Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

NEL PASSATO DI LAPO ANCHE UNO SCIOPERO DA TUTA BLU DELLA PIAGGIO

Non siamo certi se la notizia di una tale e inattesa colleganza potrà migliorare la continuità del sonno di chi lavora e spera di lavorare an­cora a lungo a Pomigliano d’Arco o in qualsiasi altra fabbrica in lotta. Ma in mancanza d’altro, questa ri­mane pur sempre una notizia: La­po Elkann, estroso, disinibito e sgrammaticato nipote dell’Avvoca­to, ha fatto l’operaio. Non solo, ha addirittura scioperato. Breve escur­sione giovanile, la sua, roba da di­ciottenni della dinastia. Un «veni, vidi e sudai» ovviamente a termine, da raccontare un giorno agli amici. Poi via di nuovo in vita. Da Agnelli, se non proprio da leoni: tra St. Mori­tz e il Cap ( inteso come quello d’An­tibes, ça va sans dire ), tra Gstaad e Martha’s Vineyard.
La rivelazione di questo passato con la tuta blu, in incognito, a una linea di montaggio della Piaggio è contenuta in un’intervista conces­sa dal biondo e riccioluto rampollo torinese al sito internet www.simo­naventura. tv. Domande e risposte «fondamentali», imperdibili. Del ti­po: «Il sogno di quando ero bambi­no?
Creare, vedere le cose che ave­vo in testa realizzarsi. Mi è sempre piaciuto costruire prodotti», si rac­conta Lapo cercando forse di moti­vare quell’antica esperienza di fab­brica. Rifiutando perdipiù, quasi sdegnato, certe etichette «leggere» cucitegli addosso. «Non sono né un uomo di moda, né un uomo che ama la moda», sottolinea. «Sono un uomo di stile e che ama lavorare sullo stile», aggiunge e puntualizza a modo suo, ovvero senza chiarire un granché. Ma si capisce almeno che all’argomento ci tiene. «Quan­do mi definiscono un uomo di mo­da mi arrabbio», prosegue come un fiume in piena, aggiungendo il particolare toccante, quasi deami­cisiano: «Per avere il motorino ho dovuto vendere i vestiti a scuola».
Non sappiamo se nemmeno que­­st’ultima confessione potrà valer­gli, da sola, una solidarietà operaia e proletaria. Ma forse è proprio sul­la politica che Lapo dà il meglio. In­terrogato sulle proprie tendenze in materia, lui si fa ecumenico, nel senso di non dover dispiacere a nes­suno. «Sono per un Paese sempre migliore. Sono per il progresso», as­sicura in modo assolutamente bi­partisan .
Affermazione che non fa­rebbe una piega se poi lui non voles­se aggiungere di suo, cercando di chiarire e diventando addirittura tri-partisan , che «se il progresso è di sinistra, ben venga la sinistra; se è di centro ben venga il centro; se è di destra ben venga la destra». Fa­cendo quindi un bel frullato, in una frase sola, di Bersani, Casini e Berlu­sconi. Rafforzandoci in quel dub­bio che da tempo ci arrovella: il ra­gazzo c’è o ci fa? Perché cose così, lasciate cadere con nonchalance , apparentemente banali eppure tali da diventare titolone sui giornali il giorno dopo - chi si dimentica «La festa è finita» di suo nonno? - se le poteva permettere solo l’Avvocato. Lapo parla però poi con toccante sincerità dei suoi cugini perduti. Ri­cordando di Edoardo «la sensibili­tà oltre misura» e di Giovannino «il senso del dovere e la bontà d’ani­mo ». Racconta anche, sminuendo­­la, la sua fama di dongiovanni. Riba­disce la sua ben nota dimensione di gran tifoso del calcio. E ammette di essere un privilegiato che ambi­rebbe però in Italia a una maggiore meritocrazia. Nel settore pubblico, si lamenta, «quasi nessuno è di spessore internazionale. Se uno de­ve vendere un Paese deve almeno parlare inglese». Pienamente d’ac­cordo. Cominciasse però lui dalla base: ovvero dall’Italiano.