Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 11 Domenica calendario

PIZZO E PENTITI, AL QAEDA COME COSA NOSTRA

Parte dall’Algeria la reazione popolare contro Al Qaeda. Anzi, dalla Cabilia, inquieta regione berbera tentata dalla secessione e perciò smembrata dal governo di Algeri in due mini-province.
Ma, da quando i terroristi islamici hanno iniziato a chiedere a tutti gli imprenditori della zona il pagamento di una tangente in cambio della loro sicurezza, i cabili si sono rivoltati contro la minaccia più seria. Chiedono protezione alle istituzioni e perfino agli Stati Uniti. Ferhat Mehenni, folksinger e presidente del movimento autonomista Mak, dal suo esilio in Francia, concede interviste alla tv conservatrice Usa Fox News. Forse non è la soluzione più immediata per ottenere l’assistenza dell’amministrazione Obama, ma certo può servire per esercitare una discreta pressione politica.
Conviene a entrambi. La collaborazione gioverebbe alla strategia antiterrorismo americana perché proprio dalle basi della Cabilia partono numerosi attacchi jihadisti. Ai cabili, popolazione prevalentemente laica con una minoranza cristiana, invece non dispiacerebbe liberarsi dal giogo degli estremisti che all’inizio del 2010 hanno incendiato una chiesa della zona. E sarebbero altrettanto lieti se le loro richieste di autonomia trovassero intanto un appoggio internazionale.
Per ora, se la devono cavare da soli contro il fenomeno che gli inquirenti definiscono un «pizzo finalizzato al finanziamento della loro jihad». Chi si rifiuta di pagare rischia di essere rapito o di vedere finire uno dei propri familiari nelle mani dei terroristi islamici.
Secondo il giornale arabo alSharq al-Awsat, da mesi infatti si susseguono i sequestri di imprenditori in Cabilia. L’ultimo, avvenuto la scorsa settimana, è quello del proprietario di una stazione di rifornimento carburante della zona. Questo ennesimo sequestro ha fatto andare su tutte le furie gli abitanti dei villaggi della provincia di Tizi Ouzou che da giorni si sono mobilitati con manifestazioni di piazza e proteste per spingere i terroristi a rilasciare l’ostaggio. A portare la cittadinanza alla ribellione contro al-Qaeda è stata la richiesta di 300mila dollari avanzata dai rapitori ai familiari della vittima come riscatto. Un suo amico racconta che «aveva già da tempo chiuso la sua pompa di benzina perchè aveva ricevuto continue richieste di tangenti da parte dei terroristi islamici. Gli hanno chiesto il pagamento di un pizzo per continuare a lavorare. Mi ha confessato che un uomo era entrato nel suo ufficio e gli ha chiesto il pagamento di un contributo per il jihad». Sembra che molti imprenditori della zona paghino regolarmente il pizzo per il jihad, perché hanno paura che i loro figli vengano rapiti dai terroristi o che le loro attività commerciali possano essere danneggiate. Un altro imprenditore della Cabilia, di nome Karim, è stato rapito alla fine di maggio e liberato dopo venti giorni dietro il pagamento di un riscatto da parte della sua famiglia di 30mila dollari.
Martedì scorso era stata organizzata una protesta analoga con uno sciopero generale che aveva visto l’adesione della maggior parte dei commercianti della zona. Ieri si è replicato, con la partecipazione della popolazione. Diverse migliaia di cittadini sono scesi in piazza nel villaggio di Fariha, che dista 30 chilometri dalla città di Tizi Ouzou, capoluogo della provincia, per protestare contro i sequestri. Ma alcuni dei capi della protesta puntavano ai covi dei terroristi che si nascondono sui monti della Cabilia. Perciò erano state schierate in tutta la zona le forze di sicurezza, nel timore che i cittadini potessero entrare in contatto con i terroristi e ingaggiare scontri a fuoco con gli uomini di Abdel Malik Droukedel, emiro di Al Qaeda nel nord Africa. Un capocosca, ormai, che fa assomigliare l’organizzazione più a Cosa Nostra che a un gruppo di fanatici assassini religiosi. Per sconfiggerla, la Mauritania, confinante con l’Algeria, ha adottato il sistema dimostratosi più efficace contro la mafia. Ieri è entrata in vigore la legge che per la prima volta prevede un trattamento di favore per i terroristi islamici che si pentono e si consegnano nelle mani della polizia. Varrà solo per i jihadisti ancora in libertà ma non per quelli che sono stati già processati e condannati e si trovano ora in carcere. Per evitare i pentiti a orologeria, facendo così tesoro dell’esperienza italiana.