Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

QUEL DOSSIER INSABBIATO CHE FA TREMARE IL PD

Il lungo filo rosso dei (pre­sunti) fondi esteri dei Ds, venu­to alla luce nell’inchiesta Tele­com col dossier «Oak Fund» (fondo quercia)redatto dall’in­vestigatore privato Emanuele Cipriani su input del capo del­la security Giuliano Tavaroli, viene spezzato dalla Procura di Milano quando si faceva an­cora in tempo ad indagare. E cioè,sei mesi prima dell’entra­ta in vigore della Legge Mastel­la che prevede l’invio al mace­ro di tutti i dossier assemblati illegalmente. Ora che il gip ha tirato le orecchie ai distratti pm,l’argomento delle presun­te tangenti a esponenti Ds col­legate alla scalata di Colanin­no in Telecom torna d’attuali­tà. Per venirne a capo occorre premettere che sui politici non se n’è potuto sapere di più poiché i pm, oltre a non voler mettere a verbale i nomi fatti da Tavaroli e Cipriani (almeno stando alle versioni degli inte­ressati), hanno evitato anche di capire se l’immenso mate­riale sui Ds sequestrato a Ci­priani fosse buono, in parte buono, oppure carta straccia. Secondo quanto raccontato ai pm (12 aprile 2007) dall’ex ca­po della security di Telecom, Tavaroli, gli accertamenti su Oak Fund nascono quando si profila l’ipotesi dell’acquisto Olivetti presso la finanziaria lussemburghese Bell, per capi­re se fosse presente una com­ponente del management Te­lecom che, attraverso Oak Fund, avesse lucrato sull’ac­quisto di Olivetti. Dice Tavaro­li: «L’operazione però si ferma quando viene accertato che il fondo Oak riguarda esponenti di un partito dell’attuale mag­gioranza » nonché un reticolo finanziario che fa capo a socie­tà e prestanome dei Ds. Nell’in­terrogatorio successivo (31 maggio 2007) Tavaroli aggiun­ge che Tronchetti, nel gennaio 2006, gli chiede conferma se nei dossier vi sono indagini sui politici. «Gli dissi di Oak Fund (...). Il presidente si inquietò chiedendomi conto di questo incarico, io gli rammentai che si trattava di un’operazione del 2001 per conoscere gli azio­nisti di Bell ».L’ex capo delle se­curity di Telecom rammenta inoltre che se effettiva­mente «nell’agosto del 2001 al festival dell’Unità di Rimi­ni, D’Alema aveva attaccato frontal­mente l’operazio­ne di acquisito di Tronchetti, pro­prio grazie alla mia mediazione che si è snodata attraver­so i contatti con Lu­cia Annunziata e quindi Nicola La Torre e infine D’Alema, nella pri­mavera 2002 i rap­porti fra Tronchetti e D’Alema erano as­solutamente cor­diali ». Incassato il patteggiamento a 4 anni e mezzo, definitivamente fuori dal processo, Tavaroli si sente libero di parlare. E a Re­pubblica confessa tutta un’al­tra storia. Accusa Tronchetti di avergli commissionato l’in­dagin­e sui Ds per capire se era­no girate tangenti nell’acquisi­zione di Colaninno, e poi entra nel dettaglio del dossier «Baffi­no », così etichettato in azien­da: «I soldi hanno viaggiato nella pancia di 300 società in giro per l’Europa per poi ap­prodare a Londra nel conto dell’Oak Fund cui erano inte­ressati i fratelli Magnoni (che hanno smentito, ndr ) e dove avevano la firma Nicola Rossi e Piero Fassino (che ha annun­ciato querela, ndr ). Queste co­se le ho dette anche ai pm che mi hanno interrogato. Loro mi dicevano: non scriviamo i no­mi nel verbale, diciamo espo­nenti politici...». Altro perso­naggio che viene invitato a non fare i nomi dei politici è l’autore del dossier,l’investiga­tore privato Emanuele Cipria­ni.
Interrogato in tempi non so­spetti, nel lontano 28 marzo 2007, Cipriani rivela che «Tava­roli mi invitò a svolgere investi­gazioni sull’Oak Fund, dicen­do che avrei dovuto verificare se dietro c’era un partito politi­co ». Tavaroli fece riferimento «al partito del Pds» e «mi chie­se­di rivolgermi all’investigato­re svizzero John Poa, da me so­lit­amente utilizzato per le inve­stigazioni all’estero». Che du­rano mesi. E che sono conti­nuamente aggiornate da re­port «con documentazione so­cietaria e bancaria» reperita in Belgio, Olanda, Svizzera, e pa­radisi fiscali. Man mano che il dossier prende consistenza Ci­priani si rende conto «che si trattava di informazioni straor­dinariamente riservate che John Poa poteva aver avuto at­traverso proprie conoscenze che riuscivano ad ottenere consegne indebite della docu­mentazione ». Quanto ai sog­getti «italiani» coinvolti,l’inve­stigatore osserva che sono tut­ti emersi da «sue» indagini. A un certo punto, però, Cipriani fa presente al pm che lo interro­ga che fra il materiale che gli viene sottoposto manca «uno schema particolarmente ap­profondito di tutti i passaggi che dimostravano la ricondu­cibilità del fondo a determina­ti soggetti, e non trovo un docu­mento che indicava un noto soggetto politico», che nell’in­terrogatorio (che è registrato) Cipriani dice essere Massimo D’Alema. Il documento, però, «in parte è macchiato». Non si legge bene. Per capire come mai non si trovano i pezzi di carta cui fa riferimento l’inve­stigatore bisogna correre po­che righe più avanti, ma solo dopo che Cipriani ammette d’aver relazionato l’esito delle indagini a Tavaroli («che mi disse di averle riferite a Tron­chetti Provera», il quale però ammette solo d’aver invitato Tavaroli a rivolgersi in procu­ra «perché le chiacchiere da bar su Oak non mi interessava­no ») e pure a Marco Mancini, capo del controspionaggio del Sismi, suo ex coindagato. A pa­gina 4 del verbale finalmente il riferimento al filone Ds, rin­tracciato dalla polizia giudizia­ria, compare: «Riconosco ne­gli atti che mi vengono esibiti le seguenti pratiche: Z0048602, da pagina 23821 a pagina 23833, da pagina 23789 a pagina 23802, da pagina 23810 a pagina 23820» e via di­scorrendo. In questi numeri ci­­frati, secondo Cipriani, si na­sconderebbe il segreto di D’Alema e compagni.Seguen­do l’esempio di Tavaroli, an­che Cipriani vuota il sacco su Oak lontano dalla procura: «Siamo andati avanti gradino per gradino - denuncia al Fat­to Quotidiano - , abbiamo fatto più di 10 report». Il risultato «è un sistema finanziario di altis­simo livello, le famose società finanziarie...». Il documento ri­solutivo, però, sembra essere illeggibile perché macchiato. un documento ottenuto da una fiduciaria estera di un Pae­se off-shore. su carta intesta­ta.
«Dentro c’è una frase, se ri­cordo bene, del tipo: secondo la vostra richiesta vi diciamo che dentro questo conto ci so­no queste persone. Sono mac­chiate le firme degli ammini­­stratori della fiduciaria. Quan­do il pm mi ha detto che po­trebbe essere falso, gli ho rispo­sto: peccato che negli ultimi re­port, tra documenti bancari, te­lex e carta con le firme mac­chiate, ci saranno una trentina di allegati». Veri. Come dire: se anche il dossier è falso al 50 per cento, per il restante cin­quanta è reale. Venerdì prossi­mo il gip aprirà l’udienza per disporre l’eventuale distruzio­ne delle carte top secret. Nono­stante la legge Mastella, secon­do i legali degli imputati il dos­sier Oak può ancora vedere la luce. Una speranza c’è, mini­ma ma c’è.
SILENZIO Secondo Tavaroli & C i pm non vollero mettere a verbale i nomi dei politici GIALLO Il documento in cui sono indicati gli amministratori del conto sarebbe illeggibile