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 2010  luglio 13 Martedì calendario

MA IO RIVENDICO IL MIO METODO NON HO MAI INGANNATO NESSUNO" - ROMA

Nella palazzina comando di via Ponte Salario si fa notte fonda alle due del pomeriggio. Perché hai voglia a dire, come pure si sforza di fare il generale ricevendo la solidarietà dei suoi ufficiali, che «le sentenze si rispettano», che «nulla cambia» rispetto ai cinque anni di questo processo e agli ormai otto del suo comando. O che, in fondo, come sostiene l´avvocato Fabio Belloni, difensore di alcuni dei militari condannati, «l´assoluzione per il reato associativo fa salva la legittimità delle operazioni antidroga del Ros, punendo solo singoli comportamenti e singole circostanze», quasi che la caduta rovinosa dei singoli imputati rendesse la purga meno amara e il quadro più confortante. La verità, senza starci a girare troppo intorno, è che la sentenza dell´ottava sezione penale del Tribunale di Milano è una terribile mazzata. Anche per un uomo freddo come Giampaolo Ganzer, abituato, per indole e convinzione, a dissimulare i propri stati d´animo. E lo è, perché riporta nell´agenda della discussione pubblica una questione che non interpella soltanto il comandante del Raggruppamento Operativo Speciale, il suo destino personale («Il mio futuro è questione che riguarda esclusivamente i miei superiori») e dunque le prossime scelte del comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli, che per altro di Ganzer è stato compagno di corso e a Ganzer è legato da amicizia personale. Ma il «metodo», la storia, l´album di famiglia del braccio investigativo di eccellenza dell´Arma, nato nel dicembre del ´90 sullo scheletro dei Nuclei Speciali antiterrorismo di Carlo Alberto Dalla Chiesa. E per giunta, in un momento cruciale, con il Ros che, da un anno a questa parte, sta scrivendo la storia giudiziaria del Paese, indagando sul Potere e i suoi nessi: a Roma, con le inchieste sui fondi neri di Finmeccanica, il ricatto a Marrazzo. A Firenze e Perugia, con l´indagine sul Sistema Anemone-Balducci e la Protezione civile. A L´Aquila con gli accertamenti sulla ricostruzione post-terremoto. In Calabria e Lombardia con le indagini di ”ndrangheta. In Campania con quelle di camorra.
Da uomo intelligente quale è, Ganzer aveva capito presto in quale crocevia si trovasse, quale partita si giocasse nel suo processo. Già nel luglio del 2003, quando l´avviso di conclusione indagini della Procura di Milano lo aveva sorpreso comandante da neppure un anno. E non a caso, nelle sue dichiarazioni spontanee, pronunciate a braccio prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio, come pure nella ponderosa memoria difensiva di 449 pagine, aveva afferrato il toro per le corna. «Se è esistito un "metodo Ganzer" o un "metodo Ros" – aveva detto e scritto – ebbene, io lo rivendico. Perché non ho mai ingannato i miei superiori o i miei ufficiali. Perché non ho violato la legge. Perché in questi cinque anni, quanto è durato il processo, i risultati del contrasto alla lotta alla criminalità e al traffico internazionale di droga parlano chiaro: 56 latitanti arrestati, 2 miliardi e mezzo e 15 tonnellate di sostanza stupefacente sequestrati. Perché le attività sotto-copertura hanno fatto da apripista a una legge dello Stato innovativa. Perché se è esistito un "metodo illegale", allora qualcuno dovrebbe spiegare per quale motivo quel metodo non è stato applicato ad altre attività di indagine e perché per quel metodo, che avrei ereditato al momento del mio arrivo al Ros, e che pure ha seguito criteri e competenze giudiziarie piuttosto diverse, non è mai stato indagato il generale Mario Mori».
Già, Mario Mori e Giampaolo Ganzer. Dati spesso, con eccesso di semplificazione, l´uno (Ganzer) come naturale erede dell´altro (Mori), conoscono oggi, a Palermo e a Milano, per altro in vicende giudiziarie pure completamente diverse, uno stesso destino. E, forse, non a caso. Perché entrambi finiscono con il vivere la nemesi di una cultura dell´investigazione e della polizia giudiziaria che ha uno stesso padre: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e le sue sezioni antiterrorismo. In quella stagione giudiziaria e politica, Ganzer, a Padova (dove è alla sezione speciale anticrimine dal ´79 al ´90 e dove lavora alle indagini del "processo 7 aprile" all´Autonomia e infiltra la banda Maniero, fino alla sua disarticolazione), come Mori a Roma, coltivano e affinano i metodi di un´investigazione «speciale» e «segreta», che lavora senza guanti, che sa essere molto redditizia nei risultati, perché invasiva nelle tecniche di ascolto e pedinamento, aggressiva, spiccia e persuasiva con i confidenti. Soprattutto, dove i rapporti di forza tra polizia giudiziaria e magistratura sono capovolti, con la prima a dettare tempi e canovaccio dell´indagine. E la seconda chiamata a dare veste giuridica a un risultato comunque raggiunto.
Sono passati oltre trent´anni, il Ros, nato da quella esperienza, ha conosciuto e conosce una nuova generazione di ufficiali, eppure è come se i conti di quella stagione si chiudessero solo oggi. Ganzer, che, nel 2003, si era visto congelare dall´avviso di garanzia di Milano nel grado di generale di brigata, in questi 5 anni di processo non aveva mai nascosto l´opinione che opportunità e prudenza potessero consigliare un suo altro incarico prima che si arrivasse a un redde rationem giudiziario che ne facesse un´anatra zoppa. Non è accaduto. Ed è probabile che non accadrà neppure stavolta.