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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

PEPE: ”IO, UN QUARTO DI DI LIVIO”

A Città del Capo, Simone Pepe ha fatto vedere perché piace a Del Neri, spianando ottanta metri di prato, prima a destra poi a sinistra, e ieri a Casa Azzurri s’è capito perché lo chiamano "er chiacchiera". Ha battute da cabaret, con istintivi sconfinamenti nel romanesco, ma idee chiare: non ha la classe di Camoranesi, lo sa bene e pure questa è la sua arma. Però è «uno che non molla», anche ora che gli è cambiata la vita «con la Juve e la Nazionale: devi sempre lottare, perché c’è sempre la prossima partita e non sai mai se la giocherai da titolare».
Simone Pepe, la Juve, poi titolare ai Mondiali.
«Questo mese mi ha cambiato la carriera e la vita, ma accadde pure quando non andai via da Udine, tre anni fa, e decisi di rimanere. Pur rischiando di non giocare».
Che ne pensa della Juve?
«Ancora non ci penso. Anzi, devo fare un gran Mondiale per dimostrare che hanno speso bene quei soldi. Ma adesso c’è l’Italia, un’avventura che mi godo fino in fondo».
Come s’è fatto passare l’emozione dell’esordio?
In romanesco: «L’emozione deve sparì, se te fermi a pensà che sei al Mondiale, a quant’è bello lo stadio e a tutte ”ste cose, gli altri corrono e te fregano».
L’Italia non ha Messi o Torres, si dice.
«Qui ognuno dà tutto per l’altro: il gruppo è più importante di un giocatore forte».
Un azzurro del passato cui somiglia?
«Mi dicono sempre Di Livio: siamo molto simili per caratteristiche, ma vorrei fare un quarto della sua carriera».
Cosa le ha detto De Rossi lunedì sera?
«Ricordati da dove siamo partiti. Non me l’aspettavo, mi ha toccato, m’ha lasciato di stucco. Gli ho risposto: "mo speriamo che arrivamo"».
Da dove siete partiti?
«Da Trigoria, tutta la trafila delle giovanili, tantissimi tornei e campionati. Lui all’inizio non giocava, fino agli allievi nazionali, poi l’ha fatto su livelli altissimi».
De Rossi sparato in A, lei in C e in giro per l’Italia: perché?
«Forse perché non ero pronto. Avevo bisogno di fare le mie esperienze, magari mi sarei anche potuto perdere».
Prima sterzata alla carriera?
«Giampaolo ha cominciato a mettermi sulla fascia, poi Marino mi ha cambiato ruolo. Lui mi diceva: "taglia, vai in porta". Ma io avevo la corsia preferenziale: sempre dritto. Poi ho imparato, e quest’anno ho segnato qualche gol in più. Dovevo solo capire il concetto».
Come c’è arrivato?
«L’aspetto fondamentale del mio carattere è quello di non mollare mai: può essere una frase fatta, lo so, ma mi ha portato fin qui. Dopo la Primavera andai in C1, a Teramo: non volevo, invece è stata un’esperienza fondamentale. Come quando Capello, a Roma, sgridava me e gli altri giovani: mi dava fastidio, però m’ha fatto bene».
Lei titolare, Di Natale, capocannoniere della A, fa fatica: dove sta l’errore?
«Quando prendo il patentino ve lo dico, per adesso dovete chiedere a Lippi. Ma a Di Natale ho visto fare cose fuori dal comune, robe impossibili».
Una persona che l’ha aiutata?
«Mio padre, Luigi: mi ha seguito molto, mai però mi detto bravo a fine partita. Anche se poi un voto te lo dai da solo».
Stavolta le avrà fatto i complimenti.
«M’ha detto: "hai fatto un tiro che ormai manco arrivi in porta". Ho pensato: cominciamo bene la telefonata».