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 2010  luglio 11 Domenica calendario

ARSENICO E VECCHI VIZIETTI

Come in certe storielle raccontate per facezia, si potrebbe inaugurare un commento sul primo numero di «alfabeta2» – la nuova rivista di Umberto Eco, appena rinata dalle ceneri della mitica rivista omonima uscita fra 1979 e 1988 – con una domanda maliziosa: volete prima la notizia buona o volete prima quella cattiva?
La notizia buona è che sono ri-tornati gli intellettuali.
E che, nonostante le lettere sulla testata di «alfabeta2» siano modestamente minuscole, sono ritornati gli intellettuali con la maiuscola. Nel momento in cui eravamo tutti pronti a riconoscere che nell’Italia d’oggidì non ve ne fosse più neppure l’ombra, e parecchi "opinionisti" se ne fregavano le mani; nel momento in cui il nostro ministero dei Beni culturali è retto, quasi provocatoriamente rispetto all’intrinseca dignità del mandato, da un personaggio del livello di Sandro Bondi; Eco ormai quasi ottantenne, nostalgico di se stesso e del suo bel tempo andato, basta a dimostrarlo l’intervento di Andrea Cortellessa. una riflessione tanto pacata quanto acuta sull’engagement postmoderno – ossimoro soltanto apparente – di molti scrittori italiani di oggi,e sull’eredità corporale trasmessa da Pasolini (l’intellettuale come incarnazione, ma incarnazione narcisistica più che salvifica) a tre icone culturali del nostro tempo: Nanni Moretti, Marco Paolini e Roberto Saviano.
Il numero 1 della rivista contiene almeno un paio di altri contributi particolarmente felici. Felici (si vorrebbe dire) anche perché non smaccatamente infelici: non mossi da quella sorta di luttuosa vertigine, da quel virtuosismo dell’apocalisse, che troppo spesso viene brandito dall’intellighenzia italiana "di sinistra" come un biglietto di accredito culturale. attento, sensibile, aggiornato, il bilancio critico di Andrea Inglese sulla (presunta) «scomparsa dell’intellettuale» nel mondo contemporaneo.
Ed è lucido, originale, a tratti folgorante, il discorso di Stefano Chiodi sulla politicità ormai soltanto estetica, eppure effettiva, riconoscibile, dirompente, delle installazioni di artisti quali l’inglese JeremyDellereil belgaFrancis Alÿs.
A questo punto, però, bisogna dare anche la notizia cattiva. E la notizia cattiva è che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nonostante alcune voci – per lo più voci di giovani, se è vero che in Italia si è giovani intellettuali almeno finoai quaranta ”cerchino di intonare musiche nuove, «alfabeta2 » appare (come già la prima) il luogo d’esercizio di un’intelligenza distruttiva più che costruttiva. Un palco cartaceo da cui urlare dei no piuttosto che riflettere, distinguere, correggere, e magari, da ultimo, azzardare dei sì.
Esempio tipico di un approccio quasi programmaticamente negativo, da improbabile day after, l’intervento di Daniele Giglioli titolato ( a scanso di equivoci)«L’università assassinata». Vi si apprende che quanto molti professori degli atenei italiani si sforzano oggi di fare, cioè discutere sugli "aspetti tecnici" della riforma Gelmini, «la governance, i concorsi, i dipartimenti, il rapporto col territorio», equivale a un «inutile perder tempo». Tutti questi sono infatti «specchietti per le allodole », il vero obiettivo del ministro è nientemeno che «lo smantellamento dell’università pubblica nel nostro paese».
Né reduci né postumi, promette Eco nel suo editoriale introduttivo. Ma si fatica a credergli, di fronte a un pezzo come quello di Mario Tronti sulla Fiat di Sergio Marchionne e il «diktat di Pomigliano». E più che mai si fatica a credergli di fronte al pezzo (davvero incredibile) di Augusto Illuminati, dove gli studenti della cosiddetta Onda – cioè gli oppositori "a prescindere" del ministro Gelmini ”vengono definiti «l’unico intellettuale collettivo in senso gramsciano e post-gramsciano che abbia levatola voce nell’ultimo biennio».
Segue una paginetta che sembra ripresa tale e quale da un ciclostilato d’antan: «Individuando negli effetti della crisi su università e ricerca un campo di scontro decisivo, gli studenti dell’Onda hanno rovesciato in senso costruttivo la furente fuga settantasettina dal sistema, hanno avviato un esodo costituente di cui progetti di autoriforma dell’università dal basso e l’intensità soggettivamente organizzata agli altri movimenti dei precari e dei migranti sono segni prognostici. Nessun "altro Occidente", che riproporrebbe frustranti limiti etnocentrici, ma un pezzo italiano di pensiero critico e di agire sovversivo inserito nel circuito globale di ribellione alla privatizzazione del sapere, nel cuore di una composizione di classe postfordista segnata dalla messa al lavoro dell’interavita».
Guardate, è scritto proprio così, e ha l’aria di essere scritto sul serio. Se invece vuole essere uno scherzo, bisogna ammettere che è riuscito proprio bene.