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 2010  luglio 12 Lunedì calendario

LA SFIDA DELLA XINHUA TV: CREARE IL SOFT POWER CINESE

La Cina della censura lancia la sfida per la leadership mondiale anche nell’informazione. L’agenzia di stampa dello Stato, la Xinhua, ha aperto un canale televisivo in lingua inglese battezzato «China Xinhua News Network Corporation», che trasmette sul satellite 24 ore al giorno e si appresta a sbarcare a New York con una maxiredazione a Times Square, nel cuore delle news made in Usa.
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Il presidente dell’agenzia «Nuova Cina», una sorta di ufficio stampa del governo, ha spiegato che il nuovo canale televisivo ha il compito di «presentare al mondo una visione completa dei fatti internazionali, ma con una prospettiva cinese».
Per ora Cnc è visibile solo a Hong Kong, oppure online. Entro ottobre, completata la copertura satellitare, trasmetterà in tutto il mondo. Sarà disponibile anche via cavo, telefono cellulare e online. Solo i cinesi non potranno vedere la «nuova Cnn» dell’Oriente e non a causa della censura. La tivù di Stato Cctv, controllata dal partito comunista, lo scorso anno ha lanciato un canale all news 24 su 24 e già trasmette in inglese, spagnolo, francese e arabo.
La sfida globale dell’informazione cinese, promossa da un Paese dove la libertà di stampa non esiste, la propaganda di partito controlla ogni notizia e anche Internet viene censurata, risponde ad un doppio obbiettivo. Il primo è politico. Negli ultimi anni, e dopo la crisi economica dell’Occidente esplosa nel 2008, la Cina ha visto crescere il suo ruolo di nuova superpotenza mondiale. Pechino controlla ormai il debito di Usa, Ue e Giappone, è il primo produttore ed esportatore del pianeta, detiene il record della crescita. Per la prima volta si appresta ad assumere responsabilità internazionali e a partecipare a missioni Onu. Nessuna decisione globale può essere presa senza il suo consenso. A tale «essenzialità cinese» non corrisponde però una popolarità planetaria, né la Cina può contare sull’influenza culturale di un vero «soft power».
Pechino negli ultimi due anni ha salvato il mondo dal tracollo economico e finanziario, ma invece di raccogliere gratitudine ha visto rafforzarsi in Occidente una diffusa ostilità, tesa a contrastare la sua crescita.
I leader cinesi sono convinti che la rinnovata «anticinesità internazionale» non sia dovuta solo al timore di un mondo che per la prima volta, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si appresta ad essere dominato da una potenza non democratica. Ritengono che la «cattiva stampa» occidentale, condizionata dalle vecchie lobby economiche e alimentata dalla disinformazione delle intelligenze, contribuisca a frenare l’ascesa politica del Dragone nel secolo della globalizzazione. La missione «propaganda planeteria», per affermare la visione cinese della realtà, parte da qui.
Se fino ad oggi il denaro di America ed Europa ha giustificato una lettura del presente con gli occhi di Washington e delle cancellerie del Vecchio Continente, ora il baricentro si è spostato verso Est e la Cina reclama il ruolo di portavoce di tutti i Paesi emergenti, a partire dall’Africa. La sfida dell’informazione cinese ha però anche un secondo obiettivo, tutto economico.
Negli ultimi anni la Cina ha investito miliardi di dollari per estendere la sua influenza all’estero, indispensabile per sostenere le esportazioni e la campagna acquisti senza precedenti di interi settori dell’economia di Europa, Stati Uniti e Africa. Con 5 miliardi di dollari ha internazionalizzato le sue due agenzie di stampa nazionali, ha rinnovato le versioni in inglese dei due quotidiani del partito e del governo e ha aperto due canali di news in inglese. La Cctv, rimodellata sul profilo di Al Jazeera, raggiunge 300 milioni di telespettatori in Medio Oriente e Africa. I programmi della nuova Cnc, dotata di un logo che ricorda la colomba della pace, saranno venduti anche nei supermercati e nei centri commerciali di tutto il mondo. Il compito strategico di «rendere la capacità di comunicazione cinese adeguata al nuovo livello internazionale del Paese», cela l’ambizione di entrare da protagonista nella concorrenza del business pubblicitario globale, oggi monopolizzato dall’Occidente.
