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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

BERLUSCONI CEDE

Guai a parlare di retromarcia sulle intercettazioni. Significherebbe dar ragione a Fini. O al Capo dello Stato. Praticamente un incubo. Meglio ricorrere al solito spartito dell’impotenza. Il premier lo recita di fronte alla platea di Confcommercio: «Noi abbiamo preparato il provvedimento in quattro mesi. Poi l’iter si è rivelato lunghissimo. Ora si tratta di metterlo in calendario per il mese di settembre, poi bisognerà vedere se il capo dello Stato lo firmerà. Poi quando uscirà ai pm della sinistra non piacerà e si appelleranno alla Corte costituzionale, che secondo quanto mi dicono lo boccerà».
Eccoli, uno dopo l’altro gli attori della trama che impediscono di governare: le toghe, che nel Berlusconi pensiero sono pure «amiche» di Fini, il Colle, la Corte. Una trama peraltro legittimata dalla Costituzione: «Le istituzioni del nostro paese - ha scandito il premier - vanno riformate profondamente. L’architettura costituzionale scritta dai nostri padri risentiva del timore che ritornasse la dittatura. E quindi hanno spartito i poteri tra diversi organi: parlamento, capo dello Stato, Corte costituzionale. E tolto ogni potere al presidente del consiglio e al consiglio dei ministri».
Di intercettazioni se ne riparla a settembre, dunque. Forse anche prima. Dipende dalla trattativa con Fini di cui ha parlato ieri il Riformista, che prevede una tregua attraverso un riequilibrio sul partito e un «patto di consultazione» tra i co-fondatori sui principali dossier di governo. Gli ambasciatori sono a lavoro, tanto che ieri Ghedini ha recapitato agli uomini del presidente della Camera una sorta di sospensione delle ostilità a mezzo stampa per tre giorni: «Non attaccate. Noi faremo lo stesso, così si agevola il confronto». Del resto se c’è l’accordo politico tra il premier e il presidente della Camera è possibile licenziare il testo anche prima dell’estate, visto che il voto sulla manovra è previsto per fine luglio.
Proprio del possibile accordo si è parlato durante il vertice pomeridiano a palazzo Grazioli con triumviri e capigruppo del Pdl. Soprattutto quando le agenzie hanno battuto la dichiarazione di Bossi («Se qualcuno farà qualche emendamento non verrà gettato nel cestino, si discute») che hanno reso impercorribile la linea muscolare - testo blindato e fiducia - minacciata dal Cavaliere nei giorni scorsi. Questo il ragionamento dei fedelissimi del premier, in un clima assi teso: «Napolitano e Fini hanno fatto capire che così com’è la legge non va; Bossi non vuole lasciare la bandiera della legalità a Fini, soprattutto dopo che il suo ministro dell’Interno ha raccolto le lamentele del capo della Polizia. In questo quadro la legge non passerà mai».
Meglio trattare. Al Cavaliere lo hanno consigliato tutti. Ghedini che ieri mattina ha incontrato Fini. Responso: « un muro». Letta, che ha raccolto gli umori del Quirinale. Responso: «Va evitato uno scontro». Gli ex colonnelli: «Cediamo sui tempi, in modo da togliere un alibi a Fini, ma teniamo duro sul testo del Senato». Dopo due ore di riunione, è stato deciso di lasciar decantare la situazione. Ovvero di prendere tempo. E Fabrizio Cicchitto, al termine del vertice, affida ai cronisti una dichiarazione che è l’inizio della mediazione: «Abbiamo fatto una valutazione alla luce dei calendari parlamentari rispetto ai problemi che riteniamo più significativi, cioè manovra, intercettazioni e riforma Università. Vedremo, anche valutando il quadro istituzionale di Camera e Senato, come articolare al meglio la soluzione di queste tre questioni». il primo segnale: i tempi. Comunque un segnale. Perché è vero che dal vertice trapela una linea poco arrendevole sul resto: «Il testo è quello votato dal Senato e approvato in un organismo di partito. Eventuali modifiche devono essere discusse nel partito».
Ma è anche vero che nel corso della riunione si è parlato delle modifiche richieste da Fini su intercettazioni ambientali, meccanismi di proroga e diritto di cronaca per le notizie non coperte dal segreto istruttorio. Questo il senso della sintesi trovata: «Se si trova una quadra più generale col presidente della Camera, allora si possono discutere anche le modifiche». A patto che Fini non faccia la fronda gli altri punti del programma di governo. E a patto che ci siano garanzie su tutto: «Io - ha detto il premier ai suoi - su questa roba ci ho messo la faccia, non posso uscirne sconfitto. Mi dite che ancora una volta devo farmi concavo rispetto ai sollevati? Bene, però nessuno pensi che questo voglia dire cedere. Mi si dice che altrimenti il ddl ce la boccia la Corte? Mi auguro che non vada come il lodo Alfano. Altrimenti non do più ascolto a nessuno». Per affrontare più approfonditamente l’affaire Fini e le possibili modifiche è stato convocato un altro vertice ad hoc per martedì prossimo. La trattativa è lunga.