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 2010  luglio 13 Martedì calendario

HO RIPORTATO AL SUCCESSO LA FERRARI DELLE DUE RUOTE

Valerio Bianchi, Giuseppe Morri e Massimo Tamburini. Tre nomi per un marchio: Bi­mota. Nata nel 1966 per produr­re impianti di riscaldamento e condizionamento, l’azienda si trasformò ben presto in una piccola fabbrica di componen­ti destinati alle moto da corsa e di serie. E la tappa successiva, grazie alla grande passione di Tamburini, fu la produzione e la commercializzazione di mo­delli con il proprio marchio. il 1975. Poi, alla fine degli anni Novanta, il declino, causa pro­blemi finanziari. Quindi il falli­mento, nel 2001. Sembrava una favola finita male dopo i trionfi sulle piste di tutto il mon­do: campione mondiale classe 350 nel 1980 con il sudafricano Ekerold, titolo Tt F1 con Virgi­nio Ferrari nel 1987, sfiorando il bis l’anno dopo inSuperbike con Davide Tardozzi. Chi non ricorda il funambolico An­thony Gobert nel mondiale su­perbike del 2000, che con la sor­prendente Sb8R si aggiudicò la vittoria nella gara australiana di Phillip Island? Bimota era chiamata la Ferrari delle due ruote: prendeva tutto il meglio che il mercato offriva (dai moto­ri giapponesi plurivalvole alla componentistica tutta italia­na) mentre costruiva i telai nel­le proprie officine. Poi il grande sogno riminese delle due ruote finisce. «Terminò- dice Gigi Bo­nini, uno degli uomini della ri­nascita- perché fu presa la scia­gurata decisione di costruire in proprio anche i motori. Una scelta che portò al fallimento». Bimota, infatti, affiancava ai motori di serie di affermati pro­duttori europei e giapponesi la propria parte ciclistica d’avan­guardia con l’impiego di mate­riali particolarmente pregiati.
Oggi Bimota usa in prevalen­za motori Ducati, ma anche Honda e Yamaha.
«Quando sono arrivato- con­tinua Bonini - ho trovato solo il marchio. Forte, ma solo un marchio. Non c’era un model­lo in produzione. Bene, dal 2005 a oggi abbiamo costruito cinque modelli base investen­do una cifra enorme: ogni mo­dello prevede in media un im­pegno finanziario di circa 2,5 milioni. Tuttavia quell’anno ne costruimmo quasi 100. Di­ventarono 480 nel 2008, quan­do al Salone di Milano presen­tammo la ”Db7”, vale a dire il settimo esemplare con il moto­re Ducati».
Ma se il 2008 è stato l’anno d’oro, del rilancio e della rina­scita definitiva, a Rimini non avevano fatto i conti con la crisi mondiale: «C’erano ordini per 600 moto - continua Gigi Boni­ni - e alla fine ne abbiamo ven­dute soltanto 300. Abbiamo af­frontato la crisi senza dispera­zione, ci siamo accontentati. E abbiamo fatto bene, perché nei primi 5 mesi dell’anno abbia­mo realizzato un bel 35% in più sul 2009. Non è poco. Certa­mente ci ha fatto da traino il grande rientro nelle competi­zioni, precisamente in Moto2», la nuova classe che ha sostitui­to la 250Gp nel campionato mondiale di motociclismo.
Oggi Bimota esporta i suoi modelli in Giappone, Usa e Ger­mania, vale a dire il 45%dell’in­tera produzione. «Moto per in­tenditori »,dice Bonini.S’inten­de! Non solo. Il marchio, infat­ti, conta diversi «Bimota club» sparsi in tutto il mondo che or­ganizzano veri e propri raduni annuali ed esclusivi, per appas­sionati dal palato fino.
«Ora sono ottimista - conclu­de Bonini - Il peggio è passato. Il nostro obiettivo per fine 2010 è fissato su 500 motociclette».
Tanto ottimista, grazie al gran lavoro svolto per il rilan­cio, che ci sono già alcuni gran­di gruppi con i fari puntati su Rimini. Tentato o no? Bonini ta­glia corto: «A me interessa ri­portare le aziende in utile. Poi tutto è possibile».