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 2010  luglio 12 Lunedì calendario

IRAQ LA STRAGE DEI CANI

Secondo gli hadith - i detti del profeta Maometto - il cane è un animale impuro: «Gli angeli non entrano in una casa in cui vi sono cani o immagini». La ragione sta nel fatto che è un animale intrinsecamente sporco - a differenza del gatto - dunque in grado di far perdere la purezza dell’uomo. Nella tradizione coranica è proibito tenere un cane in casa senza motivo. E’ dunque tollerato solo se svolge un preciso lavoro, come la sorveglianza delle greggi, la guardia o la caccia. Essendo comunque impuro, non può essere presente alla preghiera o al pasto. Dopo averlo toccato ci si deve lavare le mani. Se un cane lecca una persona, quella deve purificarsi. Qualunque recipiente leccato da un cane va purificato con sette lavaggi, il primo con la sabbia e gli altri con l’acqua. In Iran a giugno si è arrivati a emettere una fatwa contro i cani. Il grande ayatollah Nasser Makarem Shirazi ha sentenziato: «Il cane è un animale immondo. I rapporti amichevoli con i cani sono una stupida imitazione dei costumi occidentali. Tutti sanno che gli occidentali amano i cani più delle loro mogli e dei loro bambini».
Caccia ai randagi nelle strade di Baghdad. Il governo iracheno ha creato una task force comprensiva di venti team di veterinari-killer, ai quali ha affidato il compito di ripulire la capitale da una popolazione di cani randagi di almeno 1,25 milioni. Per le autorità di tratta di una sorta di emergenza cittadina perché i cani randagi infestano interi quartieri, si muovono in branchi, attaccano spesso i banchi dei mercati a caccia di cibo e gli episodi aggressioni a esseri umani si moltiplicano.
Il loro numero si è impennato a partire dall’aprile 2003, quando la caduta del regime di Saddam Hussein conseguente all’intervento militare americano ha prodotto l’azzeramento dei drastici provvedimenti che avevano fino ad allora portato la polizia alla sistematica eliminazione dei cani randagi. Così, negli oltre sette anni passati dalla caduta di Saddam, la popolazione canina senza padrone è aumentata a dismisura e, nell’assenza di canili pubblici, ha creato quei «pericoli per la sicurezza» di cui ora si stanno occupando i veterinari-killer.
Si tratta spesso di ex poliziotti che hanno seguito corsi da veterinari - o viceversa - e vengono armati con fucili capaci di sparare sonniferi o pallottole vere. Queste «unità speciali» sono state create alla fine del 2008 ma solo negli ultimi mesi hanno iniziato ad operare a pieno ritmo. Le stime più recenti parlano di almeno 58 mila cani randagi già «neutralizzati» in tre mesi ma le operazioni procedono, quartiere per quartiere, con lentezza in ragione di molteplici problemi dovuti alle particolari condizioni di sicurezza di Baghdad.
Il principale rischio per i veterinari-killer infatti è di essere scambiati per miliziani di clan, con il conseguente pericolo di innescare conflitti a fuoco con gli avversari locali o addirittura di far intervenire le forze regolari irachene. Per evitare simili scenari i team, prima di iniziare a braccare i randagi, diffondono con megafoni, comunicati radio e volantini la notizia del loro arrivo. Fra le «avvertenze alla popolazione residente» contenute in questi annunci c’è il monito a «non raccogliere la carne trovata in terra» perché uno dei metodi che i veterinari-killer adoperano per eliminare i randagi è disseminare le strade di carne avvelenata. Inoltre, per sorprendere i cani ed essere più efficaci nell’eliminazione, i venti team si muovono ogni mattina alle 6, poco dopo l’alba, cercando le tane.
La popolazione locale, secondo quanto riportato da radio e giornali, sostiene l’operazione anti-randagi perché in alcuni casi si tratta di cani che hanno aggredito dei bambini, provocando anche vittime. Non è chiaro dove le carcasse dei randagi uccisi vengano portate: le autorità comunali finora non hanno precisato se vengono bruciate o sepolte in fosse comuni lontane dalla zona abitata.
L’emergenza-randagi in cui versa Baghdad ricorda quanto avvenne a Bucarest dopo la caduta del regime di Nicolae Ceausescu, anche se la reazione romena fu opposta. Era stato infatti il dittatore a creare il fenomeno, distruggendo negli Anni 70 le piccole case famigliari con giardini per spostare i residenti in grandi palazzi di appartamenti. I romeni considerarono dunque i randagi delle vittime del dittatore e decisero di convivere con loro, creando poi le strutture pubbliche per ospitarli e farli sopravvivere. L’unica volta in cui a Bucarest vi fu un’eliminazione sistematica di randagi fu nella primavera del 2008, quando le autorità locali temettero che potessero attaccare i componenti delle delegazioni arrivate per il vertice della Nato. /