Gli eredi di Mao e Deng Xiaoping, convertiti ad un capitalismo estremo, sono convinti che nei prossimi vent’anni l’industria delle news, rilanciata dalle nuove tecnologie, aumenterà almeno del 40%. I concorrenti di Pechino, Hong Kong e Shanghai non sono più la Casa Bianca, la Cia e Wall Street, ma la Cnn e la Bbc, Reuters e Condè Nast, Murdoch e Google. La nuova televisione in inglese dell’agenziasimbolo, assieme alla sovietica Tass, della propaganda comunista durante la Guerra Fredda, avrà così il compito di aprire alla Cina il mercato della comunicazione elettronica, considerato il «grande affare del Duemila». Cnc, grazie alla partnership già avviata con le reti locali, conta di aprire 30 canali in tutto il mondo, conquistando fino a un terzo del mercato pubblicitario.
Pechino, modernizzando Xinhua, Cctv e la versione inglese del Quotidiano del Popolo fondato da Mao, potenziando il motore di ricerca nazionale Baidu in opposizione allo strapotere di Google sulla Rete, è decisa a costruire il nuovo meganetwork dell’informazione d’Oriente, per potersi finalmente sedere al tavolo dei pochi protagonisti globali che si stanno spartendo il modificato tesoro di conoscenza e pubblicità. Drenare opinioni e ricavi dell’editoria a Ovest, oltre che a rimodellare l’immagine della Cina nel mondo, servirà per passare alla seconda fase del piano.
«Mentre i nostri invecchiati imperi dei media si sciolgono come ghiacciai dell’Himalaya sintetizza Orville Schell, direttore del centro per le relazioni CinaUsa di New York quelli giovani cinesi si stanno gonfiando di neve. Ottenute le credenziali di credibilità del giornalismo mondiale, Pechino passerà all’incasso».
Approdare a Manhattan con la tivù inglese della Xinhua, voce e orecchio del potere politico ed economico cinese, e trasmettere dallo stesso quartiere di New York Times, Reuters e Cnn, autorizza a puntare poi direttamente all’acquisto dei gioielli dell’informazione democratica. Mentre i giganti dei media occidentali sono minati dalla crisi, chiudono gli uffici, licenziano il personale e si trasformano in mediatori di news raccolte altrove, i nuovi editori cinesi prosperano, macinano utili in patria e si affacciano all’estero. La scalata del Southern Daily a Newsweek, a metà giugno, è il simbolo dell’avvio di un passaggio di consegne epocale. Per la prima volta un giornale cinese, controllato dalla «Braymedia», società quotata alla Borsa di Shanghai, ha tentato di acquisire un media occidentale. L’acquisto del settimanale del Washington Post, roccaforte liberal, è sfumato in extremis, ma tutti hanno compreso che il provvisorio insuccesso prelude ad un destino segnato.
L’industria dell’informazione cinese, come negli altri settori di business maturi, indirizzerà presto il suo shopping tra le più importanti risorse multimediali dell’Occidente. «Ormai siamo professionisti dei media spiega Yu Guoming, direttore della scuola di giornalismo della Renmin University di Pechino e investitori. Il profitto è alla base dello sviluppo della comunicazione cinese. Ora tocca agli editori occidentali giudicare la validità delle offerte provenienti dall’Asia: e decidere se vale la pena perdere il capitale per non disobbedire ai vecchi stereotipi sulla propaganda comunista». I grandi studi legali, mediatori d’affari, prevedono che sarà normale sapere di leggere una testata storica americana, o di seguire trasmissioni delle maggiori emittenti europee, sapendo che l’editore ha il passaporto cinese. «In fondo anche la Volvo dice Xi Xiang, il giornalista di Pechino che ha intervistato in esclusiva Barack Obama durante il suo primo viaggio presidenziale in Oriente ha proprietari cinesi e nessuno sviene al volante».
E’ chiaro però che l’informazione non è un’automobile. Il nodo cruciale resta irrisolto: la Cina del capitalismo autoritario, prigioniera della propaganda di partito e della censura di Stato, rimane un player della comunicazione internazionalmente non credibile. I suoi editori non sono indipendenti rispetto al governo, i giornalisti di punta non possono sottrarsi al controllo dei funzionari pubblici e nessun investimento all’estero può essere perfezionato senza la spinta della leadership al potere. La televisione in inglese con il marchio Xinhua, decisiva per il trionfo della rivoluzione maoista, non si limita a riportare al centro dei planisferi il risorto Impero di Mezzo. Entrerà nelle nostre case con la forza di una resa dei conti decisiva tra informazione e propaganda, tra democrazia e autoritarismo. Sceglieranno il pubblico e il cosidetto mercato: ma in palio, nonostante le assicurazioni cinesi, non c’è solo lo spot più ricco del millennio.