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 2010  luglio 14 Mercoledì calendario

ADESSO SONO MORTO DAVVERO

28 GIUGNO Mentre scrivo queste righe, Mare è ancora vivo. Suona paradossale, ma non è una buona notizia. Il suo medico, Nicholas Gideonse, mi ha scritto una email. «Respira, ma è in uno stato di sonno profondo». Sono trascorsi tre giorni da quando sarebbe dovuto morire
L’INIZIO Credo di essere una persona fortunata. A 43 anni, non posso dire di essere mai stata seriamente malata, i miei genitori sono vivi, tutti i miei amici stanno bene. Non ci avevo mai pensato prima, o forse sì, ma solo di sfuggita. Ma da quando ho conosciuto Mare, versione abbreviata a uso degli americani di Marcello, non faccio che pensarci. successo alla fine di maggio, a Portland, in Oregon, l’unico Stato americano con una legge che consente ai malati terminali, ovvero con un’aspettativa di vita non superiore ai sei mesi, di morire assumendo una dose letale di un barbiturico, il Seconal.
Come ho già raccontato in un articolo uscito sul numero 22, si chiama Death With Dignity Act, morte con dignità, è in vigore dal 1997 e finora è stata utilizzata da circa 500 persone.
La legge è riservata a chi è capace di intendere e di volere, e di assumere senza l’aiuto di altri la polvere contenuta in cento capsule di Seconal.
Fu il dottor Gideonse a parlarmi di Marcello Rossi (d’ora in avanti userò il suo vero nome perché è così che l’ho chiamato in quelli che sarebbero dovuti essere i suoi tre ultimi giorni di vita)
Marcello si era rivolto a lui perché a 55 anni, dopo quattro di sofferenza, una dozzina di interventi chirurgici e nessuna possibilità di migliorare le sue condizioni, voleva morire. Durante il nostro incontro, mi aveva raccontato della sua malattia, causata da una grave infezione al pancreas, e di come si sentisse già morto perché ormai incapace di fare quasi qualunque cosa: lavorare, mangiare (poteva ingerire solo minime quantità di cibo), camminare.
Da allora eravamo rimasti in contatto.
«Appena saprò la data della mia morte te lo dirò», mi aveva scritto. E, infatti, il 16 giugno mi arrivò un suo messaggio: «Sarà il 25 giugno. confermato». Gli risposi che, se era d’accordo, avrei voluto essere lì con lui .
23 GIUGNO Alessandro, il fotografo, e io arriviamo a casa sua nel pomeriggio. Marcelle è molto debole, ha un’emorragia che lo costringe sdraiato e ha forti dolori. Dice che forse gli faranno una trasfusione.
Suona strano per uno che ha deciso di morire nel giro di un paio di giorni, «ma in questo modo», spiega, «potrei recuperare un po’ di forze ed evitare di tra scorrere le mie ultime ore in un letto».
Tira fuori da un cassetto un foglio giallo, «è il modulo di richiesta, firmato da due testimoni, che ho presentato come previsto dalla legge». Si è sottoposto a tre colloqui, con tre medici diversi. Per ottenere la prescrizione, sono servite due settimane.
Sono curiosa di sapere se la libertà di stabilire il giorno della propria morte renda più comprensibile un’idea che nessuno di noi riesce del tutto ad afferrare. Risponde di no, che alla morte non aveva mai pensato prima di ammalarsi, ma che non sono aspettative, le speranze, a determinare la nostra vita, quanto piuttosto le circostanze. «Le aspettative si trasformano facilmente m delusioni perché non dipendono da noi, ma dal mondo estemo.
Io comunque non ho rimpianti. In queste settimane mi ero reso conto di dover parlare con alcune persone: ho cominciato a contattarle quando ho preso la mia decisione. Ho chiesto a tutti di essere sinceri, perché nel caso che non fossero stati d’accordo volevo avere l’opportunità di spiegarmi. A chi non era d’accordo, ho detto: "Ti mancherò, ma davvero vuoi che viva in questo modo?"».
E lui, gli chiedo, si è posto la domanda sulla possibilità di una vita dopo la morte? «Diciamo che lo scoprirò presto, e che mi confronterò con quello che succederà nel momento in cui succederà», risponde. Poi dice che ha accettato che io fossi lì «perché sono convinto che la gente debba sapere che non è necessario accettare una vita di sofferenza. Ci sono persone che vivono come vegetali per anni, è giusto che la gente sappia che c’è un’alternativa. Abito a Portland da sette anni, prima di venire in Oregon ho trascorso una ventina : anni a Los Angeles. In California è estate tutto Fanno, mentre qui l’inverno è freddo, piovoso e non finisce mai. Mi sono chiesto tante volte perché diavolo mi fossi trasferito qui». Fa una pausa, cerca di sorridere.
«Beh, ora so che c’era una ragione».
24 GIUGNO Il giorno dopo, prima di tornare da Marcello, faccio un salto a parlare con il dottor Gideonse. In una decina di anni, ha assistito una dozzina di pazienti che hanno scelto di anticipare la propria morte in questo modo. Marcello si è rivolto a lui perché il suo dottore si è rifiutato di assecondare la sua scelta.
«Il suo è un caso particolarmente complesso», dice Gideonse, «non si sa quanto potrebbe vivere, ma è chiaro che, se rinunciasse all’alimentazione endovena, morirebbe ben prima del termine dei sei mesi. E siccome rinunciare all’alimentazione endovena è una scelta che ognuno negli Stati Uniti è libero di fare, abbiamo deciso che la sua richiesta poteva essere accolta».
Intanto a casa di Marcello sono arrivati Christopher e Linda: sono marito e moglie, vivono in California, e conoscono Marcello da moltissimi anni. C’è anche Russell, un ragazzo di Portland: si sono conosciuti perché gli consegnava le medicine a domicilio.
Si chiacchiera di calcio, di musica (soprattutto dei Pink Floyd, il suo gruppo preferito di cui, dice, non si è perso un concerto) e della sua vita. Nato a Buenos Aires, la madre insegnante, il padre chirurgo, negli anni Settanta, sotto il regime militare, partecipò da studente universitario alle proteste e finì nelle liste dei ricercati. «Se fossi rimasto mi avrebbero ucciso, così lasciai il Paese e mi rifugiai negli Stati Uniti. Non mi sarei mai aspettato di lasciare l’Argentina, così come non mi sarei mai aspettato che, qualche anno prima, mia madre morisse di tumore al cervello. Non è una cosa che credi possa succedetti quando hai diciassette anni. Da allora sono sempre stato solo, nel senso di indipendente. Non ho mai voluto una famiglia, né desiderato figli».
Racconta che, nelle ultime settimane, più che ripensare al passato, gli capita di sognarlo continuamente, e che si tratta di sogni particolarmente vividi e reali. Gli domando qual è la cosa di cui va più fiero. «Sono contento di aver vissuto senza aver mai fatto del male a nessuno»
25 GIUGNO l’una del pomeriggio e siamo tutti seduti intorno al letto. Parliamo di tennis, di politica, e di un sacco di cose che non ricordo. Marcello sembra immerso nei suoi pensieri. Alle due e mezzo arriva una volontaria della Compassion and Choices of Oregon, l’associazione che offre aiuto, dalle informazioni all’assistenza diretta, alle persone come Marcello.
Seduta al tavolo della cucina, svuota una per una le capsule di Seconal in un contenitore, poi versa la polvere dentro una bottiglia di plastica per mescolarla con l’acqua, quindi versa il liquido biancastro in un bicchiere.
A un certo punto, Marcello passa dalla cucina, e chiede se non c’è un po’ troppo liquido.
Tutti, a turno, fissiamo il bicchiere, ma cerchiamo di fare finta di niente.
Alle tre arriva anche il dottor Gideonse e, anche se nessuno me lo chiede, decido che è l’ora di andarmene. Promette che mi farà sapere. Alle dieci e mezzo di sera telefona: «Marcello è ancora vivo», dice, «ma credo che presto sarà tutto finito».
LA FINE Marcello è morto il 30 giugno alle tre del pomeriggio. Pare che il suo corpo abbia resistito in maniera del tutto imprevedibile all’effetto dei barbiturici. rimasto senza conoscenza per cinque giorni, sotto morfina. Il medico è certo che non abbia sofferto.
stata la prima persona nella mia vita che posso dire di aver quasi visto morire, poche ore dopo averlo visto mangiare un pezzo di gelato alla crema ricoperto di cioccolato e nocciole.
L’ho visto anche guardare i Mondiali di calcio in Tv, commuoversi davanti alla foto del suo cane, Jason, che non vedeva da quattro anni perché, quando si ammalò, fu costretto ad affidarlo a Linda e a Christopher, mostrarmi la confezione di Seconal che avrebbe dovuto ucciderlo, e ridere amaro del fatto che sull’etichetta c’era scritto che dopo l’assunzione è sconsigliato guidare.
L’ho abbracciato venti minuti prima che bevesse il barbiturico, e gli ho risposto che poteva starne certo quando, un attimo prima che uscissi, mi ha detto: «Think about me». Pensami.
Il suo ultimo desiderio verrà esaudito quando anche Jason sarà morto e le loro ceneri verranno mescolate insieme e disperse sulla riva dell’oceano.