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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

SPATUZZA SENZA PROTEZIONE + COME FUNZIONA IL PROGRAMMA DI PROTEZIONE ”


LA NOTIZIA
Il Viminale ha respinto la richiesta dei pm antimafia: il pentito di mafia Gaspare Spatuzza non avrà nessuna protezione speciale. Si tratta di una decisione senza precedenti: mai era accaduto che un collaboratore giudicato attendibile da tre uffici giudiziari – Firenze, Caltanissetta e Palermo, che indagano sulle stragi del 1992-1993 e sulla presunta «trattativa» tra lo Stato e Cosa nostra in quella stagione – oltre alla Superprocura, venisse bocciato dall’apposita commissione del Viminale.
Il motivo ufficiale del no è che alcune dichiarazioni rese da Spatuzza, che coinvolgono il premier Silvio Berlusconi e il senatore Marcello Dell’Utri per i loro ipotizzati rapporti con i fratelli Graviano nel periodo delle stragi, sono arrivate fuori tempo massimo (cioè oltre i sei mesi previsti dalla legge entro i quali il pentito deve indicare tutti gli argomenti di cui intende parlare).

CHI SPATUZZA
L’ex mafioso Gaspare Spatuzza («u tignusu» (il calvo), è un killer pentito della cosca palermitana di Brancaccio, già braccio dei fratelli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano. Arrestato nel 1997 è stato condannato per decine di omicidi fra cui quello di padre Pino Puglisi. La sua collaborazione con la giustizia inizia il 26 giugno del 2008, dopo 11 anni di carcere. Le sue dichiarazioni sugli attentati al giudice Borsellino hanno portato la Procura di Caltanissetta a chiedere la revisione di processi già definiti (Spatuzza si è anche autoaccusato della strage di via D’Amelio).

DI CHE PROCESSO SI PARLA
La commissione guidata dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano ha fatto riferimento al processo d’appello al senatore Dell’Utri (imputato di concorso in associazione mafiosa e condannato in primo grado a 9 anni di carcere). Prima di ascoltare la testimonianza di Spatuzza nella famosa udienza tenuta in trasferta a Torino, uno degli avvocati di Dell’Utri – Nino Mormino, già deputato d Forza Italia nelle scorse legislature – sostenne proprio l’inutilizzabilità delle tardive dichiarazioni del collaboratore. La Corte d’appello respinse quella tesi e accolse la testimonianza del neopentito. Che raccontò quanto, a suo dire, gli riferì il boss Giuseppe Graviano, e cioè che grazie a un accordo tra Berlusconi e Dell’Utri, loro, i mafiosi, «si erano messi il Paese nelle mani».
La sentenza d’appello nel processo Dell’Utri è prevista per fine giugno e, a due settimane, arriva la «sconfessione» della commissione ministeriale. Che non incide sulla utilizzabilità delle dichiarazioni del collaboratore, ma getta un’ombra sulla loro genuinità. Nel procedimento a carico di Dell’Utri la deposizione di Spatuzza («Nel 1994 a Roma incontrai il boss Giuseppe Graviano. Mi fece i nomi di Silvio Berlusconi e Dell’Utri e aggiunse che grazie alla serietà di queste persone avevamo il Paese nelle mani») è un «di più», perché la condanna di primo grado arrivò quando l’ex mafioso di Brancaccio era ancora un soldato di Cosa nostra a pieno servizio, ma sulla sua deposizione il pubblico ministero ha molto insistito per chiedere un aggravamento della pena per l’imputato, a 11 anni di carcere.

COME FUNZIONA IL PROGRAMMA TESTIMONI
Nel caso dei pentiti di mafia la proposta di ammissione al programma di protezione viene inoltrata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, con il benestare della Procura Nazionale. Ma la valutazione determinante spetta a una Commissione governativa. La Commissione centrale, che dipende dal Viminale, è presieduta dal sottosegretario all’Interno, attualmente Alfredo Mantovano. Oltre a lui, i componenti sono sette: due magistrati e cinque funzionari, questi ultimi in rappresentanza delle diverse forze di Polizia. Quindi uno per i Carabinieri, un altro della Polizia, un altro ancora per la Guardia di Finanza, poi c’è il componente delegato dalla Direzione Investigativa Antimafia e, infine, uno che rappresenta l’ufficio di coordinamento delle forze di Polizia del Viminale stesso. A parte il sottosegretario, l’identità degli altri è sancita da un decreto ministeriale coperto da riservatezza. La legge stabilisce che le decisioni vadano deliberate a maggioranza, con la prevalenza del voto del presidente in caso di parità.

La disciplina relativa ai collaboratori di giustizia è regolata da una legge del ”91, poi modificata nel 2001 e integrata nel 2004. Per arrivare ad essere «pentito certificato» si attraversano tre stadi:

1 Dopo che il soggetto dichiara di voler collaborare, vengono disposte misure urgenti, per «mettere in sicurezza» la persona. Che viene subito allontanata fisicamente dal luogo considerato pericoloso, città o carcere che sia. E lo stesso si fa con i parenti.

2 Fase interlocutoria, con la collaborazione non ancora considerata «consolidata»: vengono appunto decise misure provvisorie, in genere durano sei mesi.

3 Se i presupposti lo consentono, si passa al «programma speciale di protezione» vero e proprio. Il programma è gestito dal Servizio centrale di protezione, che ha il compito di dare fisica esecuzione alle disposizioni della Commissione, appoggiandosi ai nuclei periferici, i Nuclei Operativi di Protezione. Il programma può prevedere per il «pentito» e i suoi familiari la sistemazione in una località segreta e protetta e l’eventuale pagamento dell’affitto, e poi l’utilizzo di documenti di copertura (in casi estremi persino il cambio d’identità negli stessi archivi anagrafici), e l’assistenza personale e medica, i trasferimenti, i supporti logistici. E un assegno di mantenimento, nel caso risulti impossibile lavorare, parametrato all’assegno sociale: si parla dunque di circa 900 euro mensili. Somma che, per i testimoni, è aumentata del 50%.

Alla cessazione del programma di protezione, c’è la cosiddetta capitalizzazione: trattasi del versamento di una somma di denaro che deve servire al reinserimento, sociale e lavorativo, del collaboratore di giustizia.