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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

IL DRAMMA DELL’ITALIA ALLE PRESE CON L’UNIT

«La nazione, affermava il francese Ernest Renan, è un plebiscito di tutti i giorni. In Italia, nell’ultimo mezzo secolo, le frequenti elezioni politiche sono state simili a un plebiscito di tutti i giorni. Ma quasi tutte hanno fomentato aspre divisioni fra gli italiani, perché sono state vissute come una scelta di regime in una sfida mortale fra il Bene e il Male». Siamo solo alla prefazione, ma sin dalle prime righe il nuovo saggio di Emilio Gentile Né Stato né nazione – Italiani senza meta, da oggi disponibile in libreria per Laterza (108 pp., euro 9) arriva subito al punto: l’Italia è, ahinoi, un paese dalle divisioni ataviche, quasi maledette: prendi il ”giubileo della patria”, ossia le celebrazioni del 1911, e trovi cattolici, socialisti, repubblicani, nazionalisti e internazionalisti contro l’Italia unita dalla monarchia – coronati dall’articolo de La Voce del 17 marzo intitolato ”Le due Italie”. Finisce la Grande Guerra e le feste dell’Italia unita diventano teatro di scontri tra interventisti e neutralisti. Per non parlare dell’anniversario del 1961 e della riabilitativa benedizione tricolore della Chiesa (via Dc) che diede il là, come scrisse lo stesso Gentile in La grande Italia (1997), a una lunga stagione di oblio dell’identità nazionale, interrotta solo da eventi sporadici come i mondiali di calcio del 1982.
Ma questo oblio, spiega lo studioso, è un terribile spettro più che mai presente tra gli italiani, definiti da D’Azeglio «i più pericolosi nemici dell’Italia unita». A nulla è bastato un secondo risorgimento attuato da Carlo Azeglio Ciampi dal 1999 e poi proseguito dal successore Giorgio Napolitano. L’Italia, scrive Gentile, è l’unico paese con una forza di governo nata «col proposito di disunire». Ma in Né Stato né nazione, l’analisi del successo politico della Lega Nord sembra una conseguenza del tutto naturale alla storia d’Italia. In un Paese dove, secondo diversi sondaggi popolari del 2008 e del 2009, le migliori qualità dei cittadini, per lo meno a loro detta, sono «l’arte di arrangiarsi, accompagnata dalla capacità di farla franca».
Etichetta vecchia quanto il tricolore, che però Gentile inscrive in un’analisi storica e sociologica che non lascia scampo al plumbeo futuro dell’Italia. E proprio dal titolo del saggio si giunge a un punto fondamentale dell’opera, ossia la divisione tra Stato e nazione. Che il primo, agli occhi degli italiani, sia un apparato inefficiente non è una novità. Alla vigilia dei 150 anni dall’Unità, solo l’8 per cento degli italiani pensa che la democrazia funzioni bene, mentre oltre il 45 per cento pensa che funzioni peggio degli anni precedenti. «Uno Stato che non riscuote la fiducia dei suoi cittadini è uno Stato che non sta bene», scrive Gentile. Epperò questo non vuol dire che la nazione non possa stare bene. Altrimenti, è bene ricordarlo, alla fine del 2009 più dell’80 per cento degli italiani non avrebbe giudicato l’Unità una cosa positiva. Ma qui (ri)casca l’asino, perché una nazione non si può fondare sulla capacità collettiva di arrangiarsi e su un orgoglio popolare (secondo altri sondaggi) monopolizzato da «bellezze naturali, patrimonio artistico e cucina». Beni sintomatici, scrive Gentile, che gli italiani «non hanno prodotto, e che spesso non sanno neppure apprezzare e preservare».
Un pregio inossidabile del saggio di Gentile è l’eccezionale equilibrio tra idea e realtà, tra storia e attualità. In cento pagine, lo studioso ripercorre il concetto di nazione nei tempi e condensa il cosmico pessimismo patriottico che attanaglia da sempre l’Italia. Dalle citazioni di Nietzsche («l’uomo invidia gli animali perché vagano in un presente senza storia») a una tragica cascata di analisi e pareri resi da storici e intellettuali sull’identità nazionale. Da Bobbio a Rusconi, da De Felice a Bocca, sino a Croce che diceva nel 1911: «Credo che ogni osservatore attento e spregiudicato della presente vita spirituale italiana non possa non essere colpito dalla decadenza che si nota nel sentimento dell’unità sociale». Scrive Gentile: «Un popolo sottoposto a un continuo ripensamento della propria identità nazionale finisce per perderla, o per avere un atteggiamento schizofrenico».
Dalle premesse di Emilio Gentile, le speranze per un felice anniversario dell’Unità nel 2011 – che già tante polemiche ha scatenato nel mondo politico – sembrano ridotte all’osso. Lo studioso si dice ottimista in fondo al libro, tanto che si concede pure un’imponente licenza storica: pretende di aver manzonianamente trovato un testo del 3111 sul fantomatico ”Miracolo dello Stellone”, e di qui racconta le pomposissime celebrazioni dei 150 anni previste per l’anno prossimo: «Ovunque in Italia il popolo festeggiò l’evento con manifestazioni di piazza, dove soltanto la bandiera italiana sventolava fra le masse unite in un inno corale di comunione nazionale». Gentile scrive qualche pagina dopo che il miracolo dello Stellone è un auspicio di speranza. Ma a rileggerlo ci sono scene talmente irrealistiche nei festeggiamenti (come «i volontari dell’integrazione, organizzati dalla Lega Nord, che donano agli immigrati clandestini permessi di soggiorno a tempo indeterminato») che il l’appendice sa di un pamphlet un po’ comico e molto tragico.