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 2010  luglio 11 Domenica calendario

MAGGIANI. STREGA ADDIO

Allo Strega le polemiche non finiscono mai. Dieci giorni fa Antonio Pennacchi (Canale Mussolini, Mondadori) ha bruciato sul filo Silvia Avallone (Acciaio, Rizzoli). Per il quarto anno consecutivo (uno con Einaudi) lo squadrone di Segrate ha vinto il premio letterario più prestigioso e redditizio. Sembrava scontata la vittoria di Rcs, vista la scarsa aggressività di Mondadori che si dice stesse già pianificando la vittoria del prossimo anno. Trame e tramette destinate a ripercuotersi anche sull’universo dei giurati. Il primo a muoversi è Maurizio Maggiani, uno dei più bravi scrittori italiani, uno fuori dalla partita perché lo Strega l’ha già vinto, nel 2005 con Il viaggiatore notturno (Feltrinelli).
Maggiani, si sentono varie voci in giro. Ha dato le dimissioni dal premio?
«Ebbene sì, il 2 luglio, un giorno dopo aver assolto al mio pesante dovere di elettore».
Un gesto di ribellione?
«No. Semmai la presa d’atto che non sono adatto a giudicare e che alle soglie della senilità non ce la faccio a sobbarcarmi a tutto ciò che di collaterale comporta quel voto».
Che cosa comporta?
«Sono persona informata dei fatti, ho vinto e sono contento di averlo vinto, non ho da contendere più nulla. un sistema pesante dal punto di vista psicologico».
Sul quale gli editori puntano enormemente.
«Certo. l’unico fatto che permette di vendere libri oltre alla trasmissione televisiva Che tempo che fa. Lo dicono gli editori. Per questo dedicano ad esso tutte le attenzioni, elaborano una filosofia per vincerlo. sempre stato così. Ora molto di più ed è comprensibile: il settore è in crisi e con lo Strega si possono risollevare un po’ le sorti».
Il cuore di tutta la storia sono i giurati.
«Non so quanti siano ora. Una volta erano 500, adesso forse meno. Sono stati scelti nel corso di cinquant’anni, degnissimi intellettuali e anche altre personalità, del settore editoriale e non solo, c’è Rutelli, tra loro ricordo di aver scoperto con sorpresa anche Antonio Maccanico. un premio molto romano, con uno spiccato gusto per le pompe…».
Le pompe?
«Intendo dire quelle che suonavano per la regina Vittoria, Pomp and Circumstance… Ma non c’è niente di male in questo».
E come si muovono gli editori con i giurati?
«Un lavoro durissimo: non scherzo, l’ho visto con il mio editore, Feltrinelli. Anche Rcs e Mondadori, i due colossi, hanno da fare una gran fatica. Contattare tutti i giurati con cui possono intrattenersi e chiedere il voto».
 questo il meccanismo che lei contesta?
«No, non ci trovo niente di criminoso. Se il mio editore mi dice quest’anno corriamo con Il Dottor Zivago, io lo voto, è giusto, è un gran bel libro. Se invece il libro non mi piace e dico di no, mi trovo soggettivamente in difficoltà anche perché intendo avere con il mio editore un buon rapporto. Ma pure per l’editore il lavoro è duro: ottenere il risultato e non irritare il proprio autore. Insomma si crea un mercato. Se, per esempio, un anno un editore non ha un libro da premio, cerca di spostare i suoi giurati su un altro libro, sapendo che il favore gli sarà restituito. A me è capitato di ricevere la lettera di ringraziamento per aver votato il libro di un piccolo editore che ritenevo il migliore».
 che male c’è?
«Nessuno se non che la scheda di voto è sigillata e io non avevo detto a nessuno per chi votavo. Ma non mi scandalizzo. Questo è quanto. Io sono diventato giurato perché me l’ha chiesto una signora a cui era impossibile dire di no, la signora Rimoaldi che quel premio ha inventato. Una persona all’interno della romanità intellettuale, ma che alla letteratura credeva davvero. Questa signora aveva un centinaio di voti suoi, gli amici della domenica, quelli antichi. Io stesso credo di essere stato scelto da lei perché mi credeva capace di esprimere un giudizio libero».
E che faceva la signora Rimoaldi con quel pacchetto di voti?
«Usava la sua area di influenza per non far mai vincere il peggiore. Anche se il libro era stato pubblicato dall’editore più potente. Io penso di averlo vinto per questa ragione. E così era andata anche nel ”95, quando vinse Mariateresa Di Lascia. Allora Feltrinelli era un piccolo editore e sono sicuro che quel premio non gli è stato regalato dall’arrendevolezza dei concorrenti».
Vuol dire che adesso che la signora è morta il premio è destinato a essere vinto sempre da un grande editore?
«Non so che fine hanno fatto i cento voti della signora Rimoaldi, ma ho visto quel che è successo negli ultimi anni: vittorie sul filo e testa a testa tra i due grandi gruppi».
Negli ultimi quattro in realtà ha sempre vinto Mondadori. Quest’anno, è parso, anche un po’ a malincuore, perché tutto sembrava disegnato per la vittoria di Rcs con la Avallone in modo che il prossimo anno potesse rivincerlo Mondadori con l’atteso romanzo di Alessandro Piperno. Lei per chi ha votato?
«Non so cosa sia successo ma ho votato per Pennacchi, anche se il mio editore avrebbe preferito che dessi il voto a Sorrentino, mio collega di ”scuderia”. Ma siccome io quel premio l’ho vinto, vorrei che fosse ricordato come un premio dignitoso. Quest’anno la dignità era in qualche modo non debilitata dalla vittoria del romanzo di uno che forse è uno scrittore: Pennacchi non era al suo primo libro e aveva una storia da raccontare…».
Il quale Pennacchi, poi, ha dichiarato di aver vinto lui il premio e non il suo editore. Forse perché sono stati proprio i 5-6-7 voti come quello di Maggiani, dati allo scrittore e non al «brand», a rovesciare il copione che prevedeva la vittoria Rcs.
«Pennacchi dice una cosa metà vera e metà falsa. vero che io e qualcun altro abbiamo scelto lui come scrittore, ma molti di quelli che hanno votato per lui in realtà hanno dato il voto a Mondadori. La verità è che lo Strega – e questo vale anche per me – lo vince sempre l’editore».
La vittoria di Pennacchi con l’epopea degli ex combattenti fascisti migrati da Veneto e Romagna a bonificare l’Agro Pontino era anche un’occasione per sdoganare in modo non strumentale un pezzo di storia d’Italia.
«Ma non sono capaci di farlo. Ormai la logica è completamente un’altra: arraffare quel che resta del mercato. Marketing, non scelte editoriali. Però io credo che sputtanare lo Strega non convenga a nessuno».
E allora perché dà le dimissioni?
«Perché in questa vicenda ho capito che sono troppo fragile per fare il giurato. E non perché il mio editore fa delle pressioni. Ma ormai io credo che il problema è quello dell’autocensura: non c’è nemmeno più bisogno che ti facciano pressione. Ecco: io non voglio trovarmi nella situazione. Questo è il mio mestiere, ci vivo e non voglio dover derogare alla mia dignità per il bene della mia famiglia».
E quando ha deciso?
«Quando mi hanno detto che allo Strega davano per scontato il mio voto. Ecco il punto: oggi nemmeno Fidel Castro può dare per scontati i voti del Pc cubano. Non capire questo significa non capire com’è la situazione nel nostro Paese: se si può fare qualcosa che non è scontato, bisogna farlo. E se Pennacchi diventa il mezzo per uscire dallo scontato, si vota per Pennacchi. Ecco tutto».