851). Anche per quanto riguarda il centro, egli anticipò alcune idee che sarebbero state riprese molti decenni dopo dalla scuola ipermoderna (vedi Staunton-Williams, Londra 1851). La secca sconfitta subita da Saint-Amant a Parigi fu in un certo senso inevitabile. Staunton era un giocatore in anticipo sui tempi e il francese, erede della tradizione romantica, davanti a lui si ritrovò pressoché disarmato. Per Saint-Amant, l’unico piano concepibile era l’attacco contro il Re nemico. Se le caratteristiche della posizione erano tali da giustificare una simile condotta di gioco, egli poteva fare sfoggio della sua indubbia abilità tattica e produrre autentici capolavori, come nella tredicesima partita. Quasi sempre, però, l’attacco era privo di solide basi posizionali e non otteneva altro risultato che creare debolezze che il suo avversario sfruttava con precisione implacabile (vedi Staunton-St.Amant, Parigi 1843, 1a e 9a partita). Dopo la vittoria di Parigi, Staunton disputò altri match ed ebbe un ruolo di primo piano nell’organizzare il primo torneo di scacchi della storia, in occasione della Grande Esposizione di Londra del 1851. L’esito poco felice di quel torneo, che avrebbe dovuto sancire la sua definitiva consacrazione internazionale e che invece fu vinto da Anderssen, lo spinse a dedicarsi sempre meno agli scacchi e sempre più alle sue ricerche shakespeariane, che da allora in poi divennero la sua principale occupazione.