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 2010  luglio 12 Lunedì calendario

ALLE RADICI DELL’ODIO CHE INCENDIO’ TRIESTE

Intende probabilmente assu­mere, nelle intenzioni degli organizzatori, un valore alta­mente simbolico (e, quindi, politico) la partecipazione, a Trieste, al grande «concerto dell’amicizia» diretto da Riccardo Muti con l’orchestra Luigi Cherubini composta da 600 giovani, di ben tre presidenti della Repubblica: Giorgio Napolitano per l’Italia, Danilo Türk per la Slovenia, Ivo Josipovic per la Croazia. nella scelta stessa della da­ta del concerto, il 13 luglio, la dimen­sione simbolica dell’avvenimento. Proprio a Trieste, infatti, il 13 luglio 1920, esattamente novanta anni or sono, scoppiarono gravissimi inci­denti culminati con l’incendio del­l’Hotel Balkan, dove aveva sede la so­cietà Narodni dom, cioè la «casa del popolo»slovena,una sorta di organi­sm­o rappresentativo delle più signifi­cative organizzazioni degli sloveni triestini.
Quell’episodio è passato, poi, alla storia come una specie di «battesi­mo del fuoco» dello squadrismo fa­scista, ma in realtà esso si inserisce come momento, se non terminale, certo assai significativo, in una lunga vicenda che, nell’immediato primo dopoguerra- mentre sullo sfondo po­litico internazionale si svolgevano le trattative alla Conferenza per la pace e si consumava l’avventura fiumana di Gabriele D’Annunzio e dei suoi le­gionari- , vide le popolazioni italiane della Dalmazia jugoslava costrette a pagare un altissimo prezzo per la ri­valità politica italo-jugoslava in ter­mini di vessazioni, soprusi e manife­stazioni xenofobe anti-italiane.
 una circostanza, questa, che ­pur in un clima di ”buonismo”politi­co e a distanza di tanti decenni dai fatti - merita comunque di essere ri­cordata e sottolineata perché la me­moria storica non può e non deve es­sere mai messa in ombra a favore di una diffusa tendenza a confondere il giusto desiderio di una ritrovata ca­pacità di convivenza civile con il rico­noscimento o con l’ammissione di colpe e responsabilità attraverso ge­sti o rituali simbolici.
Chi volesse conoscere in dettaglio le vicende, politiche e umane, della minoranza italiana in Dalmazia al­l’indomani della fine del primo con­­flitto mondiale e della dissoluzione dell’Impero asburgico,potrà ricorre­re alla lettura delle dense, documen­t­ate ed equilibrate pagine che lo stori­co Luciano Monzali ha dedicato a questo argomento in numerosi lavo­ri e, in particolare, al volume Italiani di Dalmazia 1914-1924 pubblicato qualche anno fa dalla casa editrice Le Lettere. Vi troverà ricostruita la po­litica estera italiana nell’Adriatico e nei Balcani, e ben illustrata la sua in­fluenza sul futuro delle popolazioni dalmate italiane, in un primo mo­mento illuse sulla possibilità di una unione con la madrepatria,e,poi,do­po la stipula del trattato di Rapallo del novembre 1920, costrette a opera­re una scelta drammatica tra una vi­ta dif­ficile nel Regno jugoslavo e la so­pravvivenza a Zara italiana, ovvero l’emigrazione nella penisola. Vi tro­verà, ancora, le premesse di quegli scontri fra italiani e slavi dei quali gli incidenti di Trieste del luglio 1920 rappresentarono un picco.
 bene ricordare subito - anche ai fini dell’accertamento storico delle responsabilità - che i fatti di Trieste ebbero un diretto antefatto negli inci­denti di Spalato di due giorni prima. In questa città la tensione covava da tempo e le violenze anti-italiane, frut­to della propaganda xenofoba del go­verno di Belgrado, erano tutt’altro che rare: il 27 gennaio 1920, per esem­pio, al termine di una manifestazio­ne nazionalista jugoslava di protesta contro il preteso imperialismo italia­no, erano state fatte oggetto di atti vandalici e teppistici molte istituzio­ni italiane come il Gabinetto di Lettu­ra, le sedi della Società Operaia e del Consorzio di consumo e molti nego­zi.
Qualche mese dopo,l’11 luglio,pe­rò, incidenti di gran lunga più gravi coinvolsero marinai e ufficiali italia­ni, da una parte, e dimostranti jugo­slavi, dall’altra.Quel giorno,al termi­ne di una conferenza anti-italiana, i dimostranti si diressero verso i luo­ghi di ritrovo degli italiani, tra i quali il Gabinetto di Lettura. Qui, due uffi­ci­ali italiani furono costretti ad asser­ragliarsi. Il comandante della nave Puglia, impegnata a Spalato a garan­zia delle clausole armistiziali, Tom­maso Gulli, decise di recarsi a recupe­rarli. Lo scoppio di una bomba a ma­no tra la folla innescò una sparatoria fra gendarmi jugoslavi e marinai ita­liani. Rimase ucciso il motorista Al­do Rossi e furono feriti gravemente il cannoniere Pavone e il comandante Gulli, morto il giorno successivo do­po una operazione chirurgica. Una inchiesta immediatamente predi­sposta dal Ministero della Marina, riassunta in un telegramma, conser­vato nell’Archivio Storico del Mae (Ministero affari esteri), indirizzato dall’allora Segretario Generale del Ministero degli Esteri Salvatore Con­tarini alla R. Legazione di Belgrado, mostrava senza possibilità di equivo­co che «militari armati serbi» aveva­no colpito militari italiani e avevano «eccitato la folla contro di essi».
Come conseguenza diretta dei di­sordini costati la vita a Gulli, il 13 lu­glio scoppiarono tumulti antislavi in diverse località: Trieste, Fiume, Za­ra, Pola e Pisino. A Trieste, in partico­lare, la notizia suscitò emozione e in molte finestre vennero esposti trico­lori abbrunati. I fascisti guidati da Francesco Giunta organizzarono un comizio nel corso della quale fu ac­coltellato un giovane italiano. L’as­sassinio dette il via a disordini contro negozi gestiti da sloveni e sedi di orga­nizzazioni slave e socialiste. I dimo­stranti raggiunsero il Narodni dom circondato da 400 soldati e guardie regie. Dall’edificio furono lanciate bombe a mano e sparati colpi di fuci­le. Fu ucciso un sottotenente del Re­gio Esercito e rimasero ferite diverse persone. I militari risposero al fuoco e divampò l’incendio, che distrusse l’edificio.
La dinamica degli incidenti è rico­struita in un fonogramma di Crispo Moncada inviato al Presidente del Consiglio il 14 luglio, conservato ne­gli Archivi del Mae. Vi si legge: «... Ini­ziatasi con comizio in Piazza Unità manifestazione svolgevasi ordinata­mente. Mentre parlava avv. Giunta... rimaneva ucciso cittadino italiano da colpo di pugnale infertogli prodi­tor­iamente nella piazza stessa da sla­vo che riuscì a dileguarsi.
Notizia co­municata­al pubblico da oratore pro­dusse vivissimo fermento ed esaspe­razione.
Folla eccitatissima sbandos­si improvvisamente in varie direzio­ni. Parte dimostranti si diresse cor­rendo piazza Oberdan sostando di­nanzi al fabbricato Hotel Balkan se­de del Circolo slavo consueto centro di riunione e di propaganda antiita­liana emettendo grida ostili. Dalle fi­nestre di detto fabbricato vennero esplosi vari colpi di rivoltella e lancia­te bombe a mano rimanendo ferite due guardie regie e vicecommissa­rio di pubblica sicurezza... ». Il rappor­to prosegue raccontando la reazione dei militari, l’incendio appiccato dai dimostranti e che non fu possibile, poi,contenere perché all’interno del­l­’edificio erano custoditi esplosivi co­me si evince dallo stesso rapporto: «...durante incendio furono sentiti al­c­uni scoppi attribuiti a bombe e mu­nizioni che hanno ostacolato opera spegnimento...». Infine il rapporto elenca le altre azioni poste in essere dai dimostranti contro la tipografia che stampava un giornale jugoslavo, contro alcune abitazioni e qualche ufficio slavo, ma sottolinea anche le centinaia di «arresti di facinorosi» e le misure adottate per evitare che la situazione degenerasse e il bilancio di morti e feriti si aggravasse.
La retorica, fascista prima e antifa­scista poi, ha attribuito agli incidenti di Trieste significati, in positivo o in negativo, ben diversi da quelle che nella realtà avevano. Quegli inciden­ti, infatti, lungi dall’essere il simbolo del nascente squadrismo fascista- al­trimenti, si potrebbero porre sullo stesso piano, quale espressione di un altro nascente squadrismo di se­gno contrario, quelli di Spalato- era­no il risultato della drammatica con­dizione nella quale si erano trovati a vivere gli italiani di Dalmazia.