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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

DE GAULLE, IMPALLIDISCE L’EROE DEL 18 GIUGNO

Apparentemente, o meglio retoricamente, tutto è al suo posto, i simboli sono, per l’Occasione, doverosamente in piedi, impennnachiati e infiorati. Sarkozy a Londra per il pellegrinaggio sui luoghi di quella strepitosa parabola: la sede della Bbc, il quartiere generale della Francia libera a Carlton Gardens. Settecento veterani in trasferta con l’Eurostar faranno corona, un allievo del liceo Charles de Gaulle leggerà il proclama celeberrimo sullo sfondo del Canto dei partigiani. E a Parigi cerimonie al monumento sugli Champs-Elysées e al forte di Mont-Valérien. E poi le declamazioni: tante, radiofoniche, televisive, giornalistiche, saggistiche guidate da Max Gallo ormai oracolo della storiografia di corte dell’epoca sarkosista. Insomma l’anniversario del 18 giugno 1940 quando un generale imbaffettato, da Londra, declamò ai microfoni della Bbc la negazione di governanti che «hanno capitolato cedendo al panico, dimenticando l’onore, svendendo la patria alla servitù», sembra svolgersi secondo il Canone. Ovvero tutti gollisti, tutti allineati dietro il feticcio, il talismano. Ma il fondatore della quinta repubblica, il nemico di Pétain emblema senescente di una Francia grama, tutta pelle e ossa, è sempre ben saldo sul piedestallo? Non stiamo assistendo alla nascita di un revisionismo grifagno? Cerchiamone le prove dunque.
Gli insegnanti che stanno firmando in questi giorni, a migliaia, un appello perché il terzo volume delle Memorie di guerra non venga adottato come programma per il bac di letteratura del 2011, innanzitutto. Sono forse dei pionieri? De Gaulle bocciato in quanto scrittore mediocre, privo di stile, di soffio lirico! In un Paese così letterario è quasi una rivolta. Come prova la reazione indignatissima di Jean-Luc Barré, autore di Devenir de Gaulle : «Contestarlo è un atto retrogrado: non è forse stato consacrato nel 2000 dalla Pléiade, che volete di più?».
I francesi hanno «licenziato» politicamente il Generale con il referendum del 1969. C’è un fotogramma indimenticabile di quello storico sgarbo, mai rinnegato: il vecchio guerriero pensionato che passeggia, il bastone in mano, al suo fianco solo Yvonne e un aiutante di campo. Restava, intoccabile, il mito storico a cui i francesi sono educati sui testi scolastici, il culto dell’uomo della Provvidenza; è da questo omnigollismo, che ogni anno produce il rito dei festeggiamenti dell’8 maggio, data della resa tedesca, come una vittoria francese, che questo anniversario sembra sul punto di disancorarli.
Spigolando con attenzione nei chilometri di rievocazioni di quel 18 giugno memorabile spuntano garbatissime ma velenose sfumature. Per esempio la constatazione storica che l’appello cadde nel vuoto, come fa Le Nouvel Observateur, in un servizio il cui titolo «18 pregiudizi sull’uomo del 18 giugno» mantiene le promesse. Già: in quei giorni i francesi erano troppo impegnati a sopravvivere e a sfuggire all’avanzata dei catafratti e invincibili tedeschi, ben pochi ebbero tempo e modo di ascoltare un importuno locutore, per di più sulle onde della radio inglese. Molti francesi hanno scoperto per la prima volta che perfino l’emozionante registrazione che fanno loro ascoltare da 70 anni non risale al 18 giugno ma a quattro giorni più tardi. E anche la foto del generale che scandisce Vive la France è una ben architettata ricostruzione postuma; scattata nell’ottobre del 1941! Nessuno quel giorno a Londra pensò che fosse necessario immortalare qualcosa di storico.
Altro pregiudizio smantellato : la Francia non amò subito il liberatore, si fidava semmai di Pétain, lo «scudo» che si era assunto il compito di difenderli dalla vendetta di Hitler, che aveva accettato di condividere il loro calvario. Non quel fuggiasco che Churchill «vendeva come una saponetta»: parole dello stesso de Gaulle. Si ricorda apertamente che gli effetti del suo appello furono scarsi. Nel luglio del 1940 l’armata dei «francesi liberi» era davvero smilza: tremila volontari non più. E furono necessarie robuste iniezioni di ascari dell’impero, maghrebini e senegalesi, sans-papiers arruolati a pagamento per ricreare un esercito francese. Il settantadue per cento delle reclute, ricordano le innumerevoli biografie di de Gaulle edite o riedite in questi giorni, era formata da africani e da mercenari della Legione.
Dopo aver perso la battaglia delle idee il gollismo sta diventando un’epopea più pallida? inevitabile: questo gollismo endemico sembra la conseguenza soprattutto di una nostalgia: dell’epoca dei Trenta gloriosi in cui la Francia poteva ancora sillabare un no agli anglosassoni, in cui costruì un ”modello’’ protettore e paterno. Che oggi è in pezzi. La voce di quel 18 giugno sembra diventata davvero flebile, mon général’.