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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

IL FEDERALISMO (GI IN AFFANNO) A RISCHIO

La manovra economica biennale da quasi venticinque miliardi di euro continua a far discutere le Regioni. Con molti trasferimenti di denaro in meno, si troveranno nella condizione di dover cambiare obiettivi e procedure per l’attuazione delle spese. Secondo molti, i primi a patirne le conseguenze saranno i cittadini, che vedranno aumentare le tariffe. Di tutto questo abbiamo parlato con Luca Ricolfi, sociologo dell’Università di Torino fra i massimi esperti di enti territoriali. Il suo nome è finito sui giornali nei giorni scorsi perché il governatore del Piemonte, il leghista Roberto Cota, lo vorrebbe come consulente, a dispetto della sua fama di uomo di sinistra, per ridurre gli sprechi nella sua Regione. Il professor Ricolfi non ha ancora deciso, ma sta valutando come agire per rendere efficiente il suo contributo. Con lui non parliamo solo di Piemonte. Dalla manovra al federalismo, Ricolfi traccia alcune linee guida che a suo parere saranno fondamentali da seguire per avere un funzionamento efficace della Pubblica amministrazione.
Professore, il governatore Cota le ha chiesto aiuto per combattere gli sprechi in Piemonte. Nel caso decidesse di rispondere positivamente, quali sarebbero le prime razionalizzazioni?
La richiesta del governatore Cota riguarda solo il settore della sanità, che (pero ora) è sostanzialmente fuori da questa manovra. Quanto alle razionalizzazioni possibili, mi sembra prematuro parlarne prima di aver effettuato uno studio analitico (Asl per Asl, voce per voce), possibilmente con dati aggiornati (non ci sono ancora i dati 2009). In passato mi sono occupato di efficienza della sanità, ma a un livello estremamente aggregato. Il risultato non è particolarmente brillante per il Piemonte, la cui sanità risulta fra le meno virtuose del Nord.
La manovra economica da venticinque miliardi è stata giudicata in modo tiepido perché mancano misure strutturali. Anche per le Regioni il discorso è lo stesso secondo lei?
Non è esatto che manchino misure strutturali, perché molto dipende da quello che le singole Regioni riusciranno a fare. Il problema, però, è che le misure strutturali più importanti comportano chiusure di strutture inefficienti o superflue, e conseguenti spostamenti di personale. Paradossalmente, la qualità della manovra - alla fine - potrebbe dipendere non solo dal coraggio politico dei governatori ma anche dal grado di collaborazione dei dirigenti e dal senso di responsabilità dei sindacati. Una vera mobilità nella Pubblica amministrazione è il prerequisito di qualsiasi riorganizzazione efficiente dei servizi pubblici.
Due giorni fa su questo giornale il bocconiano Alberto Zanardi ha spiegato che per le Regioni l’unica possibilità è aumentare le tariffe. d’accordo?
No, alcuni aumenti ci saranno (e in alcuni casi dovrebbero esserci anche in assenza della manovra), ma a mio parere i margini per ridurre gli sprechi non mancano.
Quali sono i settori in cui generalmente le Regioni sono meno virtuose e perché? Nel caso fosse un problema di trasferimenti dal governo centrale, forse bisognerebbe razionalizzare quelli, prima che applicare i tagli, non trova?
I settori dove alcune Regioni sono poco virtuose a me paiono almeno tre: l’erogazione di false pensioni di invalidità, che costano alla Pubblica amministrazione circa otto miliardi l’anno; l’eccesso delle spese di personale rispetto a quelle per l’acquisto di beni intermedi; l’irrazionalità e il clientelismo nei meccanismi di erogazione dei sussidi a famiglie, imprese, enti più o meno benefici. Sulla tempistica, però, ha ragione Tremonti: non c’è tempo per aspettare che le Regioni mettano a posto i conti, i tagli possono essere un modo per indurle a farlo. Il vero problema è che le Regioni inefficienti, quasi tutte concentrate nel Centro-Sud, sono le uniche ad avere margini di miglioramento considerevoli. un paradosso, ma è la realtà: le Regioni efficienti possono contribuire in misura ridotta alla manovra proprio perché sono già efficienti, e quindi hanno ormai ben poco da tagliare.
Uno degli aspetti più discussi nel dibattito politico è quello sui costi standard. Cosa sono e in che modo è plausibile che siano utili?
I politici che si occupano di federalismo fiscale paiono essersi resi conto solo ora che il meccanismo dei costi standard può essere implementato in due modi distinti, uno macro e uno micro, con vantaggi e svantaggi opposti. Meccanismo macro: ogni territorio riceve un budget proporzionale alla numerosità e alla composizione della sua popolazione (tecnicamente si chiama ”quota capitaria ponderata”). Meccanismo micro: ogni territorio riceve un budget in funzione dei servizi effettivamente erogati, valutati a costi standard (una siringa, un’operazione di appendicite, un apparecchio medico hanno i medesimi prezzi in tutta Italia). Il meccanismo macro ha il vantaggio di essere semplice ma lo svantaggio di essere iniquo: non c’è alcun controllo sulla quantità e qualità dei servizi erogati. Il meccanismo micro è molto più giusto, ma terribilmente più complicato: per farlo decollare i tecnici e gli esperti del governo avrebbero dovuto cominciare ad analizzare il problema almeno due anni fa, e nel frattempo predisporre una base di dati e di procedure informatizzate capaci di far girare la macchina dei micro-costi senza ingolfare le strutture con adempimenti contabili devastanti, come invece rischia di succedere ora.
Questo significa che il federalismo non può funzionare?
Dipende. A occhio direi che la macchina non è pronta, e che la strada seguita fin qui sconta troppe superficialità e improvvisazioni. Gli schemi di bilancio, le leggi di contabilità pubblica, le basi di dati omogenee, i metodi di valutazione dell’efficienza sarebbero dovuti essere pronti prima dell’avvio del federalismo, anziché essere affannosamente messi in piedi durante il varo dei decreti delegati. Però qualcosa si può ancora fare per evitare che il federalismo porti più danni che benefici. L’assegnazione delle risorse agli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni) potrebbe avvenire in base a un meccanismo misto, macro e micro al tempo stesso. Una frazione del budget complessivo (per esempio due terzi) potrebbe essere assegnata in base alla quota capitaria ponderata (in buona sostanza: in base alla popolazione), mentre la frazione residua (un terzo nel mio esempio) potrebbe essere assegnata in base a indicatori sintetici di efficienza. Per certi versi è quello che, faticosamente, da diversi anni si cerca di fare nell’Università, dove un fondo premiale è destinato a incentivare i comportamenti più virtuosi. La difficoltà è di trovare, in pochissimo tempo, alcuni indicatori sintetici condivisi, sulla cui base distribuire premi e punizioni.
Infine, secondo lei chi avrà dei benefici dalla manovra?
I benefici, se ve ne saranno, andranno ai cittadini delle regioni in cui le razionalizzazioni saranno più ampie dei tagli. Faccio due esempi. Nella regione A, il bilancio è 100, i tagli richiesti sono 10, ma si riesce a risparmiare 12 riorganizzando i servizi senza ridurli: il risultato è un guadagno di 2, perché i risparmi eccedono i tagli (12-10=2). Nella regione B, invece, il bilancio è 100, i tagli sono 10, ma si riesce a risparmiare solo 7: il risultato è una perdita di 3, che può tradursi o in minori servizi o in maggiori tasse o tariffe. Insomma: molto dipende dal fatto che i tagli richiesti siano sostenibili, ma molto dipende anche dalla capacità dei vari governatori di riorganizzare l’offerta di servizi senza ridurne quantità e qualità